E' probabilmente l'unico caso al mondo in cui una recensione di un disco è diventata più famosa del disco recensito. Nel 1970, l'allora giovane capo redattore della sezione recensioni del rock magazine Rolling Stone era Greil Marcus, diventato poi negli anni probabilmente il più brillante scrittore rock (dopo Lester Bangs, naturalmente, che resta fisso al primo posto). Si trovò sulla scrivania il nuovo disco di Bob Dylan, un doppio lp intitolato "Self Portrait", autoritratto, che in copertina presentava uno sbilenco autoritratto fatto dallo stesso Dylan.
Nonostante si fosse ritirato dai concerti ormai da quattro anni dopo l'incidente motociclistico dell'estate del 1966 e avesse pubblicato due soli dischi in quel lasso di tempo ("John Wesley Harding" e "Nashville Skyline") Dylan rimaneva il più autorevole e amato artista rock dell'epoca. La sua influenza infatti era stata tale da cambiare il corso stesso della storia del rock al pari dei Beatles se non di più. Qualcuno lo aveva definito "l'arma segreta del 68" per quanto i testi delle sue canzoni avessero influito sulla nascita dei movimenti di protesta, ma lui durante il 68 viveva in campagna, a Woodstock, si era spostato e faceva figli. Un tranquillo signor borghese insomma.
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Monday, August 26, 2013
Friday, August 23, 2013
Scatole di cartone ripiegate
Gli oggetti abbandonati non sono mai davvero abbandonati. E gli oggetti non sono davvero degli oggetti. Ogni cosa che è stata toccata, mossa, utilizzata, poi riposta da mani d'uomo ha toccato fors'anche per qualche istante la vita, e la vita gli oggetti hanno ricevuto. Nelle cantine impolverate, negli uffici dove non entra qui mai nessuno, nelle strade. La luce del sole di fine agosto bussa intensa seppur già scolorita sui vetri sporchi del piccolo stanzino. Dentro, scatole, scatoloni, raccoglitori sommersi da strati infiniti di polvere. Da quanto tempo nessuno sposta più niente là dentro. Eppure anche quelle scatole di cartone ripiegate in un angolo sono state messe lì da qualcuno, con uno scopo e una ragione, per quanto banale. C'era qualcuno lì dentro, prima, che ha compiuto un gesto. Quel gesto permane e risuona per ore giorni mesi anni. Per sempre. Sia stato un gesto di rabbia, fatemeli mettere qui perché nessuno li vuole spostare; o di semplice abitudine, ecco vanno riposti qua; o di affettuoso bisogno d'ordine, magari col pensiero domani vengo a riporli altrove o anche poi ci serviranno, stanno meglio qui. Nessuno lo può negare, il gesto c'è stato. Qualcuno lo ha fatto, di mettere lì quei cartoni ripiegati, perché serviva che fosse fatto. Ogni oggetto conserva la storia di un uomo, e quegli oggetti impolverati non rimangono da soli con la polvere, la luce del sole che si affievolisce o il buio della notte. Tu uomo, li hai vissuti. La presenza dell'assenza rimane e permane. Nulla si cancella e niente compare per sempre. Il per sempre è ora e adesso. Nel gesto che l'uomo compie la vita si compie.
Saturday, August 17, 2013
Day(s) of locusts
C'è un tempo immemorabile sulle montagne che si gettano nel mare. C'è un silenzio accecante interrotto solo dal canto continuo a volte infernale a volte frenetico delle cicale. Più il sole è alto e picchia inesorabile, più cantano anzi urlano. Di sera si placano di notte si zittiscono.
Per generazioni il canto delle cicale è stata l'unica compagnia per uomini e donne e bambini che dalle montagne cercavano di strappare la vita coltivando la poca terra disponibile creando terrazze sui fianchi dei monti per renderli orti oliveti vigne. Una vita apparentemente impossibile di quelle generazioni infatti sui monti sono rimasti pochi vecchi come le sentinelle di Dino Buzzati.
I vecchi casolari sono stai sostituiti da villette per vacanzieri e ordinati b&b. Si è fuggito dalle montagne cercando facili comodità in riva al mare o nelle grandi città. Antichi resti di abbazie sono nascosti nella foresta che selvaggia li ha ricoperti. Nessuno va più a tagliare la legna o a ordinare il bosco che prende il sopravvento su case chiese rifugi abbandonati. Solo il tempo immemorabile resta a far da guardiano. Dove sono fuggiti tutti? Quelle famiglie che vivevano a stretto contatto in poche casupole isolate aiutandosi sostenendosi raccontandosi alla domenica la vita dove sono andate? E'incredibile quante chiese e chiesette ci siano sparse tra questi monti: ogni gruppetto di case ne ha una. Come se l'esigenza, allora, sentita più importante per tutti fosse quella di costruire appena possibile una chiesa a protezione, che li radunasse, che desse il significato a una settimana di stenti e fatiche. Ce ne sono a dozzine, oggi quasi tutte inutilizzate, anche due una vicina all'altra costruite in epoche diverse. Occhieggiano dai fianchi delle montagne e sembrano richiamare a un angelus che nessuno conosce più. Sono occhi storpiati nel canto delle cicale.
A disperdersi in eleganti e comode case di città, ma sono rimaste sole. I giovani cercano compagnia nella caciara dei social network bevendosi la nullità e il luogomunismo dei giudizi: tutto è falso, tutto è propaganda tutto è fatto per oscurare il cuore che era buono, o almeno semplice. Adesso il cuore di tutti è cattivo. Ma tutti hanno un cuore, cantava qualcuno. Quassù è rimasto il canto infernale delle cicale che forse appare tale perché non hanno più nessuno per cui cantare. Solo le ombre, i fantasmi, i ricordi. La morte.
Per generazioni il canto delle cicale è stata l'unica compagnia per uomini e donne e bambini che dalle montagne cercavano di strappare la vita coltivando la poca terra disponibile creando terrazze sui fianchi dei monti per renderli orti oliveti vigne. Una vita apparentemente impossibile di quelle generazioni infatti sui monti sono rimasti pochi vecchi come le sentinelle di Dino Buzzati.
I vecchi casolari sono stai sostituiti da villette per vacanzieri e ordinati b&b. Si è fuggito dalle montagne cercando facili comodità in riva al mare o nelle grandi città. Antichi resti di abbazie sono nascosti nella foresta che selvaggia li ha ricoperti. Nessuno va più a tagliare la legna o a ordinare il bosco che prende il sopravvento su case chiese rifugi abbandonati. Solo il tempo immemorabile resta a far da guardiano. Dove sono fuggiti tutti? Quelle famiglie che vivevano a stretto contatto in poche casupole isolate aiutandosi sostenendosi raccontandosi alla domenica la vita dove sono andate? E'incredibile quante chiese e chiesette ci siano sparse tra questi monti: ogni gruppetto di case ne ha una. Come se l'esigenza, allora, sentita più importante per tutti fosse quella di costruire appena possibile una chiesa a protezione, che li radunasse, che desse il significato a una settimana di stenti e fatiche. Ce ne sono a dozzine, oggi quasi tutte inutilizzate, anche due una vicina all'altra costruite in epoche diverse. Occhieggiano dai fianchi delle montagne e sembrano richiamare a un angelus che nessuno conosce più. Sono occhi storpiati nel canto delle cicale.
A disperdersi in eleganti e comode case di città, ma sono rimaste sole. I giovani cercano compagnia nella caciara dei social network bevendosi la nullità e il luogomunismo dei giudizi: tutto è falso, tutto è propaganda tutto è fatto per oscurare il cuore che era buono, o almeno semplice. Adesso il cuore di tutti è cattivo. Ma tutti hanno un cuore, cantava qualcuno. Quassù è rimasto il canto infernale delle cicale che forse appare tale perché non hanno più nessuno per cui cantare. Solo le ombre, i fantasmi, i ricordi. La morte.
Thursday, August 01, 2013
Buonanotte fiorellino
Si è scatenato un tale putiferio che si sono sentiti in dovere di intervenire anche i parlamentari della cosiddetta "ala renziana" del Pd. Gli hanno scritto una lettera aperta: ""Caro maestro, ti preghiamo di riprovare a 'crederci', di tornare a leggere i giornali, di ricominciare a seguire la politica e il Partito Democratico. Noi conserveremo l'intervista, la ricorderemo come un errore e una critica eccessiva, tenendo a mente che non è da un calcio di rigore sbagliato che si giudica un giocatore".
L'intervista incriminata è quella che Francesco De Gregori ha concesso ieri al Corriere della Sera: già colpisce l'uso della terminologia "errore". Sembra il linguaggio dei tempi dello stalinismo, o meglio, dei primi ani 70, quando bisognava "correggere il compagno che sbaglia". Rimettterlo in riga insomma. E ancora: "Sono passati tanti anni, siamo invecchiati tutti, sicuramente lo siamo noi, ma non possiamo credere che il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci 'Il verbo credere non dovrebbe appartenere alla politica". Invecchiato male? Mah, sarebbe da discutere, averceli intanto 62 anni come li porta lui, fisicamente e artisticamente visto che negli ultimi tempi ha pubblicato anche alcuni dei dischi più belli della sua carriera ed è in forma fisica splendida. Ma questo è niente davanti all'ondata di post anti De Gregori che per tutta la giornata di ieri sono piovuti sui social network e anche sulla pagina ufficiale Facebook del cantautore romano.
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L'intervista incriminata è quella che Francesco De Gregori ha concesso ieri al Corriere della Sera: già colpisce l'uso della terminologia "errore". Sembra il linguaggio dei tempi dello stalinismo, o meglio, dei primi ani 70, quando bisognava "correggere il compagno che sbaglia". Rimettterlo in riga insomma. E ancora: "Sono passati tanti anni, siamo invecchiati tutti, sicuramente lo siamo noi, ma non possiamo credere che il nostro maestro sia invecchiato così male da dirci 'Il verbo credere non dovrebbe appartenere alla politica". Invecchiato male? Mah, sarebbe da discutere, averceli intanto 62 anni come li porta lui, fisicamente e artisticamente visto che negli ultimi tempi ha pubblicato anche alcuni dei dischi più belli della sua carriera ed è in forma fisica splendida. Ma questo è niente davanti all'ondata di post anti De Gregori che per tutta la giornata di ieri sono piovuti sui social network e anche sulla pagina ufficiale Facebook del cantautore romano.
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