Sunday, February 23, 2014

Come diventare buoni

“Che cosa ti fa pensare che io sia triste?”

“Ah! Tu sei triste per definizione. E’ la tua condizione permanente.”



Nick Hornby salva la vita. Nick Hornby è il miglior scrittore della mia generazione. In realtà non so se sia così, so che ogni volta che mi imbatto in un suo libro (ne ho letti solo quattro: Alta fedeltà, Un ragazzo, Tutta un'altra musica e Come diventare buoni) la mia vita diventa migliore, per quel tempo almeno che dura la lettura del libro. Come insegna proprio Come diventare buoni, l’ultimo che ho letto, è impossibile infatti cambiare la propria e altrui vita per sempre, ma il fatto che possa cambiare in meglio anche per poco, è già abbastanza.
A Nick Hornby mi sono sempre avvicinato con diffidenza, anche perché quando l’’ho scoperto era già un mito di generazioni intere e a me i miti scoperti da altri solitamente non piacciono. Devo scoprirli io, devono avere a che fare con me, devono parlare a me. Così + stato: leggendolo in ritardo rispetto alle masse, ho scoperto che Hornby scriveva di me e parlava a me. Nick Hornby mi parla, e alla grande: sa tutto di me. E poi scrive da dio. Ad esempio in Come diventare buoni, all’inizio non mi piaceva: uno scrittore uomo che scrive un libro in cui la protagonista è una donna? Ma che ne sa un uomo di cosa sia una donna? Presuntuoso, ho pensato. Poi invece mi sono arreso perché Hornby scrive veramente da dio. Fa sorridere, fa rolorare dal ridere, fa piangere, fa incazzare, ma soprattutto è un realista straordinario, una sorta di Raymond Carver in chiave generazione 2.0. Ha una compassione enorme per le persone di cui scrive, Nick Hornby, che è tenera e commovente: vuole bene al prossimo, si capisce, e non lo giudica, anzi lo abbraccia.


Come diventare buoni me l’ha regalato la mia famiglia lo scorso Natale, evidentemente perché pensavano che io debba diventare buono, e hanno ragione. Come dice la mia collega di scrivana in redazione, io sono una persona orribile. Proprio come David, il marito della protagonista Katie, che ha – con mia somma invidia – una rubrica sul quotidiano della sua città intitolata L’uomo più arrabbiato di Holloway. E’ il mio sogno avere una rubrica così.
Come diventare buoni, oltre a contenere pagine di letteratura di classe immensa, è bello perché alla fine ti dice che diventare buoni è impossibile. Ho tirato un sospiro di sollievo quando me ne sono accorto. Ma allo stesso tempo scava a fondo nelle nostre esistenze miserabili e ne tira fuori l’essenza: al fondo di noi stessi, desideriamo una cosa sola, appunto essere buoni. E’ ciò che fa la nostra consistenza, è nel nostro cuore e ci definisce, anche se cerchiamo di scacciare questa cosa ogni giorno di più. Così non serve il matrimonio a renderci buoni, non servono i figli, il lavoro, l’impegno nel sociale, andare in chiesa la domenica.
E’ qualcosa di più grande di noi, tocca affidarsi, e Hornby, pur chiudendo il libro in modo violento e apparentemente amaro - perfettamente carveriano, con la domanda lasciata irrisolta -, lascia intuire che è un lavoro da fare e da chiedere. Tolte le croste della banalità che ci contraddistingue – anche e soprattutto quella del buonismo – resta un cuore che implora per sé e per gli altri. E se nel nostro cuore c’è questo desiderio, fa intuire Hornby, vuol dire che ci è stato messo dentro e che allora tocca capire chi è stato. Uno buono, immagino.

Sunday, February 16, 2014

Siamo tutti come Giobbe

"Sentirsi tristi, ma proprio tristi tristi, tanto da chiedervi il senso della vita: a mio padre capitava spesso". Margherita è la figlia di Roberto Freak Antoni, il leader degli Skiantos, il gruppo - a torto o a ragione - definito di "rock demenziale", scomparso nei giorni scorsi. Quando Margherita finisce di parlare, di dire la sua orazione funebre ai funerali del padre, qualcuno alza un cartello con la scritta ovazione, in quello stile che sarebbe piaciuto al padre scomparso.



Chi sia stato veramente Freak Antoni è difficile dirlo, ma a questo punto non conta più. Figlio di una stagione particolarissima della storia italiana, quella che vide negli indiani metropolitani alla fine degli anni 70 porre domande implacabili a cui nessuno seppe rispondere, mentre la rivoluzione del movimento studentesco finiva inghiottita negli anni di piombo, dello spirito di quella stagione fu l'interprete migliore. Fece sua la cinica ironia di chi aveva perso tutto: le speranze, le utopie, le ideologie dei fratelli maggiori e si trovava a guardare i carri armati nelle strade di Bologna, mentre - eresia - questi perdenti fischiavano e insultavano i leader sindacali, i leader intoccabili dell'ideologia che li aveva traditi per primi. Chi c'era, ricorda quella stagione come un ultimo grido alzato al cielo: vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso. Un grido disatteso.

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Wednesday, February 12, 2014

Cronaca vera

Mi chiamo Francesca. Ho 14 anni e non so perché mi trovo in questo posto. E’ buio, fa freddo, ci devono anche essere dei topi schifosi. Li sento. In realtà so benissimo perché mi trovo qua. Sto salendo le scale fino al tetto. Questo era un albergo una volta. Ogni piano che faccio credo di sentire voci di bambini che ridono, mamme arrabbiate, papà che russano. Ma adesso è buio e fa freddo. E ci sono i topi. Devo arrivare sul tetto di questo schifo di albergo abbandonato e poi sarà finita. Mi dispiace tanto, mi dispiace nonna. Chiedo scusa a tutti, anche a papà e mamma. Ma sto salendo le scale al buio e poi non ci sarà più nessuno che mi prenderà in giro.

Volevo tanto bene al mio ragazzo, lui mi ha lasciato e vabbè ci stava, e me piaceva andare a scuola. Però mi prendevano in giro, ogni volta che scrivevo qualcosa e chiedevo per favore aiutatemi c’era qualcuno che mi diceva che ero una brutta culona e che dovevo morire. «Fai schifo come persona». Perché? Le mie piccole bocche aperte sulle braccia chiedono solo un po’ di aiuto. «Spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che c’è sul braccio e morirai!». Non dimenticatemi. Fra poco sarò morta davvero. Mi dispiace tanto nonna.

Ecco, sto per buttarmi di sotto. Così il computer non lo accenderò più e nessuno mi prenderà più in giro. Ciao nonna, addio anche a questi topi schifosi. Non voglio più piangere da sola in camera mia. Mi dispiace, chiedo scusa a tutti. Non dimenticatemi. Non so cosa sta succedendo.


Lui ha chiesto alla prima moglie se può prendere Caterina, Caterina ha 8 anni, può vederla due volte la settimana. Poi ha chiesto anche alla seconda moglie se può stare un po’ con Roberto, 2 anni, è figlio di questa altra donna e suo, naturalmente. Solo qualche ora, sto traslocando, spiega, mettiamo via le robe negli scatoloni, giochiamo un po’. Va bene, hanno detto tutte e due, alle 20 mando mia mamma a prendere Caterina. Ok, Roberto lo riporto io.
Nella casa c’è confusione e sporcizia, a Caterina non piace, Papà voglio andare a casa. Anche questa è casa tua, risponde lui innervosito. Roberto inciampa su degli scatolini e comincia a piangere. Lui rivede in pochi istanti una vita di fallimenti, due matrimoni fottuti andati in pezzi, il secondo pochi giorni prima di Natale. Che schifo pensa. Poi il lavoro che c’è ok, ma quanti soldi mi ci vorranno adesso per pagare tutti questi alimenti, pensa. Non ce la potrà mai fare. Sono solo. Guarda i suoi bambini e gli viene da piangere. Sono solo. Ho fallito tutto. Non sa come si è trovato quel coltellaccio per tagliare il salame tra le mani, però gli dà un senso di sicurezza.


Si guarda attorno. Quello non è un posto per due bambini piccoli, tutto quel casino e lo sporco. E’ allora che si avvicina prima a lei e con un taglio veloce le squarcia la gola. Non riesce neanche a gridare. Poi tocca al fratellastro. Il sangue zampilla ovunque. Cosa ho fatto. Telefona al fratello per dirglielo poi si pianta il coltello nel petto. Ma lui non è degno neanche di morire.

Che fallito sono, pensa mentre lo portano in ospedale.
Fuori la nonna è arrivata a prendere la sua nipotina, ma l’hanno già portata via quelli della polizia mortuaria. Nella notte fredda un urlo indicibile si alza nel buio. I miei bambini. La mia bambina.

Monday, February 03, 2014

Uncool


Era un inverno del cazzo. Freddo, neve, tantissima neve: anche Times Square, la porta verso Brooklyn e i teatri era sommersa di neve. Qualche sera prima era andato a vedere una nuova messa in scena di Aspettando Godot. Gli piaceva il teatro, gli era sempre piaciuto e adesso, a 46 anni, gli piaceva ancora di più. Hollywood e quel mondo di finti bastardi cominciava a stancarlo. Non che lui aveva mai dovuto sottomettersi a qualche ruolo imbecille per un po’ di soldi. No, aveva sempre scelto le sue parti dopo averle studiato a fondo e allora diceva sì o no. Come quando gli avevano proposto di interpretare il ruolo di Hilly Kristal, il fondatore del CBGB’s. Aveva rifiutato perché, aveva detto loro, “non era una sceneggiatura storicamente realista”. Ecco.

Faceva freddo a New York in quei giorni, e sulla costa est era arrivata una nuova partita di eroina che, dicevano, era peggio di mettersi nelle vene un veleno per i topi: ci lasciavi la pelle subito, e di morti se ne stavano già trovando parecchi in giro, fulminati da una overdose. Per distinguerla, qualcuno vendeva le bustine di eroina con un asso di picche e un asso di cuori stampato sopra. Le bustine con l’asso di picche le prendevi a tuo rischio e pericolo.


"L'unica vera moneta in questo mondo in bancarotta è ciò che si condivide con qualcuno quando sei uncool": da qualche tempo quelle parole gli risuonavano in continuazione nella testa. Le aveva dette lui in uno dei suoi tanti ruoli di attore, o le aveva sentite dire da qualcun altro? Quando si recita a lungo, e in ruoli di personaggi così tragicamente devastati, ad esempio quel sacerdote che forse era stato un pedofilo, ma nessuno lo sapeva, neanche lui, alla fine finisci per diventare un altro, la tua identità si mischia con quella del personaggio. Lui, da tempo, forse da sempre, si sentiva “uncool”. Non si sentiva a suo agio in un mondo di cui non si sentiva parte. Sto sempre a casa, io non esco mai, diceva Lester Bangs/Philip Seymour.

Così quelle sere nonostante il freddo girava per le strade di NYC. Aspettava il suo uomo. Per 23 anni era stato pulito, poi un anno e mezzo fa aveva ripreso a farsi. Perché? Forse era stanco. Anche una vita piena di soddisfazioni ti stanca e ti svuota l’anima. Aveva una compagna e tre figli splendidi, ma si sentiva inadeguato, aveva paura. Forse era quel vuoto che si portava dentro da sempre, da quando bambino aveva visto sua madre crescere lui e gli altri tre fratelli da sola, perché il padre se n’era andato. Un padre che scompare non si rimpiazza con nulla, neanche con un premio Oscar, e lo aveva detto quella sera a Hollywood, prendendo in mano la statuetta e ringraziando davanti a tutti gli imbecilli in sala sua madre.

Allora quella mattina, prima di andare a prendere i figli e portarli a scuola, aveva deciso di farsi ancora una volta. Poi si sarebbe sentito meglio, avrebbe guardato i figli negli occhi sapendo di poter dire loro: io non vi abbandonerò mai. Altrimenti, temeva di non riuscirci.

Ancora in mutande era andato in bagno, aveva tirato fuor siringa e laccio e aveva preso in mano le due bustine. Su di una c’era un asso di picche, sull’altra quello di cuori. Non si ricordava più cosa gli aveva detto l’uomo che gliele aveva vendute, e decise di mettere nella siringa la povere che era in quella con su l’asso di picche.

Lo ritrovarono con la siringa ancora infilata nel braccio. C’erano otto bustine vuote vicino a lui e altre due ancora piene di eroina. Nessuno avrebbe mai saputo se aveva cercato apposta l’overdose.

Qualcuno nell’appartamento accese una radio. Si faceva fatica a sintonizzarsi, le frequenze erano disturbate. Fino a quando non venne captata una voce che veniva da molto lontano. Era la sua voce. Stava lanciando il suo ultimo messaggio al mondo:

“Cari ascoltatori, vi dico solo questo: che Dio vi benedica! Quanto a voi bastardi al potere, non sperate che sia finita! Anni che vanno, anni che vengono e i politici non faranno mai un cazzo per rendere il mondo un posto migliore! Ma ovunque nel mondo, ragazzi e ragazze avranno semre i loro sogni e tradurranno quei sogni in canzoni...
Non muore niente di importante questa notte! Solo 4 brutti ceffi su una nave di merda! L'unico dispiacere stanotte è che negli anni futuri ci saranno tante fantastiche canzoni, che non sarà nostro privilegio trasmettere ma, credete a me, saranno comunque scritte! E saranno comunque cantate! E saranno comunque la meraviglia del mondo!".


Philip Seymour Hoffman (July 23, 1967 – February 2, 2014)

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“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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