“What’s real, Paolo?”, mi dice Grania, lo sguardo pieno di malinconia. L’ amica che mi ha ospitato nella sua casa di Londra mi ha appena detto di avere 62 anni, io gliene dava al massimo 50 e qualcuno in più. Grania, che quando uscì Sgt. Pepper’s dei Beatles aveva vent’anni. Grania, che ha vissuto appieno la Swinging London e che dice era una “hippie” che andava al lavoro con “i fiori nei capelli”.
Qui, nella zona di Hammersmith, a pochi metri dalle rive del Tamigi, tra casette linde e alberi verdi, il tempo si è un po’ fermato. Grania vive con l’ex marito e il suo nuovo compagno, il mio amico Nigel. E la mamma di 93 anni. Ognuno si prende cura dell’altro. Qualcosa, allora, di quell’epoca “pace & amore” non era solo utopia. Le cose che contano davvero, volersi bene, possono sopravvivere anche in questa epoca di cinismo.
Pioggia fredda, cold rain out on my face. Mattina presto, molto presto, per le strade di Soho. I pub chiusi, poca gente in giro, per le stradine che erano il cuore di quella Swinging London. In Soho Square c’è la chiesetta cattolica dove mi ero imbattuto un paio di anni fa, mentre aspettavo di andare a intervistare Shawn Colvin. Mi ci infilo anche questa volta. Ci saranno dentro mezza dozzina di homeless che dormono indisturbati sulle panche. Il silenzio è tutto, qua dentro. Da qualche parte, Ralph McTell canta ancora le strade di Londra: “Have you seen the old man outside the seaman's mission… So how can you tell me you're lonely, and say for you that the sun don't shine?”.
Accendo una candela a Santa Teresa del Bambino e torno verso un piccolo bar che avevo intravisto poco prima, gestito da una coppia di ragazzi russi. Ma che sanno preparare un perfetto “full english breakfast”: “Have a nice day, boy”, mi dice lei dolcemente quando pago il mio conto e torno a prendere la fredda pioggia di Londra sulla faccia. Prego che la pioggia cancelli tutti i miei peccati, se possibile. Mi dispiace Ralph, ma oggi mi sento solo e il sole, no, non splende.
Ma splendeva ieri, in una giornata di primaverile tepore che i londinesi raramente vedono. Camden Town, alla domenica, pullula di centinaia di persone, tutte a spasso e tutte dirette verso il famoso mercatino locale. Noi, caracollando di pub in pub, ci stiamo invece dirigendo verso la leggendaria Roundhouse: qui, nel 1968, si esibì Jim Morrison con i suoi Doors. E poi tutti, dai Jefferson Airplane agli Who e Jimi Hendrix. Le mura lanciano vibrazioni immortali.
Molte birre dopo, mi avvio per entrarci anche io, a sfidare la storia del rock che qui ha vissuto la sua golden age, e che stasera tenta di offrire uno scampolo di ricordi, quando Bob Dylan vi salirà per la prima volta sul palco, di fronte a 1800 spettatori.
Che siamo in Inghilterra, si capisce dall’ordinatissima (e lunghissima) fila di persone che con naturalezza si mette in coda: quando uno fa il furbetto e si infila poco prima dell’ingresso, un tipo della security lo blocca immediatamente e lo rimanda in fondo a tutti. Un po’ come succede in Italia.
Ma che siamo in Inghilterra, e a Londra, lo capisco quando vado a prendere il mio posto numerato nel second circle, sopra alla platea che si accalca davanti al palco. Viene a sedersi nella fila davanti a me, due poltroncine più a destra, Bill Wyman, l’uomo che con Mick Jagger, Keith Richards e Brian Jones diede inizio all’avventura della più grande rock’n’roll band del mondo, nel lontano 1962. 70 anni, ma sempre uguale, immancabile frangetta sugli occhi e splendida ragazza bionda al suo fianco pure.
Qualche minuto dopo lo vedo agitarsi e chiamare “Hey thats Roger! Roger!”. Si alza e va a salutare un amico che si sta sedendo due file sotto di me, un po’ a sinistra. Roger Daltrey, cantante degli Who. Che sembra un californiano palestrato. E meno male che 40 anni fa cantava “spero di morire prima di diventare vecchio”.
I due parlottano qualche minuto, e nessuno che rompa loro le palle con richieste di autografi, foto o quant’altro. D’altro canto siamo a Londra, e queste cose succedono da quarant’anni.
La visuale da qua è magnifica, il sound pure. Cerco sul palco il fantasma di Jimi Hendrix, invece arriva lo Zorro del rock’n’roll, Bob Dylan. Tutti ci aspettiamo almeno qualche brano del nuovo disco, o qualche sorpresina tipo quando a Londra due o tre anni fa intonò London Calling. Invece no, sarà solo uno dei tanti show del Never Ending Tour, uguale a ogni altro. Cominciato molto bene, devo dire, con una rovente Leopard skin pill box hat, memore di quei giorni del 1966 quando Bob Dylan metteva a ferro e fuoco l’Inghilterra con il più grande rock show di tutti i tempi. Seguita da un dolce e folk Don’ Think Twice, Its Alright.
Invece il concerto si trasforma (dopo una orripilante Tangled up in blue che casca a pezzi da ogni parte) in uno showcase di Love and Theft: forse Bob non si ricorda più qual è esattamente il disco che deve presentare e in che anno siamo: ben sei pezzi da quel disco, compresa una imbarazzante Tweedle Dee, una inutile Summer Days (ah, i giorni di Freddy Koella) e una soporifera Po’ Boy.
Inserto (scambio di ms con il mio amico Mike, che è volato apposta da Ottawa, Canada, per questo show, e che si trova giù in platea):
Mike: “Where are the new songs?”
Io: “In his ass”.
Mike: “Amen to that. Hey... TWEEDLE???... Po’ Boy? Jesus Christ make it stop!”.
Quando partono le note immortali della più grande canzone di tutti i tempi, vedo finalmente Bill Wyman avere un sussulto. Ce lo ho anche io, anche se l’esecuzione non è granché: ehi, sto ascoltando Like a Rolling Stone insieme a uno dei Rolling Stones. How cool is that (oh e Bob finalmente si ricorda di essere a Londra quando, presentando Stu Kimball, accenna alla nota Rehab di Amy Winehouse, canticchiando il "leggendario" ritornello "No no no"...).
C’era anche Grania, stasera, ed è felice perché ha passato un paio d’ore “insieme a Bob”. Il mio amico Mike invece ha già dimenticato la delusione per il concerto di Dylan. Lo vedo in mezzo alla strada che urla “I MET DALTREY! I SPOKE WITH ROGER FUCKIN DALTREY! WHO GIVES A SHIT ABOUT BOB DYLAN!” (se non si fosse capito, Mike è un grande fan degli Who).
Tornato dalla mia passeggiata nella pioggia di Soho, preparo le valigie, guardo un’ultima volta Magic, the London Cat che è stato sul mio letto negli ultimi tre giorni. Mi viene in mente una vecchia poesia di Cicely M. Baker, The song of the Rose Fairy: “Words can never tell half of the beauty of a Rose... what a delight to be Fairy of the Rose”. Sono fortunato, ne ho conosciute di rose nella mia vita.
What’s real, Grania?
Tuesday, April 28, 2009
Tuesday, April 21, 2009
Abnormally attracted to sin
La vedi in ogni volto che ti circonda. Senti il suo respiro in ogni nota che giunge dal palco. Sei condannato a vivere con la presenza di lei, ed è una bellissima condanna. Sono questi sogni di lei che ti permettono di sopravvivere.
La mattina ti svegli con una preghiera sulle labbra, quella che avevi imparato da bambino e dimenticato da tempo. Quella preghiera è improvvisamente tornata a galla, e ogni mattina la rivolgi a lei, anzi la dici per lei. Se gli angeli possono intercedere per noi, che lo facciano.
Sei andato dal famoso poeta, hai chiesto un parere. Sei rimasto perplesso quando ti ha riposto che sta ancora cercando un modo per andare avanti e dimenticare, ma non lo trova. “Ho provato ogni cosa” ti ha detto. “Arte, musica, droga, donne, libri. Nulla funziona. C’è una cosa però che ancora non ho provato. Religione. Forse quella sarà la risposta”. Hai ghignato con cinismo: “Il problema, poeta, è sapere quale religione possa curare questo dolore”.
Ci sono delle ragioni per ogni cosa, per questo e per quello, ma al momento non riesci a trovarne una. Ma sai che esse ci sono.
È una cosa che non passerà mai e cominci a capirlo. È un tatuaggio, ma nel sangue, non sulla pelle. E' il prezzo che devi pagare, è giusto. Sai dove trovarla, adesso, ora che lei se n'è andata, quando ha pensato che là fuori avrebbe trovato di più. Non di meglio, ma di più. Quando ogni cosa parla il linguaggio dell'amore senza esprimere il significato a cui lei teneva veramente. Lei hai lasciato solo quel senso di non appartenenza.
Vorresti sapere cosa devi dire quando devi parlare quando devi tacere quando devi guardare e quando dovresti chiudere gli occhi. Sei invisibile adesso, non hai più segreti da nascondere. Con alcuni di questi ricordi puoi imparare a convivere, con altri non potrai mai. Oltre a questo, non c’è niente altro.
So che tu lo sai perfettamente come ti devi comportare, abbiamo avuto tempo sufficiente per imparare. E poi lo sai che non vuol dire niente dimenticare. Che passi il segno della piena su questo cuore e su questa schiena e si addormentino gli amanti all’ombra del vulcano. Possa bruciare sempre la tua mano nella mia mano.
(with thanx to Bob Dylan, Barzin, Francesco De Gregori, Leonard Cohen, Tori Amos, Beth Orton)
ct>>
I loved you for a long, long time
I know this love is real
It dont matter how it all went wrong
That dont change the way I feel
And I cant believe that times
Gonna heal this wound Im speaking of
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love.
Im aching for you baby
I cant pretend Im not
I need to see you naked
In your body and your thought
Ive got you like a habit
And Ill never get enough
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
There aint no cure for love
There aint no cure for love
All the rocket ships are climbing through the sky
The holy books are open wide
The doctors working day and night
But theyll never ever find that cure for love
There aint no drink no drug
(ah tell them, angels)
Theres nothing pure enough to be a cure for love
I see you in the subwayand I see you on the bus
I see you lying down with me, I see you waking up
I see your hand, I see your hair
Your bracelets and your brush
And I call to you, I call to you
But I dont call soft enough
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
I walked into this empty church I had no place else to go
When the sweetest voice I ever heard, whispered to my soul
I dont need to be forgiven for loving you so much
Its written in the scriptures
Its written there in blood
I even heard the angels declare it from above
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
There aint no cure for love
There aint no cure for love
All the rocket ships are climbing through the sky
The holy books are open wide
The doctors working day and night
But theyll never ever find that cure,
That cure for love
La mattina ti svegli con una preghiera sulle labbra, quella che avevi imparato da bambino e dimenticato da tempo. Quella preghiera è improvvisamente tornata a galla, e ogni mattina la rivolgi a lei, anzi la dici per lei. Se gli angeli possono intercedere per noi, che lo facciano.
Sei andato dal famoso poeta, hai chiesto un parere. Sei rimasto perplesso quando ti ha riposto che sta ancora cercando un modo per andare avanti e dimenticare, ma non lo trova. “Ho provato ogni cosa” ti ha detto. “Arte, musica, droga, donne, libri. Nulla funziona. C’è una cosa però che ancora non ho provato. Religione. Forse quella sarà la risposta”. Hai ghignato con cinismo: “Il problema, poeta, è sapere quale religione possa curare questo dolore”.
Ci sono delle ragioni per ogni cosa, per questo e per quello, ma al momento non riesci a trovarne una. Ma sai che esse ci sono.
È una cosa che non passerà mai e cominci a capirlo. È un tatuaggio, ma nel sangue, non sulla pelle. E' il prezzo che devi pagare, è giusto. Sai dove trovarla, adesso, ora che lei se n'è andata, quando ha pensato che là fuori avrebbe trovato di più. Non di meglio, ma di più. Quando ogni cosa parla il linguaggio dell'amore senza esprimere il significato a cui lei teneva veramente. Lei hai lasciato solo quel senso di non appartenenza.
Vorresti sapere cosa devi dire quando devi parlare quando devi tacere quando devi guardare e quando dovresti chiudere gli occhi. Sei invisibile adesso, non hai più segreti da nascondere. Con alcuni di questi ricordi puoi imparare a convivere, con altri non potrai mai. Oltre a questo, non c’è niente altro.
So che tu lo sai perfettamente come ti devi comportare, abbiamo avuto tempo sufficiente per imparare. E poi lo sai che non vuol dire niente dimenticare. Che passi il segno della piena su questo cuore e su questa schiena e si addormentino gli amanti all’ombra del vulcano. Possa bruciare sempre la tua mano nella mia mano.
(with thanx to Bob Dylan, Barzin, Francesco De Gregori, Leonard Cohen, Tori Amos, Beth Orton)
ct>>
I loved you for a long, long time
I know this love is real
It dont matter how it all went wrong
That dont change the way I feel
And I cant believe that times
Gonna heal this wound Im speaking of
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love.
Im aching for you baby
I cant pretend Im not
I need to see you naked
In your body and your thought
Ive got you like a habit
And Ill never get enough
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
There aint no cure for love
There aint no cure for love
All the rocket ships are climbing through the sky
The holy books are open wide
The doctors working day and night
But theyll never ever find that cure for love
There aint no drink no drug
(ah tell them, angels)
Theres nothing pure enough to be a cure for love
I see you in the subwayand I see you on the bus
I see you lying down with me, I see you waking up
I see your hand, I see your hair
Your bracelets and your brush
And I call to you, I call to you
But I dont call soft enough
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
I walked into this empty church I had no place else to go
When the sweetest voice I ever heard, whispered to my soul
I dont need to be forgiven for loving you so much
Its written in the scriptures
Its written there in blood
I even heard the angels declare it from above
There aint no cure,
There aint no cure,
There aint no cure for love
There aint no cure for love
There aint no cure for love
All the rocket ships are climbing through the sky
The holy books are open wide
The doctors working day and night
But theyll never ever find that cure,
That cure for love
Saturday, April 18, 2009
It's all good
There didn’t seem to be any general consensus among my listeners. Some people preferred my first period songs. Some, the second. Some, the Christian period. Some, the post Colombian. Some, the Pre-Raphaelite. Some people prefer my songs from the nineties. I see that my audience now doesn’t particular care what period the songs are from. They feel style and substance in a more visceral way and let it go at that. Images don’t hang anybody up. Like if there’s an astrologer with a criminal record in one of my songs it’s not going to make anybody wonder if the human race is doomed. Images are taken at face value and it kind of freed me up.
(Bob Dylan)
Da lunedì 20 Together through life, il nuovo disco di Bob Dylan, si potrà ascoltare su Radio Capital.
Il sito di Mojo ha pubblicato ieri la prima recensione ufficiale, dando un bel quattro stelle. La cosa divertente, dopo che Modern Times fu salutato con un salva di “capolavoro” e altrettante stelle – non solo su Mojo, ma nell’intero mondo universo – è che adesso il recensore di Mojo ammette, be’, Modern Times non meritava tanto clamore, possiamo dirlo adesso?
Non so vedi tu, caro collega. Fra due anni cosa direte, che neanche questo nuovo “capolavoro” di Bob Dylan meritava di essere definito un capolavoro? Misteri della moderna mass-mediologia. Orson Welles ne sapeva di cose, caro Orazio.
Together Through Life è un disco piacevole, sicuramente meglio di Modern Times. Se si riesce ad adattarsi alla voce rotta e spezzata di Dylan che in molti casi fa fatica a completare un verso. Merito della riuscita è sicuramente la presenza autorevole di David Hidalgo con la sua fisarmonica che domina il disco e di Mike Campbell alle chitarre, che colorano ogni canzone e regalano quel passo in più che mancava alla svogliata band che incise MT (sì, la stessa band di noiosi e annoiati arruffoni che è con Dylan on stage ormai da troppi anni). Come MT e Love and Theft prima, TTL afferma un fatto che non leggerete mai da nessuna altra parte, ma che è altresì tanto vero quanto impossibile da smentire: l’ultimo disco dell’artista un tempo noto come Bob Dylan è stato Time out of Mind (1997). Dopo, un simpatico impostore che si spaccia per Bob Dylan ha preso il suo posto e ha cominciato a pubblicare dischi che niente altro sono che raccolte di vecchi, vecchissimi blues o magari canzoni prese dal repertorio di altrettanto vecchi coroner. Dischi di cover, insomma. Per i testi, questo personaggio pesca random da scrittori giapponesi, poeti americani dell’800 e finanche dal latino di Ovidio. Questo personaggio firma tutto a nome Bob Dylan, ma noi sappiamo che non può essere lui. O invece lo è. Questa volta però – chiunque esso sia - ha fatto quello che in 47 anni di carriera non aveva mai fatto: un pezzo (My wife’s hometown) è firmato “Bob Dylan & Willie Dixon”. Tardivo pentimento per non aver mai citato le decine di pezzi scopiazzati qua e là negli anni, o paura dei potenti avvocati della famiglia Dixon, gli stessi che costrinsero i Led Zeppelin a inserire il giusto riconoscimento a Willie in una loro scopiazzatura? Mah, the times they are a-changin’.
(Foto da retro copertina di TTL)
Scherzi a parte. Ma comunque è così: Together Through Life è una cavalcata a base di Chess Records blues, pescando tra Muddy Waters e Howlin’ Wolf, mentre Feel a change is gonna come (il pezzo decisamente migliore della raccolta) è una riscrittura di A Change is gonna come, il classico di Sam Cooke che Dylan interpretò magistralmente nel 2004 una sera a New York in un concerto tributo. Ci sono due eccezioni, Life is Hard, il pezzo scritto per il film My own private love song, una slow ballad degna di Dean Martin, e il bel valzerone tex-mex This dream of you, che sa di bettola del border, da qualche parte sul Rio Grande. Che è anche l’unico brano del disco interamente a firma di Bob Dylan. Già, perché per i testi il musicista questa volta si è avvalso dell’aiuto di Robert Hunter, il paroliere che scrisse decine di pezzi con i Grateful Dead e che ahimé Bob Dylan già sfruttò per The ugliest girl in the world e Silvio (not Berlusconi). Testi carini, ma che onestamente non pensiamo avessero bisogno di aiuto esterno per il loro completamento. Evitiamo battute cattive (del tipo: Bob aveva finito i libri sullo scaffale da cui prendere ispirazione per le sue liriche…).
Piace, e molto, My wife’s hometown, bluesaccio un po’ repetitivo ma con un Dylan divertente e divertito che alla fine si lascia andare in una risatina diavolesca; la conclusiva Its all good, che ricorda come un tempo Bob sapesse prendere i vecchi blues e trasformarli in acide cavalcate rock. Annoia, e molto, Shake, shake mama, un blues veloce ma senza ispirazione. E’ bello anche lo slow blues di Forgetful heart, con una voce sinistra e viziosa a scandire i versi. Divertente If you ever go to Houston, swingante, con la fisarmonica di Hidalgo a caratterizzarne i colori.
Migliore recensione di questa la potete al link segnalatoqualche riga più giù. Dove non si fa menzione – come nessun altro giornale al mondo ha fatto – della presunta coppia omosessuale che appare in copertina dell’album, scelta da un Dylan arrabbiato perché il referendum sui matrimoni gay in California non ha vinto, come ha dichiarato invece il Corriere della Sera qualche giorno fa: http://www.thedailybeast.com/blogs-and-stories/2009-04-17/dylan-sunny-side-up/
(Bob Dylan)
Da lunedì 20 Together through life, il nuovo disco di Bob Dylan, si potrà ascoltare su Radio Capital.
Il sito di Mojo ha pubblicato ieri la prima recensione ufficiale, dando un bel quattro stelle. La cosa divertente, dopo che Modern Times fu salutato con un salva di “capolavoro” e altrettante stelle – non solo su Mojo, ma nell’intero mondo universo – è che adesso il recensore di Mojo ammette, be’, Modern Times non meritava tanto clamore, possiamo dirlo adesso?
Non so vedi tu, caro collega. Fra due anni cosa direte, che neanche questo nuovo “capolavoro” di Bob Dylan meritava di essere definito un capolavoro? Misteri della moderna mass-mediologia. Orson Welles ne sapeva di cose, caro Orazio.
Together Through Life è un disco piacevole, sicuramente meglio di Modern Times. Se si riesce ad adattarsi alla voce rotta e spezzata di Dylan che in molti casi fa fatica a completare un verso. Merito della riuscita è sicuramente la presenza autorevole di David Hidalgo con la sua fisarmonica che domina il disco e di Mike Campbell alle chitarre, che colorano ogni canzone e regalano quel passo in più che mancava alla svogliata band che incise MT (sì, la stessa band di noiosi e annoiati arruffoni che è con Dylan on stage ormai da troppi anni). Come MT e Love and Theft prima, TTL afferma un fatto che non leggerete mai da nessuna altra parte, ma che è altresì tanto vero quanto impossibile da smentire: l’ultimo disco dell’artista un tempo noto come Bob Dylan è stato Time out of Mind (1997). Dopo, un simpatico impostore che si spaccia per Bob Dylan ha preso il suo posto e ha cominciato a pubblicare dischi che niente altro sono che raccolte di vecchi, vecchissimi blues o magari canzoni prese dal repertorio di altrettanto vecchi coroner. Dischi di cover, insomma. Per i testi, questo personaggio pesca random da scrittori giapponesi, poeti americani dell’800 e finanche dal latino di Ovidio. Questo personaggio firma tutto a nome Bob Dylan, ma noi sappiamo che non può essere lui. O invece lo è. Questa volta però – chiunque esso sia - ha fatto quello che in 47 anni di carriera non aveva mai fatto: un pezzo (My wife’s hometown) è firmato “Bob Dylan & Willie Dixon”. Tardivo pentimento per non aver mai citato le decine di pezzi scopiazzati qua e là negli anni, o paura dei potenti avvocati della famiglia Dixon, gli stessi che costrinsero i Led Zeppelin a inserire il giusto riconoscimento a Willie in una loro scopiazzatura? Mah, the times they are a-changin’.
(Foto da retro copertina di TTL)
Scherzi a parte. Ma comunque è così: Together Through Life è una cavalcata a base di Chess Records blues, pescando tra Muddy Waters e Howlin’ Wolf, mentre Feel a change is gonna come (il pezzo decisamente migliore della raccolta) è una riscrittura di A Change is gonna come, il classico di Sam Cooke che Dylan interpretò magistralmente nel 2004 una sera a New York in un concerto tributo. Ci sono due eccezioni, Life is Hard, il pezzo scritto per il film My own private love song, una slow ballad degna di Dean Martin, e il bel valzerone tex-mex This dream of you, che sa di bettola del border, da qualche parte sul Rio Grande. Che è anche l’unico brano del disco interamente a firma di Bob Dylan. Già, perché per i testi il musicista questa volta si è avvalso dell’aiuto di Robert Hunter, il paroliere che scrisse decine di pezzi con i Grateful Dead e che ahimé Bob Dylan già sfruttò per The ugliest girl in the world e Silvio (not Berlusconi). Testi carini, ma che onestamente non pensiamo avessero bisogno di aiuto esterno per il loro completamento. Evitiamo battute cattive (del tipo: Bob aveva finito i libri sullo scaffale da cui prendere ispirazione per le sue liriche…).
Piace, e molto, My wife’s hometown, bluesaccio un po’ repetitivo ma con un Dylan divertente e divertito che alla fine si lascia andare in una risatina diavolesca; la conclusiva Its all good, che ricorda come un tempo Bob sapesse prendere i vecchi blues e trasformarli in acide cavalcate rock. Annoia, e molto, Shake, shake mama, un blues veloce ma senza ispirazione. E’ bello anche lo slow blues di Forgetful heart, con una voce sinistra e viziosa a scandire i versi. Divertente If you ever go to Houston, swingante, con la fisarmonica di Hidalgo a caratterizzarne i colori.
Migliore recensione di questa la potete al link segnalatoqualche riga più giù. Dove non si fa menzione – come nessun altro giornale al mondo ha fatto – della presunta coppia omosessuale che appare in copertina dell’album, scelta da un Dylan arrabbiato perché il referendum sui matrimoni gay in California non ha vinto, come ha dichiarato invece il Corriere della Sera qualche giorno fa: http://www.thedailybeast.com/blogs-and-stories/2009-04-17/dylan-sunny-side-up/
Thursday, April 16, 2009
The wicked messenger
"If ye cannot bring good news, then don't bring any"
(Bob Dylan)
“Ahò ma ye anno dato l'oscar aqquello?”: frase colta dall’amico Raffaele Concollato all’ingresso del Forum di Assago ieri sera. La frase è di Loredana Bertè. “Aqquello” è Bob Dylan, che la cantante italiana si è degnata di andare a sentire esibirsi. La cantante era probabilmente rimasta colpita dalla statuetta che dal 2001 Bob Dylan mette in bella vista vicino a sé sul palcoscenico.
C’era anche la Rettore tra i “vips” – con la “s” certamente – presenti, il che qualche sospetto sul livello di popolarità di Bob Dylan oggi lo fa venire. O forse il livello di performance che l’anziano songwriter americano è oggi in grado di produrre si merita “vips” del genere.
A onor del vero, personalmente ho incontrato anche il bravo Alberto Fortis.
Forum che era pieno a metà, un 5mila spettatori sui 12mila che ne può contenere. Uno si domanda come fanno a pagare il cachè dell’artista – e spese di contorno -: da quanto ne so, almeno fino a un paio di anni fa, chiedeva 250mila dollari a serata. Vista la partecipazione di pubblico, non sarebbe meglio un paio di serate agli Arcimboldi? Ma anche lì, tanto, la pochezza di quello che è oggi Bob Dylan dal vivo non cambierebbe. Solo, staremmo più comodi, si sentirebbe meglio e personalmente ci metterei da casa mia solo dieci minuti invece che quasi due ore.
Non canta, Bob Dylan, non canta più. Parla (ma se fosse autentico spoken word con accompagnamento musicale adeguato sarei felice, adoro lo spoken word), sillabando frasette e parole in modo a volte piacevole, più spesso in modo balordo, producendo sorta di filastrocche a ritmo marziale. Quando prova a tirare fuori una linea melodica dalla voce, esce fuori un nonsense. La band, che lo accompagna ormai da troppi anni, è irritante. Certo, non è tutto colpa loro, visti gli arrangiamenti identici per tutti i brani, ma insomma, ce ne fosse uno che tirasse fuori i coglioni almeno una volta. E quello lì, ma quanti soldi deve prendersi per sopportare la rottura di palle di suonare per due ore sempre una inaudibile chitarra acustica. Tanti, credo.
Mi è piaciuta Just like a Woman. Per lo sfondo del palcoscenico che improvvisamente si è fatto di romantiche stelline e per quel verso, che ieri sera diceva cose che solo il mio cuore poteva percepire, credo, fra tutti i presenti: “And when we’ll meet again, introduced as friends, please don’t let on that you knew me when, I was hungry, and it was your world…”. Ma gli amici vicino a me mi hanno detto che è stata orribile anche quella. Non so. Un po’ mi è piaciuta anche Blind Willie McTell, ma credo anche questa perché improvvisamente il palco si è fatto buio, illuminato da luci sulfuree, come trovarsi a cantare il blues nella cantina del diavolo.
Un accenno dell'antica passione mi è sembrato di coglierlo quando ha fatto la più bella canzone rock di tutti i tempi: sì, quella lì. O era la commozione dell'amica seduta vicino a me, che vedeva Bob Dylan per la prima volta. È giusto così, che lui canti per quelli come lei. Per quelli come me, come diceva una volta un amico americano, andare a vedere oggi Bob Dylan è come andare ad ammirare il Mount Rushmore. Un monumento. La musica non conta più.
No, credo che Bob Dylan dal vivo 2009 sia uno degli spettacoli più imbarazzanti che si possano oggi vedere. L’amico Al, quando glielo faccio notare, mi dice: “No dai, se pensi di trovarti a uno spettacolo di cabaret ti puoi anche divertire”. Ah, ok, pensavo fosse rock’n’roll. Ma lo ammiro, ammiro Bob Dylan lo stesso. È la sua vocazione, questa, non è un entertainer. Non è spettacolo. Sta pagando un prezzo, alla musa che gli ha dato così tanto. Deve dare indietro qualcosa, solo lui sa cosa, e sta pagando un prezzo. Spero che in questo modo si stia salvando l’anima. Se lo merita.
Ti vedo a Londra, Bob, alla Roundhouse, fra una decina di giorni. Mi hanno preso un biglietto, devo esserci, è il mio sporco lavoro, sporco come il tuo, e anche io ho un debito da pagare. Con te, credo. Sarà l’ultimo ballo, l’ultimo valzer. You'll most likely go your way, and 'll go mine...
(Bob Dylan)
“Ahò ma ye anno dato l'oscar aqquello?”: frase colta dall’amico Raffaele Concollato all’ingresso del Forum di Assago ieri sera. La frase è di Loredana Bertè. “Aqquello” è Bob Dylan, che la cantante italiana si è degnata di andare a sentire esibirsi. La cantante era probabilmente rimasta colpita dalla statuetta che dal 2001 Bob Dylan mette in bella vista vicino a sé sul palcoscenico.
C’era anche la Rettore tra i “vips” – con la “s” certamente – presenti, il che qualche sospetto sul livello di popolarità di Bob Dylan oggi lo fa venire. O forse il livello di performance che l’anziano songwriter americano è oggi in grado di produrre si merita “vips” del genere.
A onor del vero, personalmente ho incontrato anche il bravo Alberto Fortis.
Forum che era pieno a metà, un 5mila spettatori sui 12mila che ne può contenere. Uno si domanda come fanno a pagare il cachè dell’artista – e spese di contorno -: da quanto ne so, almeno fino a un paio di anni fa, chiedeva 250mila dollari a serata. Vista la partecipazione di pubblico, non sarebbe meglio un paio di serate agli Arcimboldi? Ma anche lì, tanto, la pochezza di quello che è oggi Bob Dylan dal vivo non cambierebbe. Solo, staremmo più comodi, si sentirebbe meglio e personalmente ci metterei da casa mia solo dieci minuti invece che quasi due ore.
Non canta, Bob Dylan, non canta più. Parla (ma se fosse autentico spoken word con accompagnamento musicale adeguato sarei felice, adoro lo spoken word), sillabando frasette e parole in modo a volte piacevole, più spesso in modo balordo, producendo sorta di filastrocche a ritmo marziale. Quando prova a tirare fuori una linea melodica dalla voce, esce fuori un nonsense. La band, che lo accompagna ormai da troppi anni, è irritante. Certo, non è tutto colpa loro, visti gli arrangiamenti identici per tutti i brani, ma insomma, ce ne fosse uno che tirasse fuori i coglioni almeno una volta. E quello lì, ma quanti soldi deve prendersi per sopportare la rottura di palle di suonare per due ore sempre una inaudibile chitarra acustica. Tanti, credo.
Mi è piaciuta Just like a Woman. Per lo sfondo del palcoscenico che improvvisamente si è fatto di romantiche stelline e per quel verso, che ieri sera diceva cose che solo il mio cuore poteva percepire, credo, fra tutti i presenti: “And when we’ll meet again, introduced as friends, please don’t let on that you knew me when, I was hungry, and it was your world…”. Ma gli amici vicino a me mi hanno detto che è stata orribile anche quella. Non so. Un po’ mi è piaciuta anche Blind Willie McTell, ma credo anche questa perché improvvisamente il palco si è fatto buio, illuminato da luci sulfuree, come trovarsi a cantare il blues nella cantina del diavolo.
Un accenno dell'antica passione mi è sembrato di coglierlo quando ha fatto la più bella canzone rock di tutti i tempi: sì, quella lì. O era la commozione dell'amica seduta vicino a me, che vedeva Bob Dylan per la prima volta. È giusto così, che lui canti per quelli come lei. Per quelli come me, come diceva una volta un amico americano, andare a vedere oggi Bob Dylan è come andare ad ammirare il Mount Rushmore. Un monumento. La musica non conta più.
No, credo che Bob Dylan dal vivo 2009 sia uno degli spettacoli più imbarazzanti che si possano oggi vedere. L’amico Al, quando glielo faccio notare, mi dice: “No dai, se pensi di trovarti a uno spettacolo di cabaret ti puoi anche divertire”. Ah, ok, pensavo fosse rock’n’roll. Ma lo ammiro, ammiro Bob Dylan lo stesso. È la sua vocazione, questa, non è un entertainer. Non è spettacolo. Sta pagando un prezzo, alla musa che gli ha dato così tanto. Deve dare indietro qualcosa, solo lui sa cosa, e sta pagando un prezzo. Spero che in questo modo si stia salvando l’anima. Se lo merita.
Ti vedo a Londra, Bob, alla Roundhouse, fra una decina di giorni. Mi hanno preso un biglietto, devo esserci, è il mio sporco lavoro, sporco come il tuo, e anche io ho un debito da pagare. Con te, credo. Sarà l’ultimo ballo, l’ultimo valzer. You'll most likely go your way, and 'll go mine...
Tuesday, April 14, 2009
Dead men don't tour
"I morti non fanno tournée", dicevano quando lo videro salire sul palco. Sixto (così battezzato perché il sesto di sei figli) Diaz Rodriguez - un chicano nato a Detroit da famiglia messicana - doveva essere morto. Per forza. Non si lascia il mondo del rock'n'roll solo perché i primi due dischi non hanno avuto successo. Lui lo fece, probabilmente perché aveva più dignità di tutti. La storia di come le figlie, surfando su Internet, un giorno scoprirono che il padre, trent'anni dopo, era diventato una star in paesi improbabili come il Sud Africa e l'Australia, tanto che le ristampe dei suoi dischi erano diventati platino, la si trova in giro su Internet, ed è una bella storia. Girarono anche un documentario su di lui, e anche questo si trova nella rete, su YouTube, dal titolo Looking for Jesus.
Io so soltanto che Cold Fact e Coming from Reality, usciti rispettivamente nel 1970 e 1971 e adesso disponibili su cd, il secondo anche con tre bonus relative alle session del suo terzo disco poi abortito, sono due album bellissimi. Rodriguez, oltre a essere un buon songwriter rock con chiare ascendenze dylaniane, ma capace anche di affascinanti immersioni nel soul e nel folk di matrice anglosassone, aveva una delle più belle voci di questa musica. Ricca di sentimento e di carisma. Di dolcezza e di rabbia. Una voce che "bucava" e buca ancora. "I played every kind of gig everywhere, I played faggots bars motorcycle funerals open houses concert halls" cantava Sixto. Ma non c'era posto per lui, lui che era nato in una "troubled city, in rock'n'roll Usa".
Ma, hey, avolte anche i morti ritornano.
(Grazie Ro)
Io so soltanto che Cold Fact e Coming from Reality, usciti rispettivamente nel 1970 e 1971 e adesso disponibili su cd, il secondo anche con tre bonus relative alle session del suo terzo disco poi abortito, sono due album bellissimi. Rodriguez, oltre a essere un buon songwriter rock con chiare ascendenze dylaniane, ma capace anche di affascinanti immersioni nel soul e nel folk di matrice anglosassone, aveva una delle più belle voci di questa musica. Ricca di sentimento e di carisma. Di dolcezza e di rabbia. Una voce che "bucava" e buca ancora. "I played every kind of gig everywhere, I played faggots bars motorcycle funerals open houses concert halls" cantava Sixto. Ma non c'era posto per lui, lui che era nato in una "troubled city, in rock'n'roll Usa".
Ma, hey, avolte anche i morti ritornano.
(Grazie Ro)
Friday, April 10, 2009
Farm garden with Crucifix
Sunday, April 05, 2009
Murder ballads
I corpi giacevano lì davanti a lui. Scomposti, ancora sanguinanti. Non capiva di chi erano, non ricordava se li aveva mai conosciuti. Una donna e due bambini. Sentiva solo l’urgenza di avvicinarsi alla tempia quella canna di pistola ancora calda e fumante. Ma perché avrebbe dovuto farlo, se non sapeva chi erano quei morti e chi li avesse massacrati? Perché uccidersi? In fondo di cose orribili nella sua vita ne aveva già viste parecchie. Anche se, in un attimo di lucidità, dovette ammettere che quella era probabilmente la cosa più orribile davanti a cui si fosse mai trovato. E per lo stesso attimo provò dolore. Dio ti maledica, Jim.
Nella piccola stanza in cui il sole primaverile filtrava dalle imposte socchiuse, lui guardava le ossa della schiena di lei. Per qualche motivo gli ricordavano le stazioni della via crucis. Si accorse in quel momento delle lacrime di lei che bagnavano il piccolo rosario appeso al bordo del letto e vide l’abisso in cui stavano affondando. Come se avesse deposto ai piedi di lei il suo tempio di ossa, la vide andare in pezzi e con la mano sfiorò il rosario, alla ricerca del suo pezzo di croce. Sette gocce di sangue uscirono dal seno di lei.
Lei sedeva su una sedia sgangherata, i capelli abbandonati sul volto. Guardava per terra. Respirando il passato, respirava il futuro. C’è un uomo morto nel mio letto. C’è un uomo morto nel mio letto, mormorava senza sosta Dio sa da quanto. Il telefono lì accanto suonava di continuo, ma nessuno stava chiamando. C’è un uomo morto nel mio letto. Lui è lì che ancora scrive, prende appunti, ma giuro che non è uno scherzo. Non riesco ad amare, non riesco ad amarti non so più cosa sia fare l’amore, era quello che trovarono scritto su quel taccuino. C’è un uomo morto nel mio letto, lei continuava a ripetere fra sé guardando fissa per terra.
L'uomo rabbrividì. Quei corpi devastati davanti a lui non c'erano più. Non c'erano mai stati. Non aveva mai avuto una moglie nè tantomeno dei figli. Forse in un'altra vita, ma certamente non in questa. La pistola, fredda tra le dita, quella c'era ancora. Quali che fossero le sue colpe, l'uomo capì che il cielo stesso, o meglio l’inferno, si stava muovendo, evocato dall’immensità delle sue colpe, per punirle.
Fu in quel preciso momento che rivide il volto della ragazza e risentì le parole di lei: "Questo giorno stupendo è stato fatto per te, solo per te. I fiori sono dei begli esseri viventi, e bisogna lasciarli vivere e respirare l’aria del sole e della luna. Io non li colgo mai, i fiori. Si può benissimo amare, in questo mondo sul quale viviamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore".
Lui era il mendicante di un Amore infinito che solo l’Infinito dell’amore può soddisfare. Non c’è da dimenticare e da rinnegar nulla non c’è nessuna mutilazione. C’è soltanto una risurrezione.
Nella piccola stanza in cui il sole primaverile filtrava dalle imposte socchiuse, lui guardava le ossa della schiena di lei. Per qualche motivo gli ricordavano le stazioni della via crucis. Si accorse in quel momento delle lacrime di lei che bagnavano il piccolo rosario appeso al bordo del letto e vide l’abisso in cui stavano affondando. Come se avesse deposto ai piedi di lei il suo tempio di ossa, la vide andare in pezzi e con la mano sfiorò il rosario, alla ricerca del suo pezzo di croce. Sette gocce di sangue uscirono dal seno di lei.
Lei sedeva su una sedia sgangherata, i capelli abbandonati sul volto. Guardava per terra. Respirando il passato, respirava il futuro. C’è un uomo morto nel mio letto. C’è un uomo morto nel mio letto, mormorava senza sosta Dio sa da quanto. Il telefono lì accanto suonava di continuo, ma nessuno stava chiamando. C’è un uomo morto nel mio letto. Lui è lì che ancora scrive, prende appunti, ma giuro che non è uno scherzo. Non riesco ad amare, non riesco ad amarti non so più cosa sia fare l’amore, era quello che trovarono scritto su quel taccuino. C’è un uomo morto nel mio letto, lei continuava a ripetere fra sé guardando fissa per terra.
L'uomo rabbrividì. Quei corpi devastati davanti a lui non c'erano più. Non c'erano mai stati. Non aveva mai avuto una moglie nè tantomeno dei figli. Forse in un'altra vita, ma certamente non in questa. La pistola, fredda tra le dita, quella c'era ancora. Quali che fossero le sue colpe, l'uomo capì che il cielo stesso, o meglio l’inferno, si stava muovendo, evocato dall’immensità delle sue colpe, per punirle.
Fu in quel preciso momento che rivide il volto della ragazza e risentì le parole di lei: "Questo giorno stupendo è stato fatto per te, solo per te. I fiori sono dei begli esseri viventi, e bisogna lasciarli vivere e respirare l’aria del sole e della luna. Io non li colgo mai, i fiori. Si può benissimo amare, in questo mondo sul quale viviamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore".
Lui era il mendicante di un Amore infinito che solo l’Infinito dell’amore può soddisfare. Non c’è da dimenticare e da rinnegar nulla non c’è nessuna mutilazione. C’è soltanto una risurrezione.
Thursday, April 02, 2009
If you see Sister Lucy, say I'm sorry
I'm Paolo Vites and I approve this album.
Feel a change is gonna come. Si può ascoltare qui:
http://www.newsweek.com/id/40211#?l=1785302026&t=18540585001
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