Decine di musicisti, buoni ultimi i Mudcrutch di Tom Petty - cantavano Six Days on the Road, l'inno non ufficiale di tutti gli american truck driver. Io mi sono accontentato di un triduo on the road. Ne è valsa la pena.
Day one
La direzione è il lago. La città è Como. L'artista che andiamo a vedere è Davide Van De Sfroos che festeggia dieci anni di carriera, da quando si esibì la prima volta nel prestigioso Teatro Sociale della città lacustre. A bordo con me Cowboy Annie e allora è cosa giusta ascoltare insieme il nuovo di Ryan Bingham. Che se piace poco anche a lei, la massima autorità mondiale in fatto di Ryan Bingham, allora vuol proprio dire che non è un gran disco. Il teatro invece è spettacolare, con cinque file di palchi, un'ottima acustica e sale e saloni vari pieni di vestigia del passato, finanche manifesti di rappresentazioni risalenti al 1852. Ce ne sono di fantasmi qua dentro, ci si potrebbe ambientare un formidabile Ultimo Valzer.
Ci muoviamo nel labirinto di scale e salette guidati dal preciso Maurizio Pratelli, che di questo teatro sembra il direttore: per lui, ogni porta si apre e ogni usciere si china. Ho dei grandi amici, non c'è che dire.
Tra il pubblico c'è anche il Cimino, ovviamente, con tanto di t-shirt con su scritto "il Cimino". Tanto per tenere lontana la Finanza. Dietro di me un omone che ogni due per tre mi stampa nei timpani "VAI FRATELLO" rivolto al Davide. Il concerto è splendido, un mood rilassato e amichevole, e l'inizio, con l'artista da solo che attacca Ave Maria mi commuove. Una preghiera, e tanto basta. Sul palco sale anche Beppe Dettori, il nuovo cantante dei Tazenda, figura massiccia dai lunghissimi capelli bianchi, splendida voce e in duetto fanno Ninna Nanna e altri pezzi, tra cui la psichedelica Hoka Hey. Tra i tanti bei momenti, la pseudo versione laghé di Frank's Wild Years è irresistibile.
All'after show party (ci sono anche il Cimino a cui non ho il coraggio di chiedere una foto insieme, anche perché non ho la macchina fotografica, e l'omone che gridava"VAI FRATELLO" che adesso però si è tranquillizzato) qualche breve chiacchiera con l'artista, ottimo vino e la soddisfazione di conoscere la simpatica moglie di Van De Sfroos che mi stupisce con un "Finalmente Paolo Vites ha un volto". Oddio.
Tasso alcolico: medio basso.
In macchina: Ryan Bingham, Road House Sun; Leonard Mynx, Vesper.
Ore di sonno: 5
(Frank @ Rolling Stone, foto di Valeria Beltrami)
Day two
Il leggendario Rolling Stone (tra i tanti, ricordo qui concerti di Mink de Ville e Van Morrison, entrambi nel 1991) di Milano non richiede molta strada. Se non fosse che Milano è sempre la stessa fottuta città di sempre, e la traffic jam è sempre nelle sue corsie. Sono gli ultimi giorni del Rolling Stone, prima della sua chiusura. Proviamo a respirare l'aria dei Fillmore last days. In macchina ancora Cowboy Annie e la mia rock'n'roll daughter.
L'amico Francesco D'Acri, Frank per gli amici, è il primo opener della serata, e mi/ci lascia a bocca aperta: 4 pezzi in acustico da solo, e vorrei dire che ho visto il futuro del rock'n'roll, ma non è la serata giusta per una frase come questa e poi Frank non fa rock'n'roll. Ma ne ha l'attitudine e benedico il suo buon cuore.
C'è un vecchio eroe che festeggia i vent'anni di carriera stasera. Quando sale sul palco Massimo Priviero ha indosso lo stesso spolverino che gli vidi a un concerto di esattamente vent'anni fa, ma è per questo che gli vogliamo bene. Mi/ci lascia anche lui tutti a bocca aperta con una carica rock - questa volta sì - che non mi sarei mai aspettato: grande band che pompa a mille, belle canzoni, sudore e passione. Non siamo al Bar Mario stasera, siamo al Rolling Stone. Qui si fa sul serio.
Tanti amici tra il pubblico, e soprattutto lui, my man Daniel, egregio direttore di testae come Rock Sound e Rock Star: mia figlia, la sventata, osa contraddirlo sull'effettivo valore musicale degli Slipknot. Non si fa, con un direttore non si fa. Ma so' ragazzi.
Tasso alcolico: basso, molto basso.
In macchina: Fleetwood Mac, un best.
Ore di sonno: 7 (fanculo all'ora legale).
Day three
Un cazzo di primavera. La meta oggi è la provincia di Pavia, proprio vicino alla splendida Certosa, ma piove a dirotto. Cowboy Annie lascia, ma sale a bordo my musical guardian angel, la ragazza che mi sta facendo ritrovare il gusto della musica. Ci sono discografici che vendono musica, e ci sono discografici che vendono emozioni. La Ro è nella seconda categoria. Facendomi scoprire personaggi straordinari come il songwriter canadese Barzin, ed è lui che io e la Ro stiamo andando a vedere in una cascina persa nella bassa, strade sterrate e profumo di terra buona. Davanti alla Certosa siamo indecisi sul percorso, allora ci fermiamo a chiedere: dentro, c'è una vecchietta che smercia liquori del 1800: sono i primi due bicchieri di una lunga, preziosa giornata. Barzin è già lì, nella cascina: ha in una mano una valigia e nell'altra Chronicles di Bob Dylan. L'intervista che facciamo, con un gatto rosso rosso che mi si piazza a fare le fusa sulla pancia, finisce per avere due soggetti unici: Bob Dylan e le donne.
The journo, the artist and magic the red cat
Per quando il concerto comincia ho già assaggiato tutti i tipi di vino rosso che la cascina propone. Ci sono gli amici della Ghost Records e poi arriverà anche Anna dai capelli rossi Viganò. Con loro e con Barzin, che altro un uomo può chiedere alla vita? Soltanto delle bellissime canzoni, che arrivano una dopo l'altra quando lui e la sua ottima band attaccano nella cornice magica (yes, I believe in magic) di questo palchetto addobbato di tende colorate in una stanza piena di storie antiche e di mistero. Barzin ci infila il classico tiro mancino quando lascia andare una Dance Me to the End of Love del suo compatriota Leonard Cohen. Sarà il Jack Daniel sommato al vino rosso di prima, ma ci scappa la lacrima. Anche di più.
Friends on the road
Adesso c'è soltanto la strada verso casa. Nella notte senza stelle mi viene in mente una frase di un vecchio amico: come è bello il mondo, come è grande Dio.
Tasso alcolico: totale.
In macchina: Francesco De Gregori, Buffalo Bill; Gene Clark, No Other; Fleetwood Mac, The Dance.
Ore di sonno: 5.
Monday, March 30, 2009
Thursday, March 26, 2009
Mr. Dylan's hard rain
Sto ascoltando il nuovo disco di Ryan Bingham, Road House Sun. C’è un pezzo che si intitola Dylan’s Hard Rain. Lui dice che l’ha scritta perché c’è bisogno di questi tempi di qualcuno che dica quello che Dylan diceva 40 e più anni fa. È un bel pezzo, ma non so se a Dylan farà piacere. Un po’ come quando Joan Baez nei primi 70 scrisse To Bobby chiedendogli di tornare a marciare per le strade e a scrivere “canzoni di protesta”. Il disco di Ryan mi sembra bello, ma stamattina sto pensando che il nuovo disco di Bob Dylan è già stato ascoltato – e recensito – da un giornalista americano, da due inglesi e finanche da tre tedeschi. E io chi cazzo sono? Un pirla, ma questo lo sapevamo già.
Qui trovate ampia recensione dettagliata: http://www.spex.de/579/artikel.html.
Non era mai successo prima che un disco del cantautore americano venisse dato in ascolto con così tanto anticipo e che fosse permesso scriverne in giro per il mondo. Il che fa pensare quello che alcuni dicono sia vero, cioè che il nuovo album non è gestito dalla Sony Columbia, ma direttamente dai “Dylan’s people”, pare incazzati non poco con la Sony per come ha gestito la commercializzazione di Tell Tale Signs con quella vergognosa promozione e quei prezzi allucinanti.
Ma la cosa dice anche che l’Italia non è granché considerata dai Dylan’s people, visto che ho buone certezze che prima di alcun giornalista italiano lo ascolterà qualche giornalista sud coreano.
Intanto Bob ha ripreso a fare concerti. Non sono deluso. Lo sono di più. Same fucking band degli ultimi anni, il combo più inutile della storia del rock. Same fucking keyboards. La prima sera c’è stato un piccolo scossone emotivo, ha debuttato Billy 4, il bellissimo pezzo originariamente su Pat Garrett & Billy The Kid. La seconda sera ha fatto capolino una rara One More Cup of Coffee. Non mi sono piaciute nessuna delle due. A parte la voce affaticata, quello che irrita da bestia è la solita mancanza di alcuna idea musicale, con questa band che non fa nulla di nulla, e Dylan che a metà canzone prende quell’insopportabile scatto ritmico dietro alle sue tastiere sillabando le parole come un metronomo incantato.
Il mi amico Ragman ha scritto credo in modo molto centrato su questa Bill 4: http://ragman-drawcircles.blogspot.com/2009/03/hanno-ucciso-billy-una-seconda-volta.html. Io non ne ho nessuna voglia e mi trascino stancamente al 15 aprile. Aspettando di leggere la recensione portoghese del nuovo disco di Dylan.
Qui trovate ampia recensione dettagliata: http://www.spex.de/579/artikel.html.
Non era mai successo prima che un disco del cantautore americano venisse dato in ascolto con così tanto anticipo e che fosse permesso scriverne in giro per il mondo. Il che fa pensare quello che alcuni dicono sia vero, cioè che il nuovo album non è gestito dalla Sony Columbia, ma direttamente dai “Dylan’s people”, pare incazzati non poco con la Sony per come ha gestito la commercializzazione di Tell Tale Signs con quella vergognosa promozione e quei prezzi allucinanti.
Ma la cosa dice anche che l’Italia non è granché considerata dai Dylan’s people, visto che ho buone certezze che prima di alcun giornalista italiano lo ascolterà qualche giornalista sud coreano.
Intanto Bob ha ripreso a fare concerti. Non sono deluso. Lo sono di più. Same fucking band degli ultimi anni, il combo più inutile della storia del rock. Same fucking keyboards. La prima sera c’è stato un piccolo scossone emotivo, ha debuttato Billy 4, il bellissimo pezzo originariamente su Pat Garrett & Billy The Kid. La seconda sera ha fatto capolino una rara One More Cup of Coffee. Non mi sono piaciute nessuna delle due. A parte la voce affaticata, quello che irrita da bestia è la solita mancanza di alcuna idea musicale, con questa band che non fa nulla di nulla, e Dylan che a metà canzone prende quell’insopportabile scatto ritmico dietro alle sue tastiere sillabando le parole come un metronomo incantato.
Il mi amico Ragman ha scritto credo in modo molto centrato su questa Bill 4: http://ragman-drawcircles.blogspot.com/2009/03/hanno-ucciso-billy-una-seconda-volta.html. Io non ne ho nessuna voglia e mi trascino stancamente al 15 aprile. Aspettando di leggere la recensione portoghese del nuovo disco di Dylan.
Wednesday, March 25, 2009
Rock'n'roll condom
I read the news today oh boy
(A Day in the Life, Beatles)
Hey hey I saved the world today
Everybodys happy now
The bad things gone away
And everybodys happy now
The good things here to stay
Please let it stay
(I Saved the World Today, Eurythmics)
Questo blog, tendenzialmente, si occupa solo di musica. Che già per l'autore di questo blog è un casino dire cose sensate sulla musica. Figuriamoci su altri argomenti. Quando però un musicista rock "sfora" lui stesso dal seminato, appunto la musica, anche l'autore di questo blog si sente di sforare. Un pochino.
L'altra sera a Milano c'era la divina Annie Lennox, impegnata in uno showcase solo voce e pianoforte per presentare la sua nuova raccolta di successi. Non sono andato, ma mi sarebbe piaciuto. Adoro Annie, una delle più belle voci degli ultimi 30 anni, anche se troppo virata al pop. Sono andato invece a vedere i Bishops, un divertente terzetto inglese di giovanissimi, specie di mix tra i Clash e i Jam con venature beatlesiane. Oddio, ancora un po' incapaci, musicalmente, ma con tutta la giusta carica rock giovanile che ci vuole. Il posto era uno dei miei preferiti di Milano, la Casa 139, c'erano dei cari amici e tanti ragazzi, per cui, let's rock.
Amici - e i giornali del giorno dopo - mi hanno raccontato di Annie Lennonx sparare a zero sul Papa. Che ovviamente può farlo benissimo. Non è un "Papa-post", questo. E' un post sulla manipolazione dei media e su come anche persone intelligenti come la Lennox ci caschino in pieno. Annie ha detto che il Papa è impazzito a dire che in Africa, per risolvere il problema Aids, il preservativo non vada usato. Ne ha dette anche di peggio. Come molti sui giornali e nei dibattiti, suggerendo che il Papa sia un assassino. Be' il Papa non ha mai detto che non bisogna usare il preservativo. Ha detto che il preservativo non è abbastanza per risolvere il problema dell'Aids (da quando in Africa si mandano ogni anno milioni di preservativi, si è passati dal milione di malati di Aids di vent'anni fa agli attuali venti milioni; il preservativo, come dicono studi scientifici non cattolici, ha un 10% di possibilità accertata di non servire al suo scopo). Il Papa ha detto poi che bisognerebbe concentrarsi su una educazione sessuale diversa da quella proposta fino ad oggi e poi ha anche detto che bisognerebbe spendere più soldi per le cure mediche. In Europa, dove il budget per le cure è aumentato considerevolmente, l'Aids è quasi sconfitto. In Africa, nonostante gli impegni presi al G8 del 2001, i paesi europei non danno praticamente soldi per le spese mediche. Si limitano a mandare milioni di preservativi. La Francia, il paese che più di tutti ha attaccato il Papa per cose non dette, è quello che ha mentito più di tutti sugli impegni presi in questo senso, mandando in Africa pochi euro - ma tanti preservativi. Oltre a essere il paese al mondo più schifosamente compromesso in Africa in guerre, vendita di armi, sostegno a dittature vergognose, massacri, razzsimo e quant'altro. E allora amici francesi, distorciamo le parole del Papa per nascondere le nostre malefatte.
Si sa infine che il preservativo è un business enorme, e che ci sono aziende del ricco (oggi mica così tanto...) occidente che hanno business pazzeschi con lo smercio di congdom in Africa. Pochi sanno però che queste aziende occidentali mandano ogni anno in Africa milioni di preservativi difettosi, scaduti, da buttare via e che non potrebbero vendere in Occidente.
Dunque il Papa non ha detto che non bisogna usare il preservativo (non ho voglia di mettere un sacco di link, se ne avete voglia sapete dove andare a leggere). Ha solo cercato di spostare un po' il problema per dire che quello che si fa oggi non è abbastanza e non è fatto bene. So what, Annie? Annie, come tutti i musicisti rock hai sempre parlato male dei mass media, quando sfioravano tuoi argomenti personali eccetera. Come mai questa volta ti sei fidata di quello che hai letto sul Guardian o sentito alla Bbc? Forse è perché la grande stampa è finanziata da certe aziende e da certi business capitalisti occidentali? Have you read the news, oh girl?
(A Day in the Life, Beatles)
Hey hey I saved the world today
Everybodys happy now
The bad things gone away
And everybodys happy now
The good things here to stay
Please let it stay
(I Saved the World Today, Eurythmics)
Questo blog, tendenzialmente, si occupa solo di musica. Che già per l'autore di questo blog è un casino dire cose sensate sulla musica. Figuriamoci su altri argomenti. Quando però un musicista rock "sfora" lui stesso dal seminato, appunto la musica, anche l'autore di questo blog si sente di sforare. Un pochino.
L'altra sera a Milano c'era la divina Annie Lennox, impegnata in uno showcase solo voce e pianoforte per presentare la sua nuova raccolta di successi. Non sono andato, ma mi sarebbe piaciuto. Adoro Annie, una delle più belle voci degli ultimi 30 anni, anche se troppo virata al pop. Sono andato invece a vedere i Bishops, un divertente terzetto inglese di giovanissimi, specie di mix tra i Clash e i Jam con venature beatlesiane. Oddio, ancora un po' incapaci, musicalmente, ma con tutta la giusta carica rock giovanile che ci vuole. Il posto era uno dei miei preferiti di Milano, la Casa 139, c'erano dei cari amici e tanti ragazzi, per cui, let's rock.
Amici - e i giornali del giorno dopo - mi hanno raccontato di Annie Lennonx sparare a zero sul Papa. Che ovviamente può farlo benissimo. Non è un "Papa-post", questo. E' un post sulla manipolazione dei media e su come anche persone intelligenti come la Lennox ci caschino in pieno. Annie ha detto che il Papa è impazzito a dire che in Africa, per risolvere il problema Aids, il preservativo non vada usato. Ne ha dette anche di peggio. Come molti sui giornali e nei dibattiti, suggerendo che il Papa sia un assassino. Be' il Papa non ha mai detto che non bisogna usare il preservativo. Ha detto che il preservativo non è abbastanza per risolvere il problema dell'Aids (da quando in Africa si mandano ogni anno milioni di preservativi, si è passati dal milione di malati di Aids di vent'anni fa agli attuali venti milioni; il preservativo, come dicono studi scientifici non cattolici, ha un 10% di possibilità accertata di non servire al suo scopo). Il Papa ha detto poi che bisognerebbe concentrarsi su una educazione sessuale diversa da quella proposta fino ad oggi e poi ha anche detto che bisognerebbe spendere più soldi per le cure mediche. In Europa, dove il budget per le cure è aumentato considerevolmente, l'Aids è quasi sconfitto. In Africa, nonostante gli impegni presi al G8 del 2001, i paesi europei non danno praticamente soldi per le spese mediche. Si limitano a mandare milioni di preservativi. La Francia, il paese che più di tutti ha attaccato il Papa per cose non dette, è quello che ha mentito più di tutti sugli impegni presi in questo senso, mandando in Africa pochi euro - ma tanti preservativi. Oltre a essere il paese al mondo più schifosamente compromesso in Africa in guerre, vendita di armi, sostegno a dittature vergognose, massacri, razzsimo e quant'altro. E allora amici francesi, distorciamo le parole del Papa per nascondere le nostre malefatte.
Si sa infine che il preservativo è un business enorme, e che ci sono aziende del ricco (oggi mica così tanto...) occidente che hanno business pazzeschi con lo smercio di congdom in Africa. Pochi sanno però che queste aziende occidentali mandano ogni anno in Africa milioni di preservativi difettosi, scaduti, da buttare via e che non potrebbero vendere in Occidente.
Dunque il Papa non ha detto che non bisogna usare il preservativo (non ho voglia di mettere un sacco di link, se ne avete voglia sapete dove andare a leggere). Ha solo cercato di spostare un po' il problema per dire che quello che si fa oggi non è abbastanza e non è fatto bene. So what, Annie? Annie, come tutti i musicisti rock hai sempre parlato male dei mass media, quando sfioravano tuoi argomenti personali eccetera. Come mai questa volta ti sei fidata di quello che hai letto sul Guardian o sentito alla Bbc? Forse è perché la grande stampa è finanziata da certe aziende e da certi business capitalisti occidentali? Have you read the news, oh girl?
Monday, March 23, 2009
The Man with the Blue Post Modern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar e Crazy Mary
Nasci a poche centinaia di metri dalle sue rive e passi i primi vent’anni della tua vita – quelli più importanti di una intera esistenza – sulle due sponde, vivendo in entrambe le due cittadine che si affacciano sul fiume. Lo hai attraversato migliaia di volte, nella pioggia e nel sole. Poi, anni dopo, sei su un tram a San Francisco e guardi curioso ogni palazzo ogni insegna fino a quando incredulo devi stropicciarti gli occhi per essere sicuro di quella insegna che hai visto su un piccolo e decadente alberghetto. Che dice: Entella Hotel. È uno scherzo? Che quel fiume di cui prima, l’Entella, lo conoscono giusto gli abitanti di Chiavari e Lavagna. Anche se ne aveva parlato seppur in modo ambiguo il sommo poeta nella sua commedia evitando di citare il nome di Lavagna perché gli abitanti del borgo si erano dimostrati scortesi con lui (“intra Chiavari e Sestri s’adima una fiumana bella…”, furbetto il Dante Alighieri).
L'Entella Hotel è qui, http://www.yelp.com/biz/entella-hotel-san-francisco, ed è bellissima la sua descrizione che ne fa un cliente: The place is a rat infested DUMP! A now late friend of mine used to call it, as he had lived there himself, the "Entoilet"!
Eppure in un disco di un paio di anni prima di quella visita nella Bay Area c’era una canzone che si chiamava proprio così, Entella Hotel. Era lo straordinario - e uno dai titoli più lunghi della storia del rock - The Man with the Blue Post Modern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar, autore Peter Case. Uno dei più bei dischi di songwriting degli anni 80, stupenda raccolta di canzoni tra Messico e NYC, tra il Mississippi e appunto San Francisco, scarno blues arruffato e solari ballate con il Rio Grande nel cuore. A bordo i talenti di Ry Cooder, membri dei Los Lobos e degli Heartbreakers e tra le tante una canzone che si chiamava appunto Entella Hotel. D’altro canto, come scoprii in quei giorni, a San Francisco c’è la più grossa comunità di espatriati genovesi d’America.
Peter Case, musicista straordinario, ha poi fatto tanti altri bei dischi, ad esempio il beatlesiano Six Pack of Love che contiene quella che Springsteen ha definito una delle più belle canzoni di sempre, Beyond the Blues. Devo anche averlo visto dal vivo una volta, ma ho dei ricordi confusi. O il suo show non fu all’altezza, o io ero troppo ubriaco per averne un qualsivoglia ricordo. Propendo per la seconda ipotesi.
Peter Case è stato anche marito di Victoria Williams. Che io adoro, anche se ho perso le sue tracce da tempo e i suoi dischi con i Creekdippers con l’altro (ex) marito Mark Olson non mi piacciono particolarmente. Ma questo è un poker da sballo, tutti imperdibili: Loose, This Moment: In Toronto With the Loose Band, Musings Of A Creek Dipper e Water To Drink. Lei è Crazy Mary, la Minnie del rock, la dolce consolatrice, la regina di cuori e tutto il resto. Il suo concerto lo ricordo benissimo, folgorante e incredibile insulto a ogni canone della performance così come la conosciamo. Solo Bob Dylan può essere più caoticamente intenso di lei. Alla fine del concerto, con l’allora marito Mark Olson, lui mi si avvicina e commenta: “She is crazy”. Spero stia bene adesso, Victoria. Anni fa si erano mobilitati tutti, da Lou Reed ai Pearl Jam per raccogliere fondi per curare la sua sclerosi multipla.
I love you, Vic. Questo video è tutt’oggi travolgente e non mi stanco mai di guardarlo.
L'Entella Hotel è qui, http://www.yelp.com/biz/entella-hotel-san-francisco, ed è bellissima la sua descrizione che ne fa un cliente: The place is a rat infested DUMP! A now late friend of mine used to call it, as he had lived there himself, the "Entoilet"!
Eppure in un disco di un paio di anni prima di quella visita nella Bay Area c’era una canzone che si chiamava proprio così, Entella Hotel. Era lo straordinario - e uno dai titoli più lunghi della storia del rock - The Man with the Blue Post Modern Fragmented Neo-Traditionalist Guitar, autore Peter Case. Uno dei più bei dischi di songwriting degli anni 80, stupenda raccolta di canzoni tra Messico e NYC, tra il Mississippi e appunto San Francisco, scarno blues arruffato e solari ballate con il Rio Grande nel cuore. A bordo i talenti di Ry Cooder, membri dei Los Lobos e degli Heartbreakers e tra le tante una canzone che si chiamava appunto Entella Hotel. D’altro canto, come scoprii in quei giorni, a San Francisco c’è la più grossa comunità di espatriati genovesi d’America.
Peter Case, musicista straordinario, ha poi fatto tanti altri bei dischi, ad esempio il beatlesiano Six Pack of Love che contiene quella che Springsteen ha definito una delle più belle canzoni di sempre, Beyond the Blues. Devo anche averlo visto dal vivo una volta, ma ho dei ricordi confusi. O il suo show non fu all’altezza, o io ero troppo ubriaco per averne un qualsivoglia ricordo. Propendo per la seconda ipotesi.
Peter Case è stato anche marito di Victoria Williams. Che io adoro, anche se ho perso le sue tracce da tempo e i suoi dischi con i Creekdippers con l’altro (ex) marito Mark Olson non mi piacciono particolarmente. Ma questo è un poker da sballo, tutti imperdibili: Loose, This Moment: In Toronto With the Loose Band, Musings Of A Creek Dipper e Water To Drink. Lei è Crazy Mary, la Minnie del rock, la dolce consolatrice, la regina di cuori e tutto il resto. Il suo concerto lo ricordo benissimo, folgorante e incredibile insulto a ogni canone della performance così come la conosciamo. Solo Bob Dylan può essere più caoticamente intenso di lei. Alla fine del concerto, con l’allora marito Mark Olson, lui mi si avvicina e commenta: “She is crazy”. Spero stia bene adesso, Victoria. Anni fa si erano mobilitati tutti, da Lou Reed ai Pearl Jam per raccogliere fondi per curare la sua sclerosi multipla.
I love you, Vic. Questo video è tutt’oggi travolgente e non mi stanco mai di guardarlo.
Thursday, March 19, 2009
Magic is here
Sono gli ultimi colpi. The Magic Tour è quasi alla fine. Allora grazie a Ivano Conti - http://www.rdrock.it - per aver permesso questa presentazione ieri sera a Bresso. Ancora una volta tanti amici, nella speranza che la magia sia arrivata anche questa volta. Grazie a "Professor" Giovanni De Cillis per la sua Redemption Songs che ormai è un classico di queste serate. All'esordiente (o quasi) Giorgio Natale che ha eseguito una toccante Anthem (bring the wife, next time...). Al "grande" Walter Muto, sugli scudi con 4 + 20 (Stephen Stills e le sue magiche accordature...), Place to Be (Nick Drake, decisa all'ultimo istante, solo i "grossi" musicisti possono fare queste cose) e Heart of Gold, perché è quello che abbiamo tutti noi che amiamo la musica, un cuore d'oro.
Appuntamento per chi è in zona sabato 21 a Gazzada (Varese), presso l'agriturismo WelcHome, Art Food Living, in via Morazzone 60. Alle ore 20 the magic writer parlerà del suo libro, e poi on stage performance acustica della band Country Bluegrass “The Piedmont Brothers Band” dell'amico Marco Zanzi che presenteranno il loro nuovo (e ottimo) cd Bordertown.
Inizio ore 20 e a seguire cena con buffet. Per chi vuole, prenotarsi per la cena allo 0332870770; e-mail:info@lorenziniwelchome.it.
Professor De Cillis
Giorgio "Anthem" Natale
"Uòlter" Walter Muto
Stay tuned, a maggio a Dio piacendo the last magic waltz, una celebrazione in musica (tanta) e parole (poche). La strada verso casa è quasi al termine. Keep rockin'. It was a strange trip, but it was worthwhile.
Grazie ancora una volta al "magic photographer" Federico Ferragni.
and now, Magic is on the tube too
Appuntamento per chi è in zona sabato 21 a Gazzada (Varese), presso l'agriturismo WelcHome, Art Food Living, in via Morazzone 60. Alle ore 20 the magic writer parlerà del suo libro, e poi on stage performance acustica della band Country Bluegrass “The Piedmont Brothers Band” dell'amico Marco Zanzi che presenteranno il loro nuovo (e ottimo) cd Bordertown.
Inizio ore 20 e a seguire cena con buffet. Per chi vuole, prenotarsi per la cena allo 0332870770; e-mail:info@lorenziniwelchome.it.
Professor De Cillis
Giorgio "Anthem" Natale
"Uòlter" Walter Muto
Stay tuned, a maggio a Dio piacendo the last magic waltz, una celebrazione in musica (tanta) e parole (poche). La strada verso casa è quasi al termine. Keep rockin'. It was a strange trip, but it was worthwhile.
Grazie ancora una volta al "magic photographer" Federico Ferragni.
and now, Magic is on the tube too
Saturday, March 14, 2009
Together through life
Amo quest'uomo. Soprattutto perché non mi lascia mai da solo. Guardate che bello il titolo del suo nuovo disco finalmente annunciato ufficialmente dopo tante speculazioni. Together through life, "insieme attraverso la vita". Bob Dylan ha quasi 70 anni, eppure è profondamente dentro lo scorrere della vita. Che lo stia dicendo alla donna che ama adesso, alla donna amata una volta lontana e che adesso non c'è più, ai figli, agli amici (ai fans?), questo titolo esprime tutta la bellezza del cuore dell'uomo: "insieme" e "vita". Perché da soli non si va da nessuna parte, e perché vivere, comunque ci riusciamo e quanto maledettamente duro sia, è il compito che abbiamo.
Non ho bisogno di altro, quasi neanche di ascoltare come saranno le nuove canzoni. Quando la vita in un pomeriggio ti crolla addosso peggio del muro di Berlino, è bello sapere che c'è qualcuno che vuole andare insieme a te attraverso la vita.
Bob Dylan parla del nuovo disco
http://www.bobdylan.com/#/conversation
http://www.amazon.com/Together-Through-Life-Vinyl-Dylan/dp/B001VNB57M/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=music&qid=1237024409&sr=1-1
Qua invece la recensione quasi completa del disco:
http://www.mojo4music.com/blog/2009/03/new_dylan_album_our_first_list.html
Non ho bisogno di altro, quasi neanche di ascoltare come saranno le nuove canzoni. Quando la vita in un pomeriggio ti crolla addosso peggio del muro di Berlino, è bello sapere che c'è qualcuno che vuole andare insieme a te attraverso la vita.
Bob Dylan parla del nuovo disco
http://www.bobdylan.com/#/conversation
http://www.amazon.com/Together-Through-Life-Vinyl-Dylan/dp/B001VNB57M/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=music&qid=1237024409&sr=1-1
Qua invece la recensione quasi completa del disco:
http://www.mojo4music.com/blog/2009/03/new_dylan_album_our_first_list.html
Thursday, March 12, 2009
Jonny Kaplan & the lazy journos
Giovani cronisti crescono. Questa volta il Good Doctor ha tenuto a battesimo l'amico Lorenzo Randazzo. Ecco la sua cronaca di una serata davvero groovy, tra registratori d'antan, domande improvvisate e grande musica. Grazie a Jonny Kaplan, soprattutto:
di Lorenzo Randazzo
Eccoci finalmente alla rinnovata Blueshouse di Milano con Paolo Vites alla prima data del tour di Jonny Kaplan che lo porterà in giro per il nord Italia nei mesi di marzo e aprile. Con Jonny, dopo averlo visto, conosciuto e apprezzato dal vivo lo scorso novembre, è nato un rapporto che ci ha consentito di mantenere un contatto nel corso di questi mesi.
Paolo accetta di buon grado l’incontro con Jonny e nel far questo mi assegna il compitino: “Occupati tu degli accrediti e prepara l’intervista, io porto il registratore”. Wow!
Da bravo scolaretto eseguo, mi documento, recupero gli album di Jonny, cerco di ascoltare i brani con attenzione e metto giù una bozza di temi da approfondire nel corso dell’intervista. Insomma mi applico. Alla nostra vista Jonny è subito cordiale, mi saluta come se ci fossimo visti la sera prima e accompagnati dai feedback di Max Prandi ci mettiamo a sedere nel posto più appartato del locale per l’intervista. Paolo: “Andiamo più in fondo altrimenti non si sente bene…”. Inizio ad insospettirmi.
Paolo parte a bomba con una domanda. Cosa?!?! Ma non era compito mio? Bah, mi adeguo al professionista: “Da dove vieni”? Facile, banale, francamente mi aspettavo qualcosa di meglio da Paolo Vites (nota di PV: non era una domanda, era l'usuale "rompiamo il ghiaccio"). Comunque era anche la mia prima domanda. Bruciata. Jonny preso alla sprovvista inizia rispondere interrogandosi se la domanda fosse già parte dell’intervista o fosse puro interesse personale. E inizia a parlare a ruota libera.
Paolo da navigato giornalista quale è, non perde l’attimo e con un gesto ormai fin troppo familiare per lui estrae dal taschino la sua colt d’ordinanza, un vecchio mangianastri recorder del tipo – premi per tre secondi due tasti contemporaneamente con il pollice e l’indice - e che la registrazione abbia inizio. Le funzioni Reverse e di riduzione rumore ne impreziosiscono il valore.
Con quel gioiellino della tecnologia Serpico l’avrebbero fatto fuori ormai da un pezzo. Rimango di sasso. Ero a conoscenza della crisi del mercato discografico ma caspita mi aspettavo che il C-a-p-o R-e-d-a-t-t-o-r-e di JAM (nota di PV: non son il caporedattore di Jam) adottasse il meglio che la tecnologia mette a disposizione: micro registratore con flash memory da 4GB, 4 microfoni a 4 vie, comandi interamente servoassistiti Full logic, MP3, WAV, WMA. Insomma il meglio disponibile in commercio.
Niente di tutto questo. Walkman con microfono incorporato, ben assestato sotto la mascella dell’artista per cogliere al meglio l’accento del simpatico songwriter californiano. Basta saperlo. In realtà potevo immaginarlo. Paolo è un giornalista vecchio stampo, alla Almost Famous per interderci. E questo è decisamente il suo bello.
Andiamo avanti. Paolo mi da spazio, come da accordi. Sollecitato dalla mie domande Jonny ci racconta come abbia iniziato a suonare la chitarra dall'età di 13 anni, di come poi ha iniziato a cantare e comporre. Jonny ufficialmente suona in una band, i Lazy Stars, ma si considera un solista proprio come i suoi idoli: Tom Petty & The Heartbreakers o Dylan & The Band. Ama suonare, è la sua vita, ma ha bisogno di condividere con gli altri della band le proprie emozioni, le proprie esperienze. Nel contempo è un loner, nell’accezione positiva del termine, vuole rispondere in prima persona alla realtà che si fa incontro e non ha paura a mettersi in discussione. Viaggia dove lo chiamano. California, Spagna e Italia sono la sua casa. Home concerts piuttosto che big music festivals non fanno differenza. L’importante è imbracciare la chitarra e poi iniziare a cantare. Non mi dilungo oltre. Della conversazione con il simpatico Jonny se ne leggerà sul prossimo numero di JAM.
(Il Good Doctor, Jonny e Lorenzo Impossible Randazzo)
A fine concerto Jonny ci ringrazia da vero gentleman e si dice onorato di essere stato intervistato da JAM che a detta sua è “il vero Rolling Stone italiano”. Poco importa chi lo abbia istruito in merito, tanto basta per far felice Paolo come un bambino.
Contento e soddisfatto del mio operato mi metto comodo a sorseggiare una birretta fresca. L’incanto s’interrompe bruscamente. “ Che domande di merda, cazzo la prossima volta le domande me le fai vedere prima” mi rimbrotta Paolo. Mi crolla tutto. Mi riprendo solo nel bel mezzo del concerto quando Jonny gentilmente mi dedica un’ottima e torrida“ Lover of the Bayou” dei Byrds (nota di PV: durante l'intervista Lorenzo gli aveva detto che era una cover dei Mudcrutch...) rivisitata e reinterpretata con linfa nuova dai Mudcrutch nel miglior album (omonimo) del 2008.
Per la cronaca durante lo show Jonny offre il meglio del suo repertorio rock, country, blues (manca niente?!?). La scaletta alterna pezzi dall’ultimo album Seasons con brani tratti dai suoi primi dischi California Heart e Ride Free. Su tutte la dylaniata Miracle Mile Madonna, la title track Seasons, l’ottimo rock blues Smoking Tar, la dirompente Long Rain e la straripante Ride Free . L’esibizione è impreziosita da due ulteriori cover: It’s not my cross to bear degli Allman Brothers d’annata e chiusura in bellezza con I shall be released (Dylan) degna della Rolling Thunder Revue..
Una nota di merito alla band che accompagna Jonny per l’intera tournée che per 2/3 è italiana: agli ottimi Luca Crippa (chitarra) e Tony Rotta (batteria) si conta il fido braccio destro Jokin Salabarria (basso) spagnolo.
Saluto e ringrazio Paolo per la bella serata che si rivolge a me dicendomi: “sbobini tu?” sbobinare?!? Ah già! L’ultima volta che ho sentito pronunciare questa parola è stato circa 10 anni fa quando ancora in università si registravano le lezioni per poi fare le dispense! Lavoro terribile (nota di PV: io lo faccio quasi ogni mese).
Comunque accetto di buon grado. Paolo mi congeda dicendo “ti mando la cassetta”.Salgo in macchina e tra me e me penso "ma come cavolo fa a mandarmi la cassetta?!? Via posta?!? Piuttosto come diavolo faccio io a sbobinare se in tutta la casa non ho più neanche un mangiacassette?!?"
Alla prossima Jonny. Alla prossima Paolo.
di Lorenzo Randazzo
Eccoci finalmente alla rinnovata Blueshouse di Milano con Paolo Vites alla prima data del tour di Jonny Kaplan che lo porterà in giro per il nord Italia nei mesi di marzo e aprile. Con Jonny, dopo averlo visto, conosciuto e apprezzato dal vivo lo scorso novembre, è nato un rapporto che ci ha consentito di mantenere un contatto nel corso di questi mesi.
Paolo accetta di buon grado l’incontro con Jonny e nel far questo mi assegna il compitino: “Occupati tu degli accrediti e prepara l’intervista, io porto il registratore”. Wow!
Da bravo scolaretto eseguo, mi documento, recupero gli album di Jonny, cerco di ascoltare i brani con attenzione e metto giù una bozza di temi da approfondire nel corso dell’intervista. Insomma mi applico. Alla nostra vista Jonny è subito cordiale, mi saluta come se ci fossimo visti la sera prima e accompagnati dai feedback di Max Prandi ci mettiamo a sedere nel posto più appartato del locale per l’intervista. Paolo: “Andiamo più in fondo altrimenti non si sente bene…”. Inizio ad insospettirmi.
Paolo parte a bomba con una domanda. Cosa?!?! Ma non era compito mio? Bah, mi adeguo al professionista: “Da dove vieni”? Facile, banale, francamente mi aspettavo qualcosa di meglio da Paolo Vites (nota di PV: non era una domanda, era l'usuale "rompiamo il ghiaccio"). Comunque era anche la mia prima domanda. Bruciata. Jonny preso alla sprovvista inizia rispondere interrogandosi se la domanda fosse già parte dell’intervista o fosse puro interesse personale. E inizia a parlare a ruota libera.
Paolo da navigato giornalista quale è, non perde l’attimo e con un gesto ormai fin troppo familiare per lui estrae dal taschino la sua colt d’ordinanza, un vecchio mangianastri recorder del tipo – premi per tre secondi due tasti contemporaneamente con il pollice e l’indice - e che la registrazione abbia inizio. Le funzioni Reverse e di riduzione rumore ne impreziosiscono il valore.
Con quel gioiellino della tecnologia Serpico l’avrebbero fatto fuori ormai da un pezzo. Rimango di sasso. Ero a conoscenza della crisi del mercato discografico ma caspita mi aspettavo che il C-a-p-o R-e-d-a-t-t-o-r-e di JAM (nota di PV: non son il caporedattore di Jam) adottasse il meglio che la tecnologia mette a disposizione: micro registratore con flash memory da 4GB, 4 microfoni a 4 vie, comandi interamente servoassistiti Full logic, MP3, WAV, WMA. Insomma il meglio disponibile in commercio.
Niente di tutto questo. Walkman con microfono incorporato, ben assestato sotto la mascella dell’artista per cogliere al meglio l’accento del simpatico songwriter californiano. Basta saperlo. In realtà potevo immaginarlo. Paolo è un giornalista vecchio stampo, alla Almost Famous per interderci. E questo è decisamente il suo bello.
Andiamo avanti. Paolo mi da spazio, come da accordi. Sollecitato dalla mie domande Jonny ci racconta come abbia iniziato a suonare la chitarra dall'età di 13 anni, di come poi ha iniziato a cantare e comporre. Jonny ufficialmente suona in una band, i Lazy Stars, ma si considera un solista proprio come i suoi idoli: Tom Petty & The Heartbreakers o Dylan & The Band. Ama suonare, è la sua vita, ma ha bisogno di condividere con gli altri della band le proprie emozioni, le proprie esperienze. Nel contempo è un loner, nell’accezione positiva del termine, vuole rispondere in prima persona alla realtà che si fa incontro e non ha paura a mettersi in discussione. Viaggia dove lo chiamano. California, Spagna e Italia sono la sua casa. Home concerts piuttosto che big music festivals non fanno differenza. L’importante è imbracciare la chitarra e poi iniziare a cantare. Non mi dilungo oltre. Della conversazione con il simpatico Jonny se ne leggerà sul prossimo numero di JAM.
(Il Good Doctor, Jonny e Lorenzo Impossible Randazzo)
A fine concerto Jonny ci ringrazia da vero gentleman e si dice onorato di essere stato intervistato da JAM che a detta sua è “il vero Rolling Stone italiano”. Poco importa chi lo abbia istruito in merito, tanto basta per far felice Paolo come un bambino.
Contento e soddisfatto del mio operato mi metto comodo a sorseggiare una birretta fresca. L’incanto s’interrompe bruscamente. “ Che domande di merda, cazzo la prossima volta le domande me le fai vedere prima” mi rimbrotta Paolo. Mi crolla tutto. Mi riprendo solo nel bel mezzo del concerto quando Jonny gentilmente mi dedica un’ottima e torrida“ Lover of the Bayou” dei Byrds (nota di PV: durante l'intervista Lorenzo gli aveva detto che era una cover dei Mudcrutch...) rivisitata e reinterpretata con linfa nuova dai Mudcrutch nel miglior album (omonimo) del 2008.
Per la cronaca durante lo show Jonny offre il meglio del suo repertorio rock, country, blues (manca niente?!?). La scaletta alterna pezzi dall’ultimo album Seasons con brani tratti dai suoi primi dischi California Heart e Ride Free. Su tutte la dylaniata Miracle Mile Madonna, la title track Seasons, l’ottimo rock blues Smoking Tar, la dirompente Long Rain e la straripante Ride Free . L’esibizione è impreziosita da due ulteriori cover: It’s not my cross to bear degli Allman Brothers d’annata e chiusura in bellezza con I shall be released (Dylan) degna della Rolling Thunder Revue..
Una nota di merito alla band che accompagna Jonny per l’intera tournée che per 2/3 è italiana: agli ottimi Luca Crippa (chitarra) e Tony Rotta (batteria) si conta il fido braccio destro Jokin Salabarria (basso) spagnolo.
Saluto e ringrazio Paolo per la bella serata che si rivolge a me dicendomi: “sbobini tu?” sbobinare?!? Ah già! L’ultima volta che ho sentito pronunciare questa parola è stato circa 10 anni fa quando ancora in università si registravano le lezioni per poi fare le dispense! Lavoro terribile (nota di PV: io lo faccio quasi ogni mese).
Comunque accetto di buon grado. Paolo mi congeda dicendo “ti mando la cassetta”.Salgo in macchina e tra me e me penso "ma come cavolo fa a mandarmi la cassetta?!? Via posta?!? Piuttosto come diavolo faccio io a sbobinare se in tutta la casa non ho più neanche un mangiacassette?!?"
Alla prossima Jonny. Alla prossima Paolo.
Tuesday, March 10, 2009
American prayer
Apro le mie braccia al vento e dico alla mia testa di piegarsi
Darei rifugio al mondo con le mie membra e canterei se sapessi come fare
….
Non c’è nient’altro da vedere qui se non la luce
Hai chiesto
Riceverai
(You Asked, Leonard Mynx)
Elmire, stato di New York. Qua c’è la tomba di Mark Twain. Poco più in là una vecchia prigione di mattoni e di ferro. Lungo il fiume, un sito che solo i più vecchi di Elmire sano cosa ci fosse lì un tempo. Lo chiamavano “death camp”. Era una prigione dell’esercito unionista ai tempi della guerra di secessione, dove i confederati videro l’inferno su questa terra.
Elmire, alla fine del ventesimo secolo subisce l’oltraggio delle inondazioni e poi la morte dell’industria americana. Una città di dannati, e se a Leonard Mynx fu inflitta la condanna a vita per esserci nato, Leonard Myx riuscì a fuggirne.
Sulle orme di Mark Twain ha percorso le strade del suo paese e ne è tornato con una manciata di canzoni buone abbastanza per metterle su disco. Ha chiesto aiuto ad Adam Selzer, piccolo mago della consolle indie che già aveva aiutato talenti come M Ward e i Decemberists e ha dato al mondo le sue preghiere, recitate in forma di vespri.
Vesper si chiama infatti il suo piccolo grande disco che come tanti piccoli grandi dischi rimarrà sconosciuto ai più. Non è il solito disco indie sfigato. Mynx sa scrivere canzoni e le sa cantare. Ha imparato la lezione del Dylan “from north country”, quello folkie, e ci ha messo insieme il Nebraska di Springsteen. Il che è pressappoco la stessa cosa. Mynx ha imparato poi una cosa o due sulla redenzione possibile. Le sue canzoni celebrano la vita, non la uccidono, anche se parlano di donne abbandonate con figli da crescere o di eroina. Anche nei tetri, angoscianti quasi dieci minuti di Robert, c’è una voce che emerge ltre il suo stesso interprete.
Viola, violino, una tromba, angeliche voci femminili, mandolino, fisarmonica, pedal steel. Tutto toccato in punta di dita. Perché a Elmir, quando le ombre lunghe della notte calano sui muri della vecchia prigione, sul prato che ospitò il death camp, sulla lapide di Mark Twain, si alza una preghiera americana. È il vespro di Leonard Mynx che celebra la lezione della vita e della morte.
http://takethesongsandrun.wordpress.com/2009/02/09/leonard-mynx/
http://www.myspace.com/leonardmynx
Darei rifugio al mondo con le mie membra e canterei se sapessi come fare
….
Non c’è nient’altro da vedere qui se non la luce
Hai chiesto
Riceverai
(You Asked, Leonard Mynx)
Elmire, stato di New York. Qua c’è la tomba di Mark Twain. Poco più in là una vecchia prigione di mattoni e di ferro. Lungo il fiume, un sito che solo i più vecchi di Elmire sano cosa ci fosse lì un tempo. Lo chiamavano “death camp”. Era una prigione dell’esercito unionista ai tempi della guerra di secessione, dove i confederati videro l’inferno su questa terra.
Elmire, alla fine del ventesimo secolo subisce l’oltraggio delle inondazioni e poi la morte dell’industria americana. Una città di dannati, e se a Leonard Mynx fu inflitta la condanna a vita per esserci nato, Leonard Myx riuscì a fuggirne.
Sulle orme di Mark Twain ha percorso le strade del suo paese e ne è tornato con una manciata di canzoni buone abbastanza per metterle su disco. Ha chiesto aiuto ad Adam Selzer, piccolo mago della consolle indie che già aveva aiutato talenti come M Ward e i Decemberists e ha dato al mondo le sue preghiere, recitate in forma di vespri.
Vesper si chiama infatti il suo piccolo grande disco che come tanti piccoli grandi dischi rimarrà sconosciuto ai più. Non è il solito disco indie sfigato. Mynx sa scrivere canzoni e le sa cantare. Ha imparato la lezione del Dylan “from north country”, quello folkie, e ci ha messo insieme il Nebraska di Springsteen. Il che è pressappoco la stessa cosa. Mynx ha imparato poi una cosa o due sulla redenzione possibile. Le sue canzoni celebrano la vita, non la uccidono, anche se parlano di donne abbandonate con figli da crescere o di eroina. Anche nei tetri, angoscianti quasi dieci minuti di Robert, c’è una voce che emerge ltre il suo stesso interprete.
Viola, violino, una tromba, angeliche voci femminili, mandolino, fisarmonica, pedal steel. Tutto toccato in punta di dita. Perché a Elmir, quando le ombre lunghe della notte calano sui muri della vecchia prigione, sul prato che ospitò il death camp, sulla lapide di Mark Twain, si alza una preghiera americana. È il vespro di Leonard Mynx che celebra la lezione della vita e della morte.
http://takethesongsandrun.wordpress.com/2009/02/09/leonard-mynx/
http://www.myspace.com/leonardmynx
Monday, March 09, 2009
Sunday, March 08, 2009
A love song for Bobby Long
"Guarda l'invisibile e saprai che cosa scrivere"
(dal film A love song for Bobby Long)
"Noi non cesseremo mai di esplorare e alla fine del nostro esplorare torneremo là dove siamo partiti e conosceremo il posto per la prima volta"
(T.S. Eliot, dal film A love song for Bobby Long)
(dal film A love song for Bobby Long)
"Noi non cesseremo mai di esplorare e alla fine del nostro esplorare torneremo là dove siamo partiti e conosceremo il posto per la prima volta"
(T.S. Eliot, dal film A love song for Bobby Long)
Wednesday, March 04, 2009
The blood of the land
David Fricke, uno dei più brillanti music writer d’America, a quanto pare l’ha ascoltato. Sul Rolling Stone americano di questi giorni c’è una sua breve preview del nuovo disco di Bob Dylan, che dice è ancora senza titolo.
Gli indizi disseminati sono estremamente interessanti, ad esempio le liriche citate (”I'm listening to Billy Joe Shaver/And I'm reading James Joyce/Some people tell me I got the blood of the land in my voice”). Non è la prima volta che Dylan cita I suoi ascolti musicali (“I’m listening to Neil Young….” ricordate?), o le sue letture (Dante Alighieri in Tangled Up In Blue). Ma quello che piace è quella frase “Ho il sangue della nazione nella mia voce”. Già, la voce dell’America è da quattro decenni quella di Bob Dylan.
Piacciono anche gli indizi musicali disseminati (bluesy border town, raw-country love songs, una “bleak ballad with mandolin and pedal steel”, un “seductive border-café feel”, “Texas dance hall jump”….).
Ecco il testo integrale di Fricke. Il countdown è cominciato. Revolution is in the air.
DYLAN RECORDS SURPRISE 'MODERN TIMES' FOLLOW-UP
Dark new disc with a bluesy border-town feel arrives in April
By David Fricke
Bob Dylan sings in a leathery growl, capturing the essence of his forthcoming studio album - raw-country love songs, sly wordplay and the wounded state of the nation - in "I Feel a Change Coming On," one of the record's 10 new originals.
Set for late April, the as-yet-untitled album arrives a few months after Dylan's outtakes collection Tell Tale Signs and it "came as a surprise," says a source close to Dylan's camp. Last year, filmmaker Olivier Dahan, who directed the 2007 Edith Piaf biopic, La Vie en Rose, approached Dylan about writing songs for his next feature. Dylan responded with "Life Is Hard," a bleak ballad with mandolin, pedal steel and him singing in a dark, crystal clear voice, "The evening winds are still/I've lost the way and will". (The song appears in the film My Own Love Song, starring Renee Zellweger.)
Inspired, Dylan kept writing and recording songs with his road band and guests, with Los Lobos' David Hidalgo rumored on the accordion. Dylan produced the album under his usual pseudonym, Jack Frost.
The disc has the live-in-the-studio feel of Dylan's last two studio records, 2001's “Love & Theft” and 2006's Modern Times, but with the seductive border-cafe feel (courtesy of the accordion on every track) and an emphasis on struggling-love songs. The effect - in the opening shuffle, "Beyond Here Lies Nothin'," the Texas-dance-hall jump of "If You Ever Go To Houston" and the waltz "This Dream of You" - is a gnarly turn on early-1970's records like New Morning and Planet Waves.
Dylan makes references to the national chaos, as on the viciously funny slow blues "My Wife's Home Town" ("State gone broke, the country's dry/Don't me lookin' at me with that evil eye"), culminating in the deceptive rolling rock of "It's All Good". Against East L.A. accordion and a snake's nest of guitars, Dylan tells you how bad things are - "Brick by brick they tear you down/A teacup of water is enough to drown" - then ices each verse with the title line, a pithy shot of sneering irony and calming promise.
"You would never expect the record after Modern Times to sound like this", the source says. "Bob takes all of those disparate elements you hear and puts them into a track. But you can't put your finger on it - 'It sounds exactly like that.' That's why he's so original."
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