Sunday, February 27, 2011

Ballad in Plain D





"No, there’s nothin’ you can send me, my own true love
There’s nothin’ I wish to be ownin’
Just carry yourself back to me unspoiled
From across that lonesome ocean..."


Addio Suze, the Freewheelin Girl

(Susan Elizabeth Rotolo born November 20, 1943, died February 24, 2011)




Thursday, February 24, 2011

Untitled

There are two tragedies in life. One is not to get your heart’s desire. The other is to get it (GB Shaw)



Ci sono tre modi per vivere la vita.

Uno, è volutamente ridurre la portata di quello che accade o quasi. Ignorare, o nascondersi, davanti alla realtà, ripetersi continuamente che non importa,, che domani è un altro giorno, che comunque è tutto ok, e non pensiamoci troppo su alle cose che se no ci viene del mal di testa. Accontentarsi, insomma. Di fatto, non si pensa alla realtà quando si è felici, è quando le cose non vanno che la realtà attacca. E allora meglio fingersi sempre felici.

Un altro è che ogni cosa che accade, ogni sguardo nella metropolitana, ogni parola, ogni accadimento ti ferisce. Essere inadeguato davanti alla realtà e starci male, malissimo. Con le conseguenze del caso.



Poi ci sono quelli fortunati, quelli che non si accorgono di niente, che tutto gli passa sopra e sotto, ma non lo fanno apposta. Quelli che ti fanno pensare, ma come fa a essere felice passando le sere guardando la tv, vorrei essere come lui.

Una combinazione delle tre è una patetica bugia. Sarebbe un po' come dicono The Vaccines nel video qua sotto della loro bellissima Post Break Up Sex, fare l'amore con uno/a solo perché è finita la relazione con la persona che amavi. Che ci hai guadagnato? L'unica possibilità di salvezza potrebbe essere qualcosa che spacca la misura di tutte e tre.

Monday, February 14, 2011

Will the circle be unbroken?


E' una ciurma di cialtroni, è una banda di delinquenti giovanili. E' una pattuglia di sbandati finita nel posto sbagliato al momento giusto. Sono armati di chitarre acustiche e violini e fisarmoniche e violoncelli e basso acustico. Sono schierati in linea, aspettano il comandante generale per aprire il fuoco. Si ricordano che a Newport 1965 furono sconfitti e adesso sono tornati per la vendetta. E - ironia - il comandante generale che stanno aspettando è proprio quello che sul campo di Newport, 1965, li aveva castigati e rottamati. Ma anche no. Perché loro sono innocenti. Non erano manco nei pensieri dei loro genitori quando si combatteva la battaglia folk vs rock a Newport, sudisti contro nordisti. Quando il cerchio veniva spezzato.

Adesso il comandante generale sta entrando, barcolla un po' come è ovvio per uno che è sui campi di battaglia da quasi cinquant'anni. Quasi inciampa sul basso che uno di quei mocciosi ha lasciato giù per terra. Ha uno sguardo che fulmina così che deve voltare le spalle a tutti. Fa un segno con la mano e la guerra ha inizio, ancora una volta. Ed è la più bella guerra in cui si possa sognare di dare la vita.

I aint gonna fuckin' work on Maggie's fuckin farm no more. Loro ridono, sghignazzano, godono come pazzi a vederselo lì davanti che balla, come un ubriaco sotto la pioggia di Bourbon Street, le mani che danzano libere, una che stringe un'armonica, l'altra "one hand wavin' free". Libera, come lui, il comandante generale. Ed è in quel momento che il cerchio che era stato spezzato a Newport 1965 si richiude, fragorosamente. Il cerchio è stato chiuso, la torcia è stata passata. Il vecchio comandante generale è alle sue ultime battaglie, ma accidenti ha abbastanza forza da farne ancora altre mille. E loro lo seguiranno, loro gli chiedono una cosa sola, Take me on a trip upon your magic swirlin’ ship. Adesso che il cerchio è stato richiuso, che la guerra è finita, che il custode della Tradizione ha messo di nuovo insieme passato e futuro, memoria e speranza, ricordo e desiderio. I aint gonna fuckin' work on Maggie's fuckin farm no more.

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Caricato da yardie4lifever2. - Altri v-blogger e video personali
Fu la notte che Mumford and Sons, from UK, e Avett Brothers, from USA, le migliori band giovani in circolazione, si unirono a Bob Dylan. Fu una notte indimenticabile, che ancora ne parlano gli anziani ai loro giovinetti. La notte che tutto fu riportato a casa. Bringing it all back home, come lui aveva profetizzato, in un'altra era, in un'altra vita, in un tempo immemorabile. A time out of mind. La promessa era compiuta.

Post scriptum: impagabile fu vedere, a fine della grande battaglia, altri grandi generali del passato alzarsi in piedi e battere fiduciosamente le mani, il generale Neil Young e il generale Ron Wood fra gli altri. Un solo personaggio pareva fuori luogo, l'espressione incredula di non sapere che cosa ci facesse lì in quel momento ma non solo in quel momento, che il buon Dio abbia pietà di lei, Faccia di plastica Jennifer Lopez fu vista anche lei su quel campo di battagliae grazie a Dio che di Lady Gaga non se ne videro...

Sunday, February 13, 2011

Brother in arms


E' così che funziona allora. Un giorno siamo lì a scrivere stupidate e il giorno dopo non ci siamo più. Stamattina mi sono svegliato e ho trovato un sms sul telefono, "Ernesto è morto". Sono andato ad aprire non so perché Facebook e la prima cosa che ho notato è stata la segnalazione dei compleani di oggi, 13 febbraio: compleanni di oggi, Ernesto De Pascale. Che cosa assurda, Che cosa brutta. Te ne sei andato nelle ore del tuo compleanno, che poi era il giorno prima di San Valentino. Coincidenze? Boh. Non so che cazzo fare e che cazzo dire se non mettermi a scrivere come ho sempre fatto, come tu mi hai insegnato a fare.

Collega, commilitone, come dicono gli americani: brother in arms. Abbiamo lavorato insieme per anni, seppure da lontano, tu ci mandavi i tuoi pezzi dalla tua Firenze, noi a Milano a metterli insieme e a pubblicarli. Le tue telefonate improvvise, vado a Los Angeles, vado in Florida, vado in qualche sperduto festival in mezzo alle campagne inglesi. Vi interessa una intervista? Certo che ci interessa, portavi a casa le interviste più incredibili con i grandi che avevano fatto la storia del rock, solo tu sapevi come facevi a beccarli tutti. Che ridere i tuoi articoli e le tue storie che ci raccontavi, ad esempio di quando eri stato a Los Angeles a passare notti folli con i Guns n' Roses. Ci chiedevamo, ma sarà vero? Certo che lo era.

Il tuo sito, la tua etichetta, si chiamava Il Popolo del Blues, ma io lo so che il tuo amore più grande era per quella stagione fantastica che era stato il folk inglese della fine dei 60, i primi 70. Amavamo allo stesso modo Sandy Denny e i Fairport Convention. Solo tu eri riuscito a fotografare Ashley Hutchinson il mitico bassista dei Fairport e lo scopritore di Nick Drake, con la maglietta della tua Fiorentina addosso. "Cazzo Ernesto, la prossima volta che vai a quel festival voglio venirci anche io" ti avrò detto mille volte. Tu te la ridevi da toscanaccio, ma quel viaggio insieme in Inghilterra non siamo riusciti a farlo.

L'ultima volta che ci siamo visti di persona è stato al concerto dei Felice Brothers, qui a Milano, che tu avevi portato in Italia, il cui disco tu avevi fatto distribuire. Be', ti sono debitore di una delle più belle notti di musica della mia vita. Ci siamo parlati al bancone del bar, tra una birra e un whiskey, il posto dove tutti i giornalisti musicali danno il meglio di sé. Un paio di mesi fa eri anche tu al concerto dei National, sempre qui a Milano. La grande musica non te la perdevi mai. Giulia mi venne a salutare, "C'è anche Ernesto" mi disse. Ok dopo lo vengo a salutare, risposi. Non feci in tempo. Cazzo.

Ho avuto il piacere e l'onore di recensire il tuo ultimo disco, qualche anno fa. Ti avevo chiamato "il Randy Newman di Firenze". Mi avevi chiamato per ringraziarmi di quell'espressione. Ci credevo e ci credo ancora. Te ne sei andato il giorno del tuo compleanno, il giorno prima di San Valentino. Coincidenze? Boh. Ma non è giusto. Adesso siamo rimasti ancora in meno, abbiamo perso un collega, un commilitone, un brother in arms. Siamo sempre di meno a cercare di vivere questa folle passione per la grande musica. Tu sei stato uno dei primi, ci hai insegnato come amare la musica. Ciao Ernesto, ci vediamo a quel festival prima o poi.


Firenze, 1996, con Massimo Bubola e l'amico Pasquale

Thursday, February 10, 2011

Dance me. To the end of love

"Ansie, sogni, dolori,vigoria di aspra lotta, sconforti, palpiti di imprecisa bontà, ideali di luce, sete ardente d'amore, sono nelle poesie raccolte in questo libro così come nelle anime nostre: esso ti farà quindi affettuosa compagnia nella campagna solitaria nella quale tu vivi per sordida avarizia del destino.

Roma, 22 ottobre 1905
"


Mio nonno a mia nonna, un secolo fa. Parole scoperte ieri notte su un vecchio libro di poesie che mi ha lasciato mia madre. Parole che ho pensato, pianto e scritto migliaia di volte in casi diversi. Siamo tutti un solo Cuore, che appartiene a un tempo immemorabile.

Dance me to the wedding now, dance me on and on
Dance me very tenderly and dance me very long
We're both of us beneath our love, we're both of us above
Dance me to the end of love


Leonard Cohen - Dance Me to the End of Love from blog.memoonline.net on Vimeo.

Sunday, February 06, 2011

Sunday Morning Music - Pink Moon is on its way

"Tiro fuori Pink Moon dal suo involucro colorato, lo lascio cadere sul piatto del giradischi, mi metto addosso una vecchia t-shirt, mi stendo sul pavimento del mio appartamento di Brooklyn. Ed è allora che sono grata per la compagnia di tutti quelli che conosco, felice di essere viva, eternamente riconoscente per gli sbuffi d'aria che continuano a passarmi attraverso i polmoni. E' un ascolto che mi rende sottomessa e impotente: Pink Moon sarà sempre il mio rifugio, il mio modo di rimettere i piedi per tera, la mia panacea, il mio buon ritiro, la mia ancora di salvezza"
(Amanda Petrusich)

E' proprio vero che è la musica a venirti a cercare. Ieri notte mi ero buttato a cercare di finire l'ottimo libro di Amanda Petrusich, l'ennesimo libro su Nick Drake, intitolato - ma guarda un po' - "Pink Moon". In realtà mi stava infastidendo il modo in cui affrontava il disco in questione: i soliti cliché sul depresso che profetizza e desidera la propria morte. Conosco abbastanza la depressione per sapere che quei cliché sono banalmente inesatti, così come la schizofrenia di cui sarebbe stato vittima Nick Drake ai tempi in cui registrò Pink Moon. So benissimo che uno schizofrenico non potrebbe mai registrare un disco come Pink Moon. Ho un fratello che è in quello stato da circa trent'anni e io stesso a volte rimango chiuso dentro in quella twilight zone dove c'è solo un black dog - quello sì cantato in modo formidabile da Nick Drake, ma anni dopo Pink Moon - a farti compagnia, anzi a cercare di trascinarti ancora più giù. Quando la schizofrenia, la depressione ti ha afferrato, riesci solo a guardare la vita da dentro un guscio da cui vorresti uscire ma non riesci, come fossi sepolto vivo. Pink Moon non è questo.

Trent'anni, come la malattia di mio fratello, sono in realtà il lasso di tempo da quando ascoltai per la prima volta Pink Moon, quando un'amica più grandicella di noi cominciò a girare per Chiavari con sottobraccio il cofanetto - appena uscito - di Fruit Tree, tutti i dischi di Nick Drake. Già allora era obbligatorio ascoltare soprattutto e solo Pink Moon, dei tre. Io me lo feci copiare su una cassettina e per anni lo tirai fuori per ascoltarlo in qualità sonica orrida, e non me ne innamorai mai. Lo trovavo sempre un disco mal fatto, mal cantato, mal suonato. Eppure lo ascoltavo spesso. Ieri notte, per darmi ragione delle parole scritte da Amanda nel suo libro, mi sono alzato per andare a recuperare il cd e ascoltarlo insieme alla lettura. Con inebetito stupore mi sono accorto di non aver mai avuto una edizione ufficiale di Pink Moon, ma solo un cd-r con il disco scaricato probabilmente dalla Rete. Ecco. Pink Moon in un modo o nell'altro non è mai voluto entrare a casa mia, o non vi è stato accolto. In realtà, ho sempre considerato il capolavoro assoluto di Nick Drake il suo primo disco, Five Leaves Left e in qualche modo lo penso anche stamattina, anche se qualcosa, finalmente, è cambiato.

Ieri notte ho comunque messo su la mia copia balorda di Pink Moon e dopo pochi secondi ho messo invece giù il libro e ho cominciato ad ascoltare Pink Moon una, due, cinque, quindici volte consecutive. Bam! Hai presente quando ti si apre il cervelletto? Be' succede raramente nella vita di fare questo tipo di esperienza, però a volte succede. La prima cosa che ho realizzato è stata che Pink Moon a casa mia non era mai stato accolto benevolmente perché, da quanto la gente vi scriveva a proposito, era il disco di un depresso schizofrenico, e io di depressi schizofrenici nella mia vita ne avevo abbastanza, me incluso, per aver voglia di dedicare del tempo anche al disco di un rappresentante di questa categoria. Ieri notte, mentre lo ascoltavo a ripetizione, vedevo schiudersi davanti a me invece un universo di bellezza purissima. Lo percepivo in quei passaggi chitarristici di devastante bellezza, parti di chitarra che solo una persona che si dedica allo strumento 24 ore su 24 può arrivare a produrre.. Forse era questo il segreto della vera malattia di Nick Drake: il desiderio di imposessarsi di un linguaggio musicale totale, un linguaggio che appartiene solo agli dei, una pazzia sonica che lo aveva posseduto come una febbre. Poi sono andato a dormire con l'eco di una voce dolcissima e immagini di vita sospese nell'incanto fra una tazza di tè, Mayfair e le strade di Soho e finanche le spiagge di Chiavari. Chissà perché.

Stamattina appena svegliato la prima cosa che ho fatto, ancor prima di farmi un caffè, è stata mettere su Pink Moon. In questo assurdo inverno milanese che sa già di primavera inoltrata, mentre la città è avolta dalla cappa dello smog e le macchine sono obbligate a stare nei garage, nel silenzio surreale di una metropoli fottuta ma finalmente domata anche se pe rpoche ore, un sole scintillante etrava dala fienstra. Come sono partite le prime note di Pink Moon - la canzone - quando Nick Drake fa una sorta di accordo che può sembrare una falsa partenza ma in realtà è una trovata geniale di bellezza purissima, Pink Moon - il disco- si è dichiarato a me come inutilemnte aveva cercato di fare per più di trent'anni. E al diavolo le storie di un disco malato, notturno, un disco maledetto. Mai un disco mi è sembrato annunciare in modo così radioso una nuova giornata, la bellezza della vita, anche il dolore della vita certo. Le note delle canzoni di questo disco ballavano con i raggi di sole che entravano dalla finestra in una danza cosmica di irrefrenabile semplicità, allo stesso tempo complicata dichiarazione di vitalità, e si distendevano in una forza consolatrice che pochissimi dischi hanno. Pink Moon è una dichiarazioen di vita. Come le cose dietro al sole, things behind the sun, Pink Moon aveva trovato a place to be, un posto dove essere.
Per quando il disco aveva finito di suonare, ero già seduto al computer a ordinare la prima copia ufficiale di Pink Moon di tutta la mia vita.

Tuesday, February 01, 2011

Nella casa del diavolo

Nel bosco di notte. Troppo alcol troppa droga. "Devo andare su devo andare più su" dice la ragazza. Ma il bosco era buio la strada perduta. Era la casa del diavolo. "Dove va signorina la strada è dall'altra parte" diceva il vecchio uomo. Il bosco era buio "più su devo andare più su". Un'ora al telefono chiedendo aiuto la macchina scivola sta scivolando. Ma dove si trova adesso lei, risponda. Non lo so. Qualcuno mi aspetta, lui mi sta aspettando. Più su, devo andare più su.


Get down, get down, little Henry Lee
And stay all night with me
You won't find a girl in this damn world
That will compare with me
And the wind did howl and the wind did blow


Il bosco era buio e la strada non c'era più, nella casa del diavolo. Tornare indietro. Tornare indietro, da mia madre, ma mia madre era morta anche lei. Nel torrente, l'acqua ghiacciata l'acqua era fredda. Asciugare i vestiti di notte. Nel bosco nella casa del diavolo. Impossibile asciugarli. Avere freddo. Troppo freddo da sola nel bosco. Nella casa del diavolo. Non rivederlo più, il sole. Cosa faceva lei nel bosco di notte. Nella casa del diavolo. Da sola. Tutti i morti del mondo erano lì quella notte. I morti.

A little bird lit down on Henry Lee
Lie there, lie there, little Henry Lee
Till the flesh drops from your bones
For the girl you have in that merry green land
Can wait forever for you to come home
And the wind did howl and the wind did moan


Siamo tutti da soli tutti sperduti questa notte nel bosco. Nella casa del diavolo. Perdonaci il nostro non saper morire con te.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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