"Tiro fuori Pink Moon dal suo involucro colorato, lo lascio cadere sul piatto del giradischi, mi metto addosso una vecchia t-shirt, mi stendo sul pavimento del mio appartamento di Brooklyn. Ed è allora che sono grata per la compagnia di tutti quelli che conosco, felice di essere viva, eternamente riconoscente per gli sbuffi d'aria che continuano a passarmi attraverso i polmoni. E' un ascolto che mi rende sottomessa e impotente: Pink Moon sarà sempre il mio rifugio, il mio modo di rimettere i piedi per tera, la mia panacea, il mio buon ritiro, la mia ancora di salvezza"(Amanda Petrusich)
E' proprio vero che è la musica a venirti a cercare. Ieri notte mi ero buttato a cercare di finire l'ottimo libro di Amanda Petrusich, l'ennesimo libro su Nick Drake, intitolato - ma guarda un po' -
"Pink Moon". In realtà mi stava infastidendo il modo in cui affrontava il disco in questione: i soliti cliché sul depresso che profetizza e desidera la propria morte. Conosco abbastanza la depressione per sapere che quei cliché sono banalmente inesatti, così come la schizofrenia di cui sarebbe stato vittima Nick Drake ai tempi in cui registrò Pink Moon. So benissimo che uno schizofrenico non potrebbe mai registrare un disco come Pink Moon. Ho un fratello che è in quello stato da circa trent'anni e io stesso a volte rimango chiuso dentro in quella twilight zone dove c'è solo un black dog - quello sì cantato in modo formidabile da Nick Drake, ma anni dopo Pink Moon - a farti compagnia, anzi a cercare di trascinarti ancora più giù. Quando la schizofrenia, la depressione ti ha afferrato, riesci solo a guardare la vita da dentro un guscio da cui vorresti uscire ma non riesci, come fossi sepolto vivo. Pink Moon non è questo.

Trent'anni, come la malattia di mio fratello, sono in realtà il lasso di tempo da quando ascoltai per la prima volta Pink Moon, quando un'amica più grandicella di noi cominciò a girare per Chiavari con sottobraccio il cofanetto - appena uscito - di Fruit Tree, tutti i dischi di Nick Drake. Già allora era obbligatorio ascoltare soprattutto e solo Pink Moon, dei tre. Io me lo feci copiare su una cassettina e per anni lo tirai fuori per ascoltarlo in qualità sonica orrida, e non me ne innamorai mai. Lo trovavo sempre un disco mal fatto, mal cantato, mal suonato. Eppure lo ascoltavo spesso. Ieri notte, per darmi ragione delle parole scritte da Amanda nel suo libro, mi sono alzato per andare a recuperare il cd e ascoltarlo insieme alla lettura. Con inebetito stupore mi sono accorto di non aver mai avuto una edizione ufficiale di Pink Moon, ma solo un cd-r con il disco scaricato probabilmente dalla Rete. Ecco. Pink Moon in un modo o nell'altro non è mai voluto entrare a casa mia, o non vi è stato accolto. In realtà, ho sempre considerato il capolavoro assoluto di Nick Drake il suo primo disco, Five Leaves Left e in qualche modo lo penso anche stamattina, anche se qualcosa, finalmente, è cambiato.
Ieri notte ho comunque messo su la mia copia balorda di Pink Moon e dopo pochi secondi ho messo invece giù il libro e ho cominciato ad ascoltare Pink Moon una, due, cinque, quindici volte consecutive. Bam! Hai presente quando ti si apre il cervelletto? Be' succede raramente nella vita di fare questo tipo di esperienza, però a volte succede. La prima cosa che ho realizzato è stata che Pink Moon a casa mia non era mai stato accolto benevolmente perché, da quanto la gente vi scriveva a proposito, era il disco di un depresso schizofrenico, e io di depressi schizofrenici nella mia vita ne avevo abbastanza, me incluso, per aver voglia di dedicare del tempo anche al disco di un rappresentante di questa categoria. Ieri notte, mentre lo ascoltavo a ripetizione, vedevo schiudersi davanti a me invece un universo di bellezza purissima. Lo percepivo in quei passaggi chitarristici di devastante bellezza, parti di chitarra che solo una persona che si dedica allo strumento 24 ore su 24 può arrivare a produrre.. Forse era questo il segreto della vera malattia di Nick Drake: il desiderio di imposessarsi di un linguaggio musicale totale, un linguaggio che appartiene solo agli dei, una pazzia sonica che lo aveva posseduto come una febbre. Poi sono andato a dormire con l'eco di una voce dolcissima e immagini di vita sospese nell'incanto fra una tazza di tè, Mayfair e le strade di Soho e finanche le spiagge di Chiavari. Chissà perché.
Stamattina appena svegliato la prima cosa che ho fatto, ancor prima di farmi un caffè, è stata mettere su Pink Moon. In questo assurdo inverno milanese che sa già di primavera inoltrata, mentre la città è avolta dalla cappa dello smog e le macchine sono obbligate a stare nei garage, nel silenzio surreale di una metropoli fottuta ma finalmente domata anche se pe rpoche ore, un sole scintillante etrava dala fienstra. Come sono partite le prime note di Pink Moon - la canzone - quando Nick Drake fa una sorta di accordo che può sembrare una falsa partenza ma in realtà è una trovata geniale di bellezza purissima, Pink Moon - il disco- si è dichiarato a me come inutilemnte aveva cercato di fare per più di trent'anni. E al diavolo le storie di un disco malato, notturno, un disco maledetto. Mai un disco mi è sembrato annunciare in modo così radioso una nuova giornata, la bellezza della vita, anche il dolore della vita certo. Le note delle canzoni di questo disco ballavano con i raggi di sole che entravano dalla finestra in una danza cosmica di irrefrenabile semplicità, allo stesso tempo complicata dichiarazione di vitalità, e si distendevano in una forza consolatrice che pochissimi dischi hanno. Pink Moon è una dichiarazioen di vita. Come le cose dietro al sole, things behind the sun, Pink Moon aveva trovato a place to be, un posto dove essere.
Per quando il disco aveva finito di suonare, ero già seduto al computer a ordinare la prima copia ufficiale di Pink Moon di tutta la mia vita.