Monday, November 23, 2015

Le foglie morte

La parata di poliziotti e carabinieri con il mitragliatore stretto fra le mani sembra uscire da quel vicolo della desolazione che il cantante che stiamo andando a sentire ha cantato tante volte. Fa davvero impressione trovarsi in una lunga colonna che procede lentamente verso l’ingresso con quella scorta armata fino ai denti: è guerra. La spensieratezza di un concerto svanisce mentre procedi a piccoli passi e non puoi pensare che in un teatro simile una settimana fa esatta tanti come te sono morti ammazzati durante un concerto. I controlli uno a uno, con il metal detector, le borse aperte e scandagliate a fondo, i computer lasciati forzatamente agli uomini armati all’ingresso: è guerra.
Dentro per fortuna l’atmosfera cambia, e quando le luci si spengono e le prime note delle chitarre al buio si spargono nella sala comincia un applauso all’inizio timido perché ancora congelato dai pensieri di prima. Poi sempre più forte mano a mano che nella penombra i musicisti raccolgono i loro strumenti e infine diventa un boato di liberazione, potente, selvaggio, ininterrotto quando la figurina esile di Bob Dylan prende il suo posto. Sembriamo dire: ce l’abbiamo fatta, siamo vivi, e lui è qui con noi, che lotta e piange con noi.



Da quel momento alla fine tutto il concerto è racchiuso dal brano che lo apre a quello che lo chiude, come due profezie, come due implacabili maledizioni, come quel senso di umanità follemente incomprensibile che è la cifra stessa delle canzoni di Dylan. “People are crazy and times are strange I’m locked in tight, I’m out of range I used to care, but things have changed” sputa fuori quasi con disprezzo nell’iniziale Things Have Changed. Canzone vincitrice di un premio Oscar, scritta nel 2000 ancora prima degli attentati alle Torri Gemelle, contiene tutta l’inquietante e misteriosa capacità profetica del suo autore: “La gente è pazza, i tempi sono strani, sono ingessato qui, sono fuori vista, una volta me ne importava ma adesso le cose sono cambiate”. Il senso però questa volta sembra diverso: non è più lo sprezzante annuncio di chi ha rinunciato a vivere perché la vita è diventata incomprensibile e si chiama fuori. Adesso è quasi il lamento di chi chiede perdono per non essere capace di cambiare il mondo e se stesso.


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Wednesday, November 11, 2015

Backstage Pass

Paolo Vites, giornalista musicale da circa 25 anni, ne ha visti di concerti. Dai primi, a fine anni 70, quando la musica dal vivo tornò a essere celebrata dopo una stagione di molotov e autoriduzioni, a oggi. Dagli stadi ai piccoli club, dalle capitali europee ai paesini della provincia, da Bruce Springsteen agli esordienti, spesso con incontri backstage e avventure degne di un Hunter Thompson. Ecco perché il libro si intitola “sulla strada con il Good Doctor, in tributo al grande maestro del giornalismo gonzo.
Perché Paolo Vites pur amando la musica come una religione – le canzoni sono le mie preghiere dice spesso – mantiene un tono ironico, mai pretenzioso, spesso autocritico per raccontare la musica che ama.


Questo libro è l’ideale seguito di quello pubblicato nel 2011 (Un sentiero verso le stelle, sulla strada con Bob Dylan, Pacini Editore) dove venivano raccontati alcuni delle dozzine di concerti visti di Bob Dylan, sua prima e massima passione. Adesso lo scenario si allarga: dalla fine degli anni 70 fino a oggi. Qualche nome? David Bromberg, Francesco Guccini, Crosby, Stills, Nash, Neil Young, Springsteen, Nick Cave, Kris Kristofferson, The National, WilcoLeonard Cohen. Ogni concerto una avventura indimenticabile, al limite della sopravvivenza. Scritto nel sangue.

(disponibile adesso su Amazon a questo link)

L'unica presentazione del libro si terrà domenica 6 dicembre 2015

dalle ore 16:00 alle ore 20:00

All'UnaeTrentacinqueCirca

Via Papa Giovanni XXIII, 7, 22063 Cantù

Presentazione del nuovo disco di Calonego Arturo Sergio e del libro di Paolo Vites, con ospiti musicali Walter Muto Francesco D'Acri Luca Rovini


Le presentazioni "ufficiali" ci hanno stancato. L'artista siamo noi. Come diceva Patti Smith, "anche quando cambiavo i pannolini ai miei figli non smettevo mai di comporre, ero sempre un'artista".
Abbiamo deciso di inventarci un pomeriggio di festa per tutti, chi suona, chi scrive, chi ha figli. Al pomeriggio e non di sera così vengono anche i bambini. Stile pub inglese dove si va la domenica pomeriggio per stare insieme e poi non c'è il problema di fare tardi o trovare traffico.
Dalle ore 16 alle ore 20, domenica 6 dicembre, nella mitica cornice del locale Una & 35 di Cantù con l'amico Carlo Prandini che ci benedice tutti.
In questo spazio di tempo ci riapproprieremo del territorio che i media ci hanno scippato. Una vera e propria invasione di campo per demolire delle liturgie che ci sono state imposte. Se saremo così delinquenti da crederci forse battezziamo un pensiero diverso ovvero che si può raccontare di un disco, di un libro in modo veramente indipendente. Senza tralasciare il fatto importantissimo che se il giorno dopo qualcuno ti chiede cosa hai fatto domenica sera puoi risponde “sono rimasto a casa con la famiglia” . E non ti rompe i coglioni nessuno.
Calonego Arturo Sergio presenterà il suo nuovo disco DADIGADI, con interventi dell'amico e grande collega chitarrista Walter Muto.
Francesco D'Acri e Luca Rovini appariranno a sorpresa qua e là con le loro canzoni. Stefano Corsini distribuirà regali di Natale vestito da Babbo Natale. Paolo Vites intratterrà con un quiz musicale per giustificare il suo nuovo libro https://www.facebook.com/Backstage-Pass-il-nuovo-libro-di…/….
Ci sarà anche uno spazio OPEN MIKE se qualcuno vorrà esibirsi, e magari una jam finale se saremo ancora in grado di stare in piedi, Bloody Mary e birra permettendo…
Venderemo i nostri dischi e i nostri libri. Ci divertiremo. Se qualcuno ha voglia di contribuire, sono gradite torte.
Ci vediamo domenica 6 dicembre a Cantù.

Friday, November 06, 2015

Maria, la fata e un vino da poco

Menzogne. Il mondo è basato su un mucchio di menzogne. Based on lies. Lies. Menzogna. A un certo punto della vita anche chi è così tardo da essersi sempre fidato di tutto e tutti non può che andare a sbattere contro il muro delle menzogne. L'ho sempre avuto nel retrobottega del cervello, poi un giorno è stato tutto evidente. Quando uscì il disco dei Cheap Wine quelle parole si conficcarono in uno spazio che si era aperto di suo, adesso mi martellano la mente ogni istante. Lies. Based on lies. Ci voleva un gruppo coraggioso, non certe parodie di gruppi rock di oggigiorno, per tirare fuori quelle parole. Ognuno può scegliere da che parte cominciare. Puoi cominciare dall'alto, dove c'è chi le menzogne le crea e le distribuisce ai governi, ai media, ai banchieri. O puoi cominciare dal basso, dal tipo che incontri in metropolitana, dal collega, dagli amici. La menzogna è uguale e fa rima con la nostra incapacità di misurarci con quello che sentiamo in fondo al cuore. Siamo fatti con un desiderio troppo grande per la nostra miserabile pochezza esistenziale. Troppo e troppo difficile, la menzogna è la scorciatoia comoda.


Based on lies è un grande disco. Altrettanto e forse di più lo è il nuovo Mary and the fair, registrato dal vivo in una notte benedetta in un teatro di Pesaro, a casa loro. Una di quelle notti dove la magia si spalanca più che le altre volte, e ogni nota è un incanto. Solo otto pezzi e se eravate venuti per ballare tornatevene a casa. Il rock denso grondante sferzate elettriche qua c'è poco, lo spirito c'è sempre naturalmente. Ma dopo la rabbia contro le menzogne, ognuno ha bisogno di rimanere solo con se stesso. E ricostruirsi. Otto pezzi scuri, otto ballate sul filo del rasoio, otto scampoli di un Nick Cave desolato. Questa band suona fottutamente bene. Non sembra possibile che tutto sia accaduto dal vivo, senza montaggi o ricostruzioni in studio. Chitarre, pianoforte, sezione ritmica, il cantante. C'è un fantasma che quella notte era sul palco, era Mary o ero io, o eri tu. Era una fata. Era la donna a cui è dedicato lo straordinario pezzo finale, quasi dieci minuti di intensità stratosferica, The Fairy has your wings. Un solo di pianoforte lungo come un abbraccio, Beethoven suona in una rock band, che non vorresti finisse mai, poi l'esplosione di chitarre basso e batteria. La fata e il fantasma volano verso il paradiso, dove le menzogne non potranno più ferirle. E' un vino da poco, ma vale più dello champagne
Che notte quella notte a Pesaro.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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