Tuesday, December 28, 2010

Series of dreams

Thinking of a series of dreams
Where the time and the tempo drag,
And there's no exit in any direction
'Cept the one that you can't see with your eyes.
Wasn't making any great connections,
Wasn't falling for any intricate schemes.
Nothing that would pass inspection,
Just thinking of a series of dreams

(Bob Dylan, Series of Dreams)


Mi sovviene che l’anno 2010 sta finendo esattamente come era cominciato. Come? Di merda, direi. Mi stanno arrivando una serie violenta di flashback tutti insieme che faccio fatica a distinguere se siano i primi giorni del gennaio 2010 o gli ultimi giorni di dicembre 2010. E non ho bevuto neanche un Bloody Mary. Ancora. Ma è qualche settimana che mi succede sta cosa qua, e credo anche di sapere perché, ma non lo dirò. Mi si incrina qualche zona del cervelletto e ho delle visioni. A volte belle, limpide e chiare come il sole. Più spesso grigie, marcilenti se così si può dire. Angoscia. Questa serie di visioni è accompagnata da un turbinare di sogni, sogni che non sono sicurissimo di aver fatto, perché mi sembra in realtà di averli fatti pochi secondi fa il che è impossibile. Un istante dopo so con certezza che sono sogni vecchi di anni e anni, ma come è possibile che li ricordi così in maniera freschissima. L’unica spiegazione che siano sogni ricorrenti. Eccoli, è la prima volta che li metto giù su carta, pardon su computer. La mia series of dreams. Mi rendo conto che in un modo o nell’altro nei miei sogni c'è sempre un qualche tipo di casa.


Enormi case di campagna abbandonate o semi abbandonate dove mi aggiro insieme ad altre persone che credo di conoscere, sono luoghi familiari ma allo stesso tempo non sappiamo trovarne l’uscita.

Viaggi in macchina verso case in cima a qualche montagna attraverso strade stradine tunnel da paura. Persone che aspettano lassù in cima. La meta non si raggiunge mai e la sensazione è che sia meglio così.

Viaggi verso paesini di mare su promontori in teoria bellissimi ma che hanno sempre qualcosa di angoscioso su strade stradine super a picco.

Vialoni cittadini notturni semi deserti viaggi estenuanti su filovie metropolitane verso fermate che perdo sempre per un motivo o per l’altro, poi capolinea abbandonati nessuno a cui chiedere una informazione.

Fabbriche enormi in rovina dove si passa e si cammina come se ci si trovasse in un normale quartiere cittadino. Fabbriche enormi in rovina dove sto cercando qualcosa o qualcuno.

Tunnel sottoterra dove ci si infila a malapena e dentro cui spuntano cadaveri, morti in putrefazione, mummie assortite.

Ascensori, portoni di case eleganti dove non dovrei trovarmi ma mi ci trovo davanti. Ascensori enormi che portano a loft inondati di sole dove non vive nessuno.

Bob Dylan - Series Of Dreams (Official Music Video). Watch more top selected videos about: Bob Dylan


Abbiatevi un sereno fine d’anno e un miglior inizio.

Thursday, December 23, 2010

Merry Christmas Baby




Top five delle cose che ho fatto in questo 2010

1. Aver visto The Tallest Man on Earth in concerto (a Londra)
2. Aver visto John Grant e i Midlake in concerto (a Londra)
3. Aver girato in vespa di notte (per Londra)
4. Aver fatto colazione con due Bloody Mary (a Londra)
5. Aver trovato lavoro (a Milano)

("Resta con me, nella realtà": frase dell'anno 2010 - non mia ovviamente, troppo bella)





Oh... ah... buon Natale fratelli e sorelle, questo è il mio regalo, spero apprezzabile

Friday, December 17, 2010

Patate sauté. E bistecca con la polenta

Tu non lo sai, ma quando ti accarezzo, la tua bella faccetta, cosi pulita, mi pare, mi pare di essere un signore, un signore che ha la radio nuova e nell'armadio la torta per i figli, che vengono a casa da scuola, e ti tocca viziarli; per te un'altra vestina, a te ti compero le scarpe
(Ti te sé no, Enzo Janancci)


L’uomo è laggiù, in fondo al corridoio. Quando arriva, si va sempre a chiudere lì dentro. Poi magari esce fuori e se incrocia qualcuno lo saluta, gli stringe l amano. Perché è timido e riservato. Anche se ha passato quasi tutta la vita sui palcoscenici davanti a migliaia di persone.

“Sono sempre stato timido, ancora adesso faccio fatica a chiedere informazioni alla signorina del supermercato. Quello che la gente si ricorda di me sono le entrate a passettini, che non erano una trovata artistica, ma venivano dal fatto che avevo paura di disturbare”.

L’uomo è laggiù in fondo al corridoio e mi dicono che è seduto laggiù. Anche questa volta è arrivato, riservato e misterioso come le altre volte, poi sparisce allo stesso modo con cui è arrivato. Mi dicono, vai a salutarlo dai. No non ci vado. Massì vai a salutarlo, gli fa piacere. No che non ci vado.

“C’è una carica vitale che la supera da tutte le parti, da dove arriva questa carica? Da chi ho davanti, da chi incontro, da quello che guardo, da dove penso arrivi la musica”.


Ok ci vado. Attraverso il corridoio. Se è piccola sta stanzetta. L’uomo è seduto lì, incassato in un angolino di una stanzetta che è già un angolino. Si stringe forte l’impermeabile. Fuori, su Milano, la sua Milano, sta nevicando. So che è anziano, per così dire, ha 75 anni. Ma ha una bella pelle liscia, un sorriso che spacca, gli eleganti capelli bianchissimi. La stretta di mano forte ma educata. Il sorriso. Il carisma. Che allarga e di tanto la minuscola stanzetta.

“La normalità come la penso io è essere te stesso, sapendo che ci vuole una misura anche nella tua cattiveria. Essere buoni non può voler dire non essere cattivi, ma essere disponibili ai desideri, ai bisogni. La normalità è poter dire di essere a casa”.


Parliamo un po’, come si dice del più e del meno, di amici musicisti in comune. Ha una gran voglia di parlare, di raccontare. Si vede che gli piacciono le storie. Si schernisce per la bellissima intervista che ci ha concesso, come si schernisce la bravissima amica che glie l’ha fatta. Ma insomma chi l’ha fatta questa intervista, mica si sarà fatta da sola.

“Questo Armando a un certo punto dice: non ci sono più maestri, ma solo esperti di settore”.

Potrei rimanere nella stanzetta per ore, ma in qualche modo sento che l’uomo guarda già lontano, è come se fosse attraversato. Appartiene già a un altro tempo, un tempo immemorabile.

"Io amo talmente la musica e la bellezza, le amo talmente perché sento che se tu ne prendi dei pezzi, dei piccoli svolazzi, come quei foulard che nelle serate di moda si vedono svolazzare… Solo che la musica è un continuo svolazzare di foulard, va avanti da sola e uno deve essere lì pronto ad ascoltare, perché poi lei va via. Però può essere che qualche volta si ferma e anche lei ascolta, perché c’è anche la musica che ascolta. La vita per me è concepita da uno che ti mette lì - e io so chi è - … ti ha messo lì e c’è tutta una serie di avvenimenti, di affreschi, di patate sauté, di bistecca con la polenta, di uova sode… tutte cose che, tra l’altro, piacciono a me, magari agli altri no, ma a me piacciono molto".

Dopo, quando lui è già andato via, oppure è ancora là nella stanzetta che si vedeva che era felice di essere in quella stanzetta, tra amici presenti e altri che dovevano ancora arrivar, io esco. Per le strade della sua Milano nevica. Sto imparando a guardare. Perché nella vita è la cosa più bella, guardare ogni cosa. La neve. Le biciclette e i tram. Stupirsi. Guardare a persone che ti sanno essere dei maestri. Che altro c'è. Be' le patate sauté e una bistecca con polenta. Perché la vita accade. Ora.

A questo link l'intervista completa a Enzo Jannacci

Friday, December 10, 2010

Per un pugno di misericordia

'Cuz you'll never know the reason
Why the seas rise and fall
You'll never know the reason
Or if there's a reason at all
'Cuz you'll never know the reason
Why the sun shines at all
You'll never know the reason
Why we each must one day fall

You find your way
To write your song
And come what may
I hope you find friends with whom you belong
I said I hope you find friends with whom you belong


(With Whom You Belong. Fistful of Mercy)


Mi piace andare ai concerti. Mi piace che dopo più di trent'anni ne ho ancora voglia, anzi ne ho sempre di più. Mi piace prendere la metropolitana poco distante dall'ufficio e uscire poco distante da dove ci sarà il concerto, venti minuti in tutto di viaggio. Mi piace perché mi ricorda quando andavo a vedere tutte le sere Bob Dylan suonare all'Hammersmith, facendo venti minuti di metropolitana dal mio albergo. Mi piace camminare con la gente che mano a mano gli impiegati si disperdono e rimaniamo solo noi, quelli "da concerto". Mi piace stasera questo vento quasi caldo che spazza il cielo di Milano e sembra quasi che invece che l'inverno stia per arrivare primavera. Mi piace scontrarmi con le prime bancarelle di abusivi, l'odore dei baracchini di birra e salsicce. Mi piace entrare nel locale, sentire quel'odore inconfodibile, pensare ai musicisti nel loro camerino. Mi piace incontrare gente che mi chiama per nome e cognome e io sia dannato se ricordo i loro, di nomi e cognomi, e si parla come se ci si conoscesse da sempre. Non mi piace tanto che mia figlia, la piccolina, mi telefoni mentre sono sotto al palco e loro stanno attaccando un pezzo di Bob Dylan così che devo uscire fuori perché lei ha il magone che le manca il papà e devo consolarla. Ma mi piace essere un papà.

Ieri sera mi sono piaciuti tantissimo i Fistful of Mercy, il supergruppo (?) composto da Ben Harper, Joseph Arthur e il figlio di George Harrison, Dhani. Come ha detto un mio amico ieri sera, se un merito questo gruppo ce l'ha, è quello di aver de-lennykravizzato Ben Harper e riportato a essere quello che è veramente, quello dei tempi di Welcome to the Cruel World o Fight for your Mind. Sembrava Stevie Wonder ieri sera, che si muoveva sgraziato ma irrefrenabile al ritmo di una musica che gli scorre dentro potente, musica nera, musica dell'anima. Chitarra acustca, Weissenborn siderale (come ha detto Arthur, "hey sapete cosa vuol dire avere Jimi Hendrix che suona nella vostra band?"). Dhani, piccolissimo, ugualissimo al padre nella voce e nel volto: il giorno dopo trent'anni dalla morte di John Lennon, qualche giorno dopo nove anni dalla morte di George Harrison, sto guardando una picola eredità dei Beatles. Che meraviglia. Si alterna alla chitarra acustica, elettrica e al pianoforte, è ovviamente il più beatlesiano e psichedelico della band. In mezzo Josseph Arthur, il più loquace, il più caciarone, il più rock'n'roll. M ricordo di quando lo intervistai, nel 1997, al suo primo disco, lui scoperto da Peter Gabriel, un ragazzone dell'Ohio che se la rideva e che non avrebbe scommesso di fare dishci ancora a lungo, invece eccolo qua. Mi ricordo che in quel 1997 intervistai anche Ben Harper, quando ancora non era trendy come oggi che è una sorta di super eroe anche di Pierluigi Bersani e ha un pubblico in realtà alquanto caciarone che ieri sera erano quasi tutti lì per lui e hanno proprio rotto le palle starnazzando fra di loro come se sul palco non ci fosse stato nessuno. Bah. Allora era un ragazzone timido anche lui, non sapevamo bene di che parlare perché mi avevano mandato da lui all'ultimo minuto. Parlammo di Dio, e ci fumammo qualcosa.


Seduti uno accanto all'altro, sono stati una festa della bella musica. Chitarre acustiche hanno riempito le volte dell'Alcatraz meglio di dieci gruppi heavy metal; armonie perfette, che neanche Crosby Stills e Nash riuscivano a cantare così senza stonare. Tutto il loro primo e unico disco - non ce ne saranno altri, mi sa - e cioè tante ballate che affondano nel cuore, e qualche cover di lusso: Buckets of Rain di Dylan, trascinante, spumeggiante, divertente. To Bring You My Love di PJ Harvey, rockata, densa e incandescente con scambi di assoli di chitarra elettrica a tre, lunghissima e incalzante. Pale Blue Eyes dei Velvet Underground, ma questa mi dispiace è una canzone che solo le donne possono cantare. Scandalous di Prince, funky e devastante come si merita. Durante Restore me di Harper, poi, i tre si sono lasciati andare anche a una sagace ripresa di Stayin' Alive dei Bee Gees che finisce per affondare nelel risate dei tre. Restore Me, che è stato il momento clou della serata con un Ben Harper invasato che sembrava il figlio di James Brown e Stevie Wonder. Alla fine i tre lasciano microfoni e cavetti e si dispongono al limite del palco, snza amplificazione. Cantano With Whom You Belong, che sembra un inno sacro delle Catskill Mountains. Si scambiano di posto tra di loro, vanno avanti che non vogliono più smettere, invitano il pubblico a cantare con loro. E' bello, molto. Mi piace. "Spero che tu possa trovare amici con cui stare", è un bell'augurio, quello che loro stanno cantando.

Mi piace che stasera avevo bisogno di un pugno di misericordia e sono tornato a casa con a fistful of mercy, un autentico pugno di misericordia.

Se volete vedere bellissime foto dei Fistful of Mercy in concerto, cliccate qua sopra.

Wednesday, December 08, 2010

The real Nowhere Man



Non ho mai avuto dubbi nel definirla - dopo Mystery Train di Elvis - la più grande performance vocale della storia del rock'n'roll. E' quella di John Lennon in Twist and Shout come la registrarono i Beatles.



Ecco perché a 30 anni da quell'8 dicembre ho voluto scrivere queste cose su quel giorno e su Lennon.


John Lennon: La vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti

Sunday, December 05, 2010

Dark Peace

Le cose non si possono tutte afferrare e dire come d’abitudine ci vorrebbero far credere; la maggior parte degli eventi sono indicibili, si compiono in uno spazio inaccesso alla parola, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, esistenze piene di mistero la cui vita, accanto all’effimera nostra, perdura.
— Rainer Maria Rilke

"Un tale mi stava chiedendo una canzone romantica, non so dire se questa che canterò sia una canzone romantica o una canzone santa. In ogni caso, rappresenta un po' quella breve comunione che è un bacio. Che sia un bacio o solo un momento di particolare unione tra gli opposti" (Judee Sill)



Una più o meno famosa attrice diceva che i baci sono meglio del sesso. Una mia amica invece diceva che i baci sono solo uno scambio di dna. Per Judee Sill, addirittura un momento di comunione. Che in fondo è vero. Che altro è il bacio e quello che ne consegue (a volte) tra due persone se non il fondersi di due identità in una sola, per quei pochi istanti. Esattamente come il fare la comunione, per chi si ricorda ancora di certi vocaboli che oggi non si usano più e gesti che non si fanno più neanche. Per Judee Sill il riferimento all'eucarestia era un riferimento importante. Non che fosse una cristiana particolarmente impegnata, ma diverse sue canzoni toccavano un tema profondo, quello della redenzione e del peccato. Chissà se Johnny Cash l'aveva mai ascoltata, l'avrebbe trovata familiare. Ma un bacio è stato anche il segnale del più grande tradimento della storia dell'umanità. Sempre per chi si ricorda certe antiche storie di cui oggi non si parla quasi più. E Judee Sill era segnata, nonostante la bellezza che andava cantando e cercando.

Judee Sill muore il 23 novembre 1979, di overdose. Ha solo 35 anni. La sua era stata una vita segnata da sempre dalla violenza, lo sbandamento, la disperazione. Un padre morto di polmonite e un fratello in un incidente. Una dipendenza dall'eroina durata tre anni già quando aveva vent'anni circa. Una vita sui marciapiedi di San Francisco e anche in galera. Lei stessa colpita in un incidente così gravemente da dover prendere droghe per sopportare il dolore. Eppure Judee Sill era stata la prima artista in assoluto a incidere un disco per quella che sarebbe diventata una delle più importanti case discografiche americane, e certamente una delle prime indipendenti in assoluto. L'Asylum di David Geffen, quello che una volta Jackson Browne definì capace di "buttarsi in un letamaio per tirarne fuori un solo centesimo". E che negli anni 80 avrebbe fatto causa a Neil Young perché faceva dischi che non erano abbastanza commerciali. Ma l'Asylum, come diceva il nome stesso, era nata per dare "asilo" a quei musicisti che non avevano spazio nelle case discografiche perché non abbastanza "commerciali". Oh l'ironia della vita, caro Geffen. Ma almeno ci ha dato la possiiblità, ancor oggi, di ascoltare le canzoni straordinarie di Judee Sill.

Solo due dischi incisi: "Judee Sill", nel 1971, e "Heart Food", nel 1973. Graham Nash produsse il suo primo singolo, Jesus was a Crossmaker (Gesù era uno che costruiva croci, e lei, Judee, di croci ne conosceva), e con Crosby And Nash, due superstar in quegli anni, sarebbe andata in tour. Ma il successo non arrivò. Lasciò perdere la musica, tornò a farne di tutti i colori come vivere in cinque in unma macchina fino a morire un giorno nel suo appartamento di North Hollywood. Aveva trovato quel bacio di comunione santa che aveva cercato per tutta la vita.



Dischi postumi in questi ultimi anni ne stanno uscendo. Uno su tutti, il doppio cd registrato dal vivo alla Bbc durante una fugace visita londinese. Meraviglioso, perché solo la sua voce incantevole, una chitarra custica suonata molto bene e un pianoforte. E una canzone, The Kiss, che ancora oggi suona come una delle più belle in assoluto delgi anni 70. Anche se allora, probabilmente, non la ascoltò quasi nessuno. Judee Sill sarebeb troppo facile paragonarla a Nick Drake: stesso talento sconosciuto alle masse durante la vita, stessa morte che sa tanto di suicidio cercato, con la differenza che oggi Drake gode nell'al di là del successo meritato, Judee ancora no. Eppure le sue canzoni sono di una sofisticatezza che non ha paragoni: lei conoscvea la musica classica, e l'eco di certe composizioni di Bach ad esempio è evidente. Lei cercava la "dark peace", la pace nera, come la chiamava lei. Per alcuni è l'unica cosa che rimane.

Saturday, December 04, 2010

La musica è finita

When the music's over
When the music's over, yeah
When the music's over
Turn out the lights
Turn out the lights
Turn out the lights, yeah

When the music's over
When the music's over
When the music's over
Turn out the lights
Turn out the lights
Turn out the lights

For the music is your special friend
Dance on fire as it intends
Music is your only friend
Until the end
Until the end
Until the end

Cancel my subscription to the Resurrection
Send my credentials to the House of Detention
I got some friends inside

The face in the mirror won't stop
The girl in the window won't drop
A feast of friends
"Alive!" she cried
Waitin' for me
Outside!

Before I sink
Into the big sleep
I want to hear
I want to hear
The scream of the butterfly

Come back, baby
Back into my arm
We're gettin' tired of hangin' around
Waitin' around with our heads to the ground

I hear a very gentle sound
Very near yet very far
Very soft, yeah, very clear
Come today, come today



What have they done to the earth?
What have they done to our fair sister?
Ravaged and plundered and ripped her and bit her
Stuck her with knives in the side of the dawn
And tied her with fences and dragged her down

I hear a very gentle sound
With your ear down to the ground
We want the world and we want it...
We want the world and we want it...
Now
Now?
Now!

Persian night, babe
See the light, babe
Save us!
Jesus!
Save us!

So when the music's over
When the music's over, yeah
When the music's over
Turn out the lights
Turn out the lights
Turn out the lights

Well the music is your special friend
Dance on fire as it intends
Music is your only friend
Until the end
Until the end
Until the end!

Thursday, December 02, 2010

Beyond here lies nothing

Che cosa vuol dire che tra uomo e donna ci può essere qualcosa di più importante dell’amore? Vuol dire che è possibile vedere un’altra persona come si vede se stesso: consentirgli tutti i gesti e i movimenti che si consentono a se stesso, godere che li faccia come si gode a farli noi, non sentirsi privati di cosa che faccia con altri come noi non ci sentiamo privati di cosa che facciamo con altri — vuol dire amare questo nostro prossimo come noi stesso. Quest’amore si chiama carità. Ma se l’altra persona scompare? Possiamo amare noi stesso sparito? Bisognerebbe credere che nessuno scompare mai. Che non c’è la morte.

Morirà e tu sarai solo come un cane. C’è un rimedio? Ricorda sempre che nulla ti è dovuto. Che cosa meriti infatti? Quando sei nato, ti era forse dovuta la vita?


Cesare Pavese


BEYOND HERE LIES NOTHING

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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