Tempo presente e tempo passato
sono forse entrambi presenti nel tempo futuro,
e il tempo futuro contenuto nel tempo passato.
Se il tempo tutto è eternamente presente
il tempo tutto è irredimibile.
Ciò che avrebbe potuto essere è un’astrazione
che rimane perpetua possibilità
solo in un mondo ipotetico.
Ciò che avrebbe potuto essere e ciò che è stato
puntano a un solo fine, che è sempre presente.
Passi echeggiano nella memoria
lungo la via che non abbiamo preso
verso la porta che non abbiamo aperto
per entrare nel roseto. Le mie parole echeggiano
così, nella tua mente.
Ma a che scopo
turbare la polvere su una ciotola di petali di rosa
io non so.
(...)
Sembra, a mano a mano che uno invecchia | che il passato abbia una diversa forma | e cessi di rappresentare una successione | o, perfino, uno sviluppo [...] | Noi abbiamo compiuto l'esperienza, ma non ne cogliemmo il significato | e l'approssimarsi al significato ripropone l'esperienza | sotto diversa forma, oltre ogni senso | che noi possiamo dare alla felicità. || La gente cambia e sorride: l'agonia persiste. | Il tempo che di-strugge è il tempo che conserva
TS Eliot
Thursday, November 25, 2010
Monday, November 22, 2010
Le mie sorelle segrete
Music heard so deeply
that it is not heard at all, but you are the music
while the music lasts.
Four quartets, t. s. eliot
Non so più dove mettere la musica. Ho anche aperto insieme ad alcuni amici un altro blog, ve l'ho già detto. Il fatto è che la seconda decade del terzo millennio è una goduria quasi quanto come quando andavamo per dischi nel 1967 o nel 1977. Mmm. Nel 1977 sì, vabbè. Qua, su Sunday Morning trovate un paio di bei dischetti, il secondo - e nuovissimo - dei Jim Jones Revue e il primo del supergruppo Fistful of Mercy (in arte, Ben Harper, Dhani Harrison figlio di George e Joseph Arthur). E anche la ristampa deluxe di un dei più bei dischi degli anni 70, Damn the Torpedoes! di Tom Petty. Ma su Sunday Morning c'è un sacco di altre belel cose da leggere.
Qua, nel blog dei deliri, vorrei invece parlarvi delle mie sorelle segrete. Non vi parlo di Sorella Morte che mi sta accanto deliziosamente ogni giorno. Nè di Sorella Sfiga, quella c'è l'ho accanto dal giorno che sono nato e sta cominciando pure a diventarmi simpatica. Le Sorelle della Misericordia invece mi hanno tradito per sempre. Vi parlo piuttosto delle Secret Sisters, viste ieri sera per puro caso al Letterman Show. Immediatamente ho capito di trovarmi davanti a qualcosa di straordinario. Perché io amo la country music.
Chiunque vi abbia detto che la country music è musica divertente, spensierata, è un povero pirla. Io amo la country music di Hank Williams, per intenderci, il cantante più triste e disperato di ogni tempo. Epperò certo che la country music si svolge su armonie piacevoli, tempi saltellanti, approcci ariosi. Apparentemente. Qual era il segreto di Hank Williams? Sfoderare un bel sorriso di fronte alle mille amarezze della vita. Perché la country music è come il blues: è musica dell'anima e ha il potere di guarire l'anima. Be', le Secret Sisters sono un gruppo nuovissimo, prodotto dal più grande salvaguardatore del patrimonio popolare nord americano, T Bone Burnett, e sono riuscite nel miracolo. Pensate che fanno anche Something Stupid di Nancy Sinatra in versione country, oddio meglio di così cosa c'è?
In una giornata in cui mi sentivo "da suicidio proprio come il Mister Jones di Dylan" (per quotare John Lennon), mi hanno ridato la voglia di vivere. Sono sorelle segrete, sono angeli custodi. E anche di quelli ce ne ho tanti. Uno di essi oggi mi ha tenuto compagnia e mi ha pregato di non mollare. E alla sera è arrivata la musica. Hey, good lookin'.
that it is not heard at all, but you are the music
while the music lasts.
Four quartets, t. s. eliot
Non so più dove mettere la musica. Ho anche aperto insieme ad alcuni amici un altro blog, ve l'ho già detto. Il fatto è che la seconda decade del terzo millennio è una goduria quasi quanto come quando andavamo per dischi nel 1967 o nel 1977. Mmm. Nel 1977 sì, vabbè. Qua, su Sunday Morning trovate un paio di bei dischetti, il secondo - e nuovissimo - dei Jim Jones Revue e il primo del supergruppo Fistful of Mercy (in arte, Ben Harper, Dhani Harrison figlio di George e Joseph Arthur). E anche la ristampa deluxe di un dei più bei dischi degli anni 70, Damn the Torpedoes! di Tom Petty. Ma su Sunday Morning c'è un sacco di altre belel cose da leggere.
Qua, nel blog dei deliri, vorrei invece parlarvi delle mie sorelle segrete. Non vi parlo di Sorella Morte che mi sta accanto deliziosamente ogni giorno. Nè di Sorella Sfiga, quella c'è l'ho accanto dal giorno che sono nato e sta cominciando pure a diventarmi simpatica. Le Sorelle della Misericordia invece mi hanno tradito per sempre. Vi parlo piuttosto delle Secret Sisters, viste ieri sera per puro caso al Letterman Show. Immediatamente ho capito di trovarmi davanti a qualcosa di straordinario. Perché io amo la country music.
Chiunque vi abbia detto che la country music è musica divertente, spensierata, è un povero pirla. Io amo la country music di Hank Williams, per intenderci, il cantante più triste e disperato di ogni tempo. Epperò certo che la country music si svolge su armonie piacevoli, tempi saltellanti, approcci ariosi. Apparentemente. Qual era il segreto di Hank Williams? Sfoderare un bel sorriso di fronte alle mille amarezze della vita. Perché la country music è come il blues: è musica dell'anima e ha il potere di guarire l'anima. Be', le Secret Sisters sono un gruppo nuovissimo, prodotto dal più grande salvaguardatore del patrimonio popolare nord americano, T Bone Burnett, e sono riuscite nel miracolo. Pensate che fanno anche Something Stupid di Nancy Sinatra in versione country, oddio meglio di così cosa c'è?
In una giornata in cui mi sentivo "da suicidio proprio come il Mister Jones di Dylan" (per quotare John Lennon), mi hanno ridato la voglia di vivere. Sono sorelle segrete, sono angeli custodi. E anche di quelli ce ne ho tanti. Uno di essi oggi mi ha tenuto compagnia e mi ha pregato di non mollare. E alla sera è arrivata la musica. Hey, good lookin'.
Friday, November 19, 2010
C'è un nuovo blog in città
Anzi, un superblog! Da tempo andavo pensando a una situazione del genere: visitare ogni giorno una dozzina di blog diversi per leggerne i post è per me ormai impresa impossibile, manca il tempo, time out of mind... Così radunare più blog in un posto solo mi sembrava un'idea comoda, oltre che quanto di più simile a una vera e propria rivista musicale online, che era - ed è - anche quella un mio grande sogno.
Così adesso abbiamo il super blog, Sunday Morning, a questo indirizzo, http://sunday-m-orning.blogspot.com/, con un po' di validi bloggers riuniti sotto un'unica bandiera. Quello che ci scrive di meno ovviamente sono io per i motivi di cui prima. Red River Shore rimane sempre aperto, dont worry. Qua ci rimangono i miei deliri notturni, albeggianti e di tramonto. Di là cercherò di essere più professionale, tempo permettendo. Così fateci un giro e poi tornateci, credo ne valga la pena.
Happy trails
Così adesso abbiamo il super blog, Sunday Morning, a questo indirizzo, http://sunday-m-orning.blogspot.com/, con un po' di validi bloggers riuniti sotto un'unica bandiera. Quello che ci scrive di meno ovviamente sono io per i motivi di cui prima. Red River Shore rimane sempre aperto, dont worry. Qua ci rimangono i miei deliri notturni, albeggianti e di tramonto. Di là cercherò di essere più professionale, tempo permettendo. Così fateci un giro e poi tornateci, credo ne valga la pena.
Happy trails
Wednesday, November 17, 2010
Sad songs for dirty lovers
"Usciamo fuori stanotte e immergiamoci nel rumore e nelle luci accese e nella confusione del rock'n'roll. Troviamo una strada verso il Mistero e seguiamolo (...) Il pubblico pensa, ecco un'altra band. La band pensa, ecco un'altra città. E insieme si incontrano nella notte e insieme danzano"
(Paul Williams. The Map - Or Rediscovering Rock'n'Roll)
Ho fatto il pieno. Ho ingerito tutto quello che potevo ingerire nel percorso che ho dovuto fare per arrivare fino a qui. Un tassista mi ha anche scaraventato fuori del suo taxi perché stavo vomitandogli dentro. Bontà sua non mi ha fatto neanche pagare il pezzo di corsa che avevo fatto con lui. In realtà non avevo bisogno di ingerire nulla perché sono 36 ore che non chiudo occhio pensando a quanto mi aspetta tra quelle mura. Ma onestamente, ho dovuto prendere un sacco di roba e berci sopra anche, perché ho sette donne che mi ossessionano la testa e se non le faccio fuori tutte e sette stanotte, non ce la farò mai più. C'è anche un tipo coi baffi che mi ossessiona da mesi, ma non sono gay e poi è stronzo, se ne andrà da solo prima o poi. Sono venuto fin qui stanotte perché ho dei conti da saldare. Con i ricordi del mio futuro.
“Karen, put me in a chair, fuck me and make me a drink
I’ve lost direction, and I’m past my peak
I’m telling you this isn’t me
No, this isn’t me
Karen, believe me, you just haven’t seen my good side yet”
(The National, Karen)
Quando la canzone che annuncia l'ingresso della band sul palco è On the Beach di Neil Young, sparata alla dose giusta come se NEIL YOUNG fosse sul palco, capisci che la serata è quella giusta, se ancora avevi dubbi. Ancora di più dopo l'ottimo set di apertura di Mr Phosphorescent che suona, con la sua band, come se il tempo e la musica si fossro fermati a Zuma. Le fotomodelle che ti girano attorno contribuiscono a sostenere l'idea, e quando incontri The American Mary allora che la festa abbia inizio. Non c'è più da aver paura, anche se facce orribili stravolte di gelosia continuo a vederne in giro, qua dentro. Ma The National sono la band giusta nella notte giusta per quello che deve accadere, e quando Abel spacca di rumore bianco il soffitto dell'Alcatraz, così come England si adagia sulle vetrate della cattedrale di Westminster, allora capisci che Douglas Coupland aveva predetto giusto, che sì, una band come i National doveva apparire prima o poi per salvare ancora una volta il rock'n'roll. Se quella di Coupland era la prima generazione a cui avevano portato via il concetto di Dio, questa sera i National ribadiscono che senza Mistero non si fa rock'n'roll. E quando quell'allampanato cantante tutto vestito di nero scende dal palco e attraversa tutta la sala dell'Alcatraz continuando a cantare in mezzo a un pubblico che lo sfiora appena, epicità fa ancora rima con bellezza. E tutto va dove deve andare. Tranne io, che non riesco a trovare la porta d'uscita.
My mind's not right
My mind's not right
My mind's not right
Abel, come on, give me a reason
I am not as bright as I could be
Abel, come on, take me with you
Everything has all gone down wrong
(The National, Abel)
In qualche modo sono riuscito a uscire di là. Ho la testa che si spacca e si disintegra in mille modi, ma non mi sono mai sentito così bene come adesso. Quei sette demoni - o angeli - l'hanno avuta vinta anche stanotte nonostante tutto, ma già lo sapevo che dovrò abituarmi ad averle sempre intorno, nel bene e nel male. Fino a quando non si stancheranno loro di perseguitarmi e se ne torneranno nella notte che le ha partorite. Forse una si fermerà per sempre, ma non ci conterei e poi ormai non credo che sarebbe un bene. Si spreca un sacco di tempo per scoprire che una donna, alla fine, è solo un'altro straniero e basta. La cosa positiva è che lo stronzo con i baffi, lui sì se n'è andato via per sempre. Non era musica per lui questa. Di musica, lui, d'altro canto, non ne ha mai capito un cazzo. Appoggio le spalle contro il muro e stendo le gambe sul marciapiede. Che pace. Intravvedo dozzine di piedi che mi passano davanti, le luci delle macchine, l'asfalto umido che fuma puzzolente. Non ci arrivo a casa stanotte ma chissenefrega. Sorrido come un cretino mentre le luci dell'alba mi arrivano in faccia. Big city, bright lights. Quante ore sono passate? Cazzo, devo correre in redazione. Devo ancora scrivere la recensione del concerto di stanotte. Basterebbero cinque o sei parole per descrivere ogni momento di questa serata, tipo "Sono vivo. Non posso crederci, sono vivo. C'è un nuovo giorno all'alba e io vi sono finalmente arrivato. Sono vivo, ma senza di te non è giusto". Ma non capirebbero. Nessuno capirebbe. Neanche lei capirebbe. Mr. November potrebbe capirmi invece. Anzi, ne sono certo.
You must be somewhere in London, you must be loving your life in the rain
You must be somewhere in London, walking Abbey Lane
I don't even think to make, I don't even think to make
I don't even think to make corrections
Famous angels never come through England
England gets the ones you never need
I'm in a Los Angeles cathedral
Minor singing airheads sing for me
(The National, England)
I'm the new blue blood, I'm the great white hope
I'm the new blue blood
I won't fuck us over, I'm Mr. November
I'm Mr. November, I won't fuck us over
(The National)
With special thanx to Jackson Browne, Bob Dylan, Eternal sunshine of the spotless mind, Eric Andersen, Douglas Coupland and the seven women in my mind. And The National of course, including The American Mary...
(In the Alcatraz' toilet, waiting for a savior)
(Paul Williams. The Map - Or Rediscovering Rock'n'Roll)
Ho fatto il pieno. Ho ingerito tutto quello che potevo ingerire nel percorso che ho dovuto fare per arrivare fino a qui. Un tassista mi ha anche scaraventato fuori del suo taxi perché stavo vomitandogli dentro. Bontà sua non mi ha fatto neanche pagare il pezzo di corsa che avevo fatto con lui. In realtà non avevo bisogno di ingerire nulla perché sono 36 ore che non chiudo occhio pensando a quanto mi aspetta tra quelle mura. Ma onestamente, ho dovuto prendere un sacco di roba e berci sopra anche, perché ho sette donne che mi ossessionano la testa e se non le faccio fuori tutte e sette stanotte, non ce la farò mai più. C'è anche un tipo coi baffi che mi ossessiona da mesi, ma non sono gay e poi è stronzo, se ne andrà da solo prima o poi. Sono venuto fin qui stanotte perché ho dei conti da saldare. Con i ricordi del mio futuro.
“Karen, put me in a chair, fuck me and make me a drink
I’ve lost direction, and I’m past my peak
I’m telling you this isn’t me
No, this isn’t me
Karen, believe me, you just haven’t seen my good side yet”
(The National, Karen)
Quando la canzone che annuncia l'ingresso della band sul palco è On the Beach di Neil Young, sparata alla dose giusta come se NEIL YOUNG fosse sul palco, capisci che la serata è quella giusta, se ancora avevi dubbi. Ancora di più dopo l'ottimo set di apertura di Mr Phosphorescent che suona, con la sua band, come se il tempo e la musica si fossro fermati a Zuma. Le fotomodelle che ti girano attorno contribuiscono a sostenere l'idea, e quando incontri The American Mary allora che la festa abbia inizio. Non c'è più da aver paura, anche se facce orribili stravolte di gelosia continuo a vederne in giro, qua dentro. Ma The National sono la band giusta nella notte giusta per quello che deve accadere, e quando Abel spacca di rumore bianco il soffitto dell'Alcatraz, così come England si adagia sulle vetrate della cattedrale di Westminster, allora capisci che Douglas Coupland aveva predetto giusto, che sì, una band come i National doveva apparire prima o poi per salvare ancora una volta il rock'n'roll. Se quella di Coupland era la prima generazione a cui avevano portato via il concetto di Dio, questa sera i National ribadiscono che senza Mistero non si fa rock'n'roll. E quando quell'allampanato cantante tutto vestito di nero scende dal palco e attraversa tutta la sala dell'Alcatraz continuando a cantare in mezzo a un pubblico che lo sfiora appena, epicità fa ancora rima con bellezza. E tutto va dove deve andare. Tranne io, che non riesco a trovare la porta d'uscita.
My mind's not right
My mind's not right
My mind's not right
Abel, come on, give me a reason
I am not as bright as I could be
Abel, come on, take me with you
Everything has all gone down wrong
(The National, Abel)
In qualche modo sono riuscito a uscire di là. Ho la testa che si spacca e si disintegra in mille modi, ma non mi sono mai sentito così bene come adesso. Quei sette demoni - o angeli - l'hanno avuta vinta anche stanotte nonostante tutto, ma già lo sapevo che dovrò abituarmi ad averle sempre intorno, nel bene e nel male. Fino a quando non si stancheranno loro di perseguitarmi e se ne torneranno nella notte che le ha partorite. Forse una si fermerà per sempre, ma non ci conterei e poi ormai non credo che sarebbe un bene. Si spreca un sacco di tempo per scoprire che una donna, alla fine, è solo un'altro straniero e basta. La cosa positiva è che lo stronzo con i baffi, lui sì se n'è andato via per sempre. Non era musica per lui questa. Di musica, lui, d'altro canto, non ne ha mai capito un cazzo. Appoggio le spalle contro il muro e stendo le gambe sul marciapiede. Che pace. Intravvedo dozzine di piedi che mi passano davanti, le luci delle macchine, l'asfalto umido che fuma puzzolente. Non ci arrivo a casa stanotte ma chissenefrega. Sorrido come un cretino mentre le luci dell'alba mi arrivano in faccia. Big city, bright lights. Quante ore sono passate? Cazzo, devo correre in redazione. Devo ancora scrivere la recensione del concerto di stanotte. Basterebbero cinque o sei parole per descrivere ogni momento di questa serata, tipo "Sono vivo. Non posso crederci, sono vivo. C'è un nuovo giorno all'alba e io vi sono finalmente arrivato. Sono vivo, ma senza di te non è giusto". Ma non capirebbero. Nessuno capirebbe. Neanche lei capirebbe. Mr. November potrebbe capirmi invece. Anzi, ne sono certo.
You must be somewhere in London, you must be loving your life in the rain
You must be somewhere in London, walking Abbey Lane
I don't even think to make, I don't even think to make
I don't even think to make corrections
Famous angels never come through England
England gets the ones you never need
I'm in a Los Angeles cathedral
Minor singing airheads sing for me
(The National, England)
I'm the new blue blood, I'm the great white hope
I'm the new blue blood
I won't fuck us over, I'm Mr. November
I'm Mr. November, I won't fuck us over
(The National)
With special thanx to Jackson Browne, Bob Dylan, Eternal sunshine of the spotless mind, Eric Andersen, Douglas Coupland and the seven women in my mind. And The National of course, including The American Mary...
(In the Alcatraz' toilet, waiting for a savior)
Saturday, November 13, 2010
Queen Jane Approximately
"Oh my God, am I here all alone?"
(Ballad of a Thin Man, Bob Dylan)
In principio era due cassettine, di un amico. Cassette originali. Una era Nashville Skyline, l'altra The Freewheelin' Bob Dylan. Dopo il mio primo acquisto dylaniano in tempo reale, Desire, 1976, che modo più sconclusionato per cominciare ad affondare dentro all'oceano dylaniano. Suonate su mangianastro, ha! Stereo e mono era due parole sconosciute, allora. Ascoltare quei due dischi in conteporanea, poi, era come se fossero stati due cantanti diversi, non la stessa persona. Poi venne Bob Dylan's Greatest Hits 2, un vinile, e manco quello con i pezzi più famosi. Però c'era quella che suona per me come la più grande canzone di Bob Dylan, (Sooner or Later) One of Us Must Know. Una cascata argentea di note di pianoforte e organo hammond. La batteria che rullava sul rullante. La voce che suonava come quella di un morto dall'oltretomba. Paura. Una volta un'amica mentre la ascoltavamo insieme mi chiese, perché l'hai messa? Sta dicendo un sacco di cose cattive, Bob Dylan. E' vero, nessuno canta la realtà meglio di Bob Dylan. La dovetti togliere.
"Lp's were like a force of gravity. They had covers, back and forth, that you could stare at it for hours"
(Bob Dylan, Chronicles)
Poi ci furono i colori. Ogni disco, ogni canzone, per me suona con un colore diverso tutt'oggi, ma allora di più. Sì, centra un po' l'effetto inconscio dei colori della foto in copertina, che lascia un sottofondo. Ma per me The Freeewheelin' ha sempre suonato di verde scuro massiccio, come le foreste del nord America, con qualche striscia di marrone autunnale. Highway 61 Revisited invece è bianco bianco, che a tratti diventa un grigio sporco, come lo scarico di una automobile nel traffico. Blonde on Blonde è giallo bronzeo, un giallo che scintilla ma non è accecante. A tratti lo è, ma tende a sfumare in giallo caldo e avvolgente. Musica e colore vanno allo stesso passo.
"This stereo recording can also be played in mono"
(Dall'interno copertina della mia copia olandese di Blonde on Blonde)
Dei principali dischi di Bob Dylan ho diverse versioni, di Highway 61 Revisted ho anche una copia americana degli anni 60, ma è stereo. Per anni ho sentito espertoni discutere del fatto che Blonde on Blonde dovrebbe essere ascoltato in versione mono, quella giapponese peraltro, per averne la qualità sonora perfetta. Io ho una copia "gold", quando negli anni 90 alcuni dischi furono rimasterizzati con un "nuovo" (e come tutti quelli prima e quelli dopo) sistema poi subito accantonato. Suona divinamente per me, quella versione di Bionda su Bionda. Nelle ultime decadi i dischi di Bob Dylan sono stati ristampati diverse volte, disordinatamente, la maggior parte con masterizzazioni da galera. Non solo non sono stati usati i master originali, ma a volte a diverse canzoni per "comprimerle" su cd sono stati tagliati anche i secondi finali. Ne hanno provate di tutte, da - come si chiamava - il SACD a finte masterizzazioni mono ricreate oggigiorno. Delirio.
Non sono un esperto di hi-fi e una bella canzone mi colpisce anche attraverso le cuffiette dell'orrido iPod, così come mi colpiva dalla radio degli anni 30 con cui mia madre ascoltava Radio Londra durante la guerra, e io le radio pirata italiane negli anni 70. Aveva anche un piatto per il giradischi, quella radio, che sono certo non fosse stereo, e io ci ascoltavo i dischi, vorrei sapere oggi che effetto era ascoltare un disco stereo degli anni 70 su una radio mono degli anni 30. Forse è stato allora che ho cominciato a drogarmi senza aver bisogno di droga.
"The first time that I heard Bob Dylan I was in the car with my mother, and we were listening to, I think, maybe WMCA, and on came that snare shot that sounded like somebody kicked open the door to your mind, from 'Like a Rolling Stone.'"
(Bruce Springsteen)
In realtà ho sempre adorato quelle registrazioni stereo degli anni 60, quelle dove si sente la batteria in un canale e voce e chitarre tastiere o quant'altro nell'altro. E' un suono unico, un marchio di epoca, e la batteria che viaggia da sola mi fa godere. Non è il massimo, anzi è 'na merdaccia, questo tipo di stereo, per i dischi solo voce e chitara, come Freewheelin' e gli altri acustici di Dylan, perché non capisci chi sta suonando la chitarra e se il cantante è uno che la chitarra proprio non la suona. Perché la chitarra è in una cassa e la voce nell'altra. L'armonica nel caso di Dylan poi sta in mezzo. Ma quanti sono in realtà su disco, tre? I Dylan Brothers? Phil Spector, che riusciva a portare in studio per una sola canzone circa 150 musicisti, ha sempre sostenuto la filosofia del suono mono a tutti i costi. Cioè la comoatezza sonica, tutit gli strumenti che si esprimessero come una sola voce. Un motivo ci sarà.
L'altra sera sono tornato a casa con il cofanetto The Original Mono Recordings di Bob Dylan, quello che contiene i suoi primi otto album in versione mono. Un viaggio di poco più di cinque anni, dal marzo 1962 al dicembre 1967, da quando uscì Bob Dylan a John Wesley Harding. Un viaggio che è un frullato di storia e di emozioni impagabile. Pazzesco pensare che l'autore di questi dischi diversissimi sia sempre la stessa persona. Ovviamente il primo pezzo che ho messo su è stata Like a Rolling Stone. Che adoro da sempre, che non ho dubbi a ritenere la più grande canzone rock di tutti i tempi, ma che finalmente ascoltandola in questa versione mono (comunque con lavoro di fine rimasterizzazione) mi ha fatto capire le parole di Bruce Springsteen. Non avevo mai percepito che Like a Rolling Stone fosse una tale canzone violenta, brutale. E' un calcio in culo e nei denti, altro che aprire una porta con un calcio. Se Pulp Fiction fosse uscito negli anni 60 questa era la canzone ideale. Posso solo immaginare cosa abbiano provato milioni di americani, nel 1965, quando la ascoltarono per la prima volta. La spettacolarità di questo cofanetto è proprio questa, ti riporta indietro in una epoca storica precisa e ti fa sentire come se fossi lì, come se fossi uno di quelli, che allora ascoltavano queste canzoni. L'effetto mono pone ogni strumento sullo stesso piano, ne fa una polpetta sonica rude e gonfia, con la voce che emerge dal cataclisma sonoro. Come ascoltare una radio AM ferma per sempre agli anni 60 da una rovinata Buick (6, ovviamente) ferma all'angolo tra Positively Fourth Street e MacDougal Street. Come essere in studio con Bob Dylan e ascoltare pe rla prima volta come diavolo era fvenuto fuori Highway 61 revisited. Mica bruscolini. I dischi acustici ovviamente suonano da paura, sono la perfezione sonica assoluta. Ma It's Alright Ma (I'm Only Bleeding), la seconda più grande canzone di tutti i tempi, adesso ha anch'essa una violenza sonica impressionante. La devi ascoltare tutta d'un fiato e hai paura ad arrivare alla fine. Ci credo che Bob Dylan ha cambiato la coscienza collettiva d'America. Ci credo che quei due pazzi fondarono le Black Panthers ascoltando Ballad of a Thin Man in ripetizione per ore.
Siamo nel 2010, ascolto Bob Dylan da 34 anni e stasera mi sento come se non lo avessi mai ascoltato prima. The Freewheelin' Bob Dylan è la giovane America in cerca di sé stessa; Another Side of Bob Dylan sono i Beatles senza i Beatles; Highway 61 è la rabbia giovane; Blonde on Blonde è un cataclisma di droga, perdizione sonica e un sacco di belle ragazze (peccato che la foto di Claudia Cardinale sia stata eliminata, la concervo gelosamente nelle mie precedenti edizioni di BoB) . John Wesley Harding è il Grande Libro delle Verità. Non è una bella cosa? Non lo so, quello che mi domando è se Youtube sia stereo, mono o che altro.
Thursday, November 11, 2010
Il sale della terra
I see you walking, baby, down the street
Pushing that baby carriage at your feet
I see that lonely ribbon in your hair
Tell me am I the man for whom you put it there
You never smile girl, you never speak
You just walk on by, darlin', week after week
Raising two kids alone in this mixed up world
Must be a lonely life for a working girl
(Bruce Springsteen, I Wanna Marry You)
L’altra sera quel fesso di un tram ha saltato la fermata di casa mia. Erano quasi le undici di sera, la mia giornata era cominciata alle 7 e mi sono dovuto fare un pezzo di strada in più che già dormivo in piedi. Ma alla fine della fiera è stato meglio così. Nel fare il giro largo per andare a casa sono passato per dove non sarei dovuto passare. C’era una macchina, a un certo punto, con il bagagliaio aperto. Avvicinandomi, vedevo nell’oscurità qualcuno, poi ho sentito un tonfo. Ormai ero lì a due passi, e ho visto che il tonfo era causato da un passeggino su cui erano state caricate una mezza dozzina di borse e sacchetti vari. Mi è successo un milione di volte anche a me, quando per casa mia c’erano passeggini e carozzine, di fare l’errore di posare le borse sul retro passeggino che quindi si sbilancia e precipita all’indietro. Ma mai alle 11 passate di sera. Davanti al passeggino, sconsolata, una giovane mamma che scuoteva la testa, mi sembrava quasi che si mettesse a piangere e cominciava a raccogliere il tutto. Naturalmente da quel burino che sono non l’ho aiutata ma ho continuato a guardare la scena, un po’ commosso. Che ci fa una mamma in giro a quell’ora, sarà tornata da recuperare il bambino dai nonni dove lo ha lasciato tutto il giorno per poter andare al lavoro. Sarà stanca morta, come solo una mamma che lavora può esserlo. Accidenti. Io non credo ci sia cosa più grande al mondo di questa, una mamma, e una mamma che lavora. Magari non era il suo caso ma ho pensato a questo.
E mi è venuto in mente un mio amico che non vedo da una vita. Tanti anni fa quando ero un ragazzotto agli albori della mia vita di lavoro, quando lavoravo di giorno e la sera sbancavo tutte le discoteche ei club “in” di Milano, ero finito a cena a casa sua. Lui faceva l’operaio, turni di giorno e turni di notte. Eravamo a cena, c’era tutta la sua bella famiglia. A un certo punto si fermò dal mangiare e scuotendo la testa con un mezzo sorriso mormorò: “Accidenti, è bello essere a casa”. Non capii, ma provai un gran senso di tenerezza. Non c’è niente di più grande di un uomo che lavora duro per la propria famiglia. Adesso che torno a casa mediamente alle 10 di sera ogni giorno, quando mi siedo lì a tavola e vedo le mie figlie e mia moglie che si preparano ad andare a dormire, e ci salutiamo e ci scambiamo tre parole tutti quanti, penso anche io “accidente è bello essere a casa”. Avercela, una casa.
E poi l’altra sera c’era mia figlia grande, la mamma e la sorellina era già andate a letto. Io stramazzavo come sempre sul divano, con un bicchiere di gin in una mano e il telecomando nell’altra, gli occhi semichiusi dal sonno, ma non abbastanza per impedirmi di notare mia figlia che prendeva gli aghi da cucire e si sedeva al tavolo della sala. Che mia figlia grande prenda in mano degli aghi da cucire, una che mette via i suoi vestiti solo una volta al mese dopo che sono diventati una orrida catasta di stracci, è già un evento. Qualcosa di così casalingo e femminile non me lo aspetto mai da lei. Così ho aperto del tutto gli occhi e l’ho guardata fisso. E’ incredibilmente bella, ho pensato, come diavolo ho potuto mettere al mondo un essere così meraviglioso. Ovviamente è solo passata attraverso di me, lei c'era già nella mente e nel cuore di qualcun altro che l'ha voluta così bella, io sono stato solo il tramite. E mentre la guardavo la vedevo un giorno sposa, madre e quant’altro. La vedevo che non mi apparteneva manco un briciolo, è così evidente in quei momenti che i figli non sono tuoi. Ti vengono affidati per un po’ di anni, poi devono correre via, e lei a 16 sta già correndo via e va bene così. Allora l’ho chiamata sul divano, l’ho stretta un po’ che di solito non se lo fa mai fare, e le ho detto, “sei incazzata anche oggi?” che lei lo è praticamente sempre. Ha risposto: “Se sono arrabbiata sempre è per colpa tua che sei sempre arrabbiato”. Accidenti è vero, ho pensato. “Sono figlia tua, ho preso da te” Accidenti è vero anche questo. Allora cerchiamo di non essere più incazzati, figlia, le ho detto, anche se fa tanto rock’n’roll. Ma mi sono sentito padre veramente in quei minuti. Perché lei mi ha fatto da padre.
Pushing that baby carriage at your feet
I see that lonely ribbon in your hair
Tell me am I the man for whom you put it there
You never smile girl, you never speak
You just walk on by, darlin', week after week
Raising two kids alone in this mixed up world
Must be a lonely life for a working girl
(Bruce Springsteen, I Wanna Marry You)
L’altra sera quel fesso di un tram ha saltato la fermata di casa mia. Erano quasi le undici di sera, la mia giornata era cominciata alle 7 e mi sono dovuto fare un pezzo di strada in più che già dormivo in piedi. Ma alla fine della fiera è stato meglio così. Nel fare il giro largo per andare a casa sono passato per dove non sarei dovuto passare. C’era una macchina, a un certo punto, con il bagagliaio aperto. Avvicinandomi, vedevo nell’oscurità qualcuno, poi ho sentito un tonfo. Ormai ero lì a due passi, e ho visto che il tonfo era causato da un passeggino su cui erano state caricate una mezza dozzina di borse e sacchetti vari. Mi è successo un milione di volte anche a me, quando per casa mia c’erano passeggini e carozzine, di fare l’errore di posare le borse sul retro passeggino che quindi si sbilancia e precipita all’indietro. Ma mai alle 11 passate di sera. Davanti al passeggino, sconsolata, una giovane mamma che scuoteva la testa, mi sembrava quasi che si mettesse a piangere e cominciava a raccogliere il tutto. Naturalmente da quel burino che sono non l’ho aiutata ma ho continuato a guardare la scena, un po’ commosso. Che ci fa una mamma in giro a quell’ora, sarà tornata da recuperare il bambino dai nonni dove lo ha lasciato tutto il giorno per poter andare al lavoro. Sarà stanca morta, come solo una mamma che lavora può esserlo. Accidenti. Io non credo ci sia cosa più grande al mondo di questa, una mamma, e una mamma che lavora. Magari non era il suo caso ma ho pensato a questo.
E mi è venuto in mente un mio amico che non vedo da una vita. Tanti anni fa quando ero un ragazzotto agli albori della mia vita di lavoro, quando lavoravo di giorno e la sera sbancavo tutte le discoteche ei club “in” di Milano, ero finito a cena a casa sua. Lui faceva l’operaio, turni di giorno e turni di notte. Eravamo a cena, c’era tutta la sua bella famiglia. A un certo punto si fermò dal mangiare e scuotendo la testa con un mezzo sorriso mormorò: “Accidenti, è bello essere a casa”. Non capii, ma provai un gran senso di tenerezza. Non c’è niente di più grande di un uomo che lavora duro per la propria famiglia. Adesso che torno a casa mediamente alle 10 di sera ogni giorno, quando mi siedo lì a tavola e vedo le mie figlie e mia moglie che si preparano ad andare a dormire, e ci salutiamo e ci scambiamo tre parole tutti quanti, penso anche io “accidente è bello essere a casa”. Avercela, una casa.
E poi l’altra sera c’era mia figlia grande, la mamma e la sorellina era già andate a letto. Io stramazzavo come sempre sul divano, con un bicchiere di gin in una mano e il telecomando nell’altra, gli occhi semichiusi dal sonno, ma non abbastanza per impedirmi di notare mia figlia che prendeva gli aghi da cucire e si sedeva al tavolo della sala. Che mia figlia grande prenda in mano degli aghi da cucire, una che mette via i suoi vestiti solo una volta al mese dopo che sono diventati una orrida catasta di stracci, è già un evento. Qualcosa di così casalingo e femminile non me lo aspetto mai da lei. Così ho aperto del tutto gli occhi e l’ho guardata fisso. E’ incredibilmente bella, ho pensato, come diavolo ho potuto mettere al mondo un essere così meraviglioso. Ovviamente è solo passata attraverso di me, lei c'era già nella mente e nel cuore di qualcun altro che l'ha voluta così bella, io sono stato solo il tramite. E mentre la guardavo la vedevo un giorno sposa, madre e quant’altro. La vedevo che non mi apparteneva manco un briciolo, è così evidente in quei momenti che i figli non sono tuoi. Ti vengono affidati per un po’ di anni, poi devono correre via, e lei a 16 sta già correndo via e va bene così. Allora l’ho chiamata sul divano, l’ho stretta un po’ che di solito non se lo fa mai fare, e le ho detto, “sei incazzata anche oggi?” che lei lo è praticamente sempre. Ha risposto: “Se sono arrabbiata sempre è per colpa tua che sei sempre arrabbiato”. Accidenti è vero, ho pensato. “Sono figlia tua, ho preso da te” Accidenti è vero anche questo. Allora cerchiamo di non essere più incazzati, figlia, le ho detto, anche se fa tanto rock’n’roll. Ma mi sono sentito padre veramente in quei minuti. Perché lei mi ha fatto da padre.
Tuesday, November 09, 2010
La sete inestinguibile *
"La sete di trascendenza si è pervertita in una sete di alcol (…). L’alcolista sembra essere una persona estremamente sensibile, tormentata da un bisogno particolarmente pressante di trascendenza. La dipendenza tende a colpire spiriti liberi che hanno intravisto l’Infinito, ma sono rimasti imprigionati nei loro corpi terreni.
L’alcolista, avendo sognato la trascendenza, non è in grado di sopportare la vita reale, ma desidera essere in cielo, qui, ora, sempre".
* Tratto da Lapsed Agnostic - da profugo a pellegrino, di John Waters
L’alcolista, avendo sognato la trascendenza, non è in grado di sopportare la vita reale, ma desidera essere in cielo, qui, ora, sempre".
* Tratto da Lapsed Agnostic - da profugo a pellegrino, di John Waters
Wednesday, November 03, 2010
Rock'n'roll Show
"Two flutes? What a fucking band!" grida qualcuno da mezzo della gran folla che si pigia all'interno della Roundhouse di Londra. Dal palco, Tim, frontman dei Midlake risponde "What a fan!". Scherzano, evidentemente, sia lo spettatore che il musicista. Certo che ben due flauti, a me che non sopporto neanche quello di Mr. Jethro Tull, potrebbero ammazzare un elefante, specie se stai cercando una dose di rock'n'roll. Con i Midlake invece anche due flauti suonati contemporaneamente fanno rock'n'roll. Per anni ho ritenuto - credo a ragione - i Wilco essere la miglior live band americana degli ultimi 15 anni, ma stasera, uscendo dalla Roundhouse - tardi, moooolto tardi - comincio a pensare che Tweedy e soci potrebbero tranquillamente abdicare, perché c'è una nuova band in città. I Midlake dopo il concerto che li ha consacrati alla regale Londra, ieri sera alla Roundhouse, potrebbero adesso essere la migliore live band americana. E dire che in America li conoscono davvero in pochi. In Inghilterra, come già successo svariate volte in passato, invece questi ragazzoni americani sono esplosi con un seguito e un affetto degno dei grandi. Vistilo scorso luglio in condizioni penose - un impianto audio degno di Mickey Mouse - qua a Milano, rivederli ieri sera a Londra è stato come scoprire una band mai ascoltata prima. Non solo il soundboard degno di un concerto rock, ma anche loro che conitnuano a migliorare in modo esagerato.
Le migliaia di persone che ieri sera si pigiavano nella "rotonda del rock" ascoltavano in religioso silenzio, rapiti e storditi dal suono vorticoso che arrivava dal palco. Canzoni che partono - apparentemente - come tranquille nenie folk, con un senso dello struggimento che spezzerebbe il cuore anche del più incallito bastardo, e che si aprono alla coralità vocale "monastica" che contraddistingue i Midlake e infine si squarciano in esplosioni di magma sonoro, crescendo cosmici che lasciano storditi. Grazie anche al nuovo innesto nella band, un nuovo chitarrista solista che lancia strali di vorticosa elettricità, portandoti su su oltre le volte bluastre di questa Roundhouse, dove ieri sera, anche Jimi Hendrix si era staccato dal posterone appeso sopra le scale d'ingresso e che ricorda la sua esibizione qua dentro un secolo fa, per scendere in platea ad ascoltare questa band formidabile, i Midlake.
Una serata emozionante sin dagli inizi, quando sul palco tutto solo c'era Jason Lytle, ex Grandaddy, una band che mi piaceva un tempo e che avevo dimenticato. Lui sembra una sorta di Neil Young post grunge e ha carisma e belle canzoni. E' stato invitato ad andare in tour con i Midlake perché, come dicono loro, "ci piace portare con noi gli artisti che ci piacciono". Generoso e molto vintage, questo modo di andarsene in giro un po' alla Rolling Thunder Revue, di dylaniana memoria, un carozzone di musicisti santi e peccatori. Lytle, a fine serata, suonerà una divertentissima versione di AM 180, dal repertorio dei Grandaddy, accompagnato dai Midlake. E sì, sono momenti da Rolling Thunder revue del terzo millennio.
Dopo di lui, John Grant. Desideravo vederlo dal vivo, immaginando chissà quando mai approderà qui in Italia e saperlo sullo stesso palco dei Midlake la stessa sera, non potevo mancare. E' un cantante da paura, John Grant, non sbaglia una nota, e ha sentimento e senso della musicalità come pochi. Accompagnato dal solo tastierista dei Midlake, esegue le canzoni più belle di Queen of Denmark con uno struggimento sonico che ti fa capire che solo con i Midlake poteva incidere un disco. Ogni tanto si avvicina al moog o tastiere elettroniche o checavolo ne so e tira fuori divertenti e pazzoidi suoni finto-futuristi, che in realtà ricordano certe robe che si facevano negli anni 70. A fine serata anche lui si unirà ai Midlake per eseguire un brano dei tempi in cui Grant militava negli Czars, ed è un momento di fascino purissimo.
Dei Midlake ho già detto, ricordo solo la versione per sole chitarre acustiche (e flauto...) di Fortune, presentata come "qualcosa che non abbiamo mai fatto prima". Be', anche solo acustici i Midlake sono da paura. Due parole ancora per la straordinaria sezione ritmica, basso e batteria, seconda solo, e già, a quella dei Wilco. Che i Midlake sono davvero una live band come pochissime oggi, o meglio, come tante che ce n'erano una volta. Dopo il concerto, dico a questo assembramento di fuoriusciti dal film Almost Famous, questi ragazzoni totally vintage, a cominciare dal loro incredibile road manager, che spero davvero abbiano pensato a registrare il concerto di stasera. Macché no, non ci hanno pensato. Un dvd di questo show alla Roundhouse sarebbe stato il regalo perfetto del prossimo Natale. Lo aspettiamo presto. Happy trails, Midlake e amici. Chi ha mai detto che la musica rock è finita.
Londra è comunque Londra. Due sere prima eravamo andati in un minuscolo locale, il Drop, peraltro molto carino come lo sono quasi tutti i locali di questa città, anche quelli piccolini, per un'altra serata di musica. Atmosfera diversa ovviamente, ma medesime vibrazioni. E capire ancora una volta perché la grande musica è sempre giunta da questi lidi, come da quelli americani. Presentavano i loro nuovi dischi la bravissima Emma Tricca, i Superimposers e i Colorama. Emma Tricca ha incantato come sempre, con il suo fascino così folkie, la voce incantevole e quelle melodie che solo lei sa rilasciare. Ho avuto anche l'onore di una dedica, ma soprattuto la fortuna di sentire una versione da brivido di Love Minus Zero/No Limit. Oh Emma, you broke my heart... Poi i Colorama, il cui frontman è anche produttore del disco di Emma, ed è uno a cui gli Oasis chiesero di unirsi a loro e che ebbe il buon gusto di dire "no grazie". La sua band è psichedelia pop di fascino assoluto, ricordano i Brian Jonestown Massacre ma con molta più disciplina e costruzione musicale. I crescendo chitarristici sono incandescenti, e fanno venire alla mente una Swinging London della memoria, quando qualcuno poteva titolare così quei giorni: "tonight everybody's making love in London". In serate come queste, semplicemente perfette, mai parole sanno essere migliore colonna sonora di una città e di un senso della musica che non si trovano altrove.
Be' dicevo, Londra è sempre Londra. Perché? Perchè a questa serata c'erano ragazzi e ragazze giovanissimi. La birra girava, e molta, ovviamente, ma tutti ascoltavano con la massima attenzione e partecipazione. Già, perché erano usciti di casa per la Musica. E la Musica, per le strade di Londra, è ovunque, e si è fatta incontrare. A The Drop, o alla Roundhouse. Everywhere. Poi chiediamoci perché anche nel terzo millennio da queste parti di grande musica se ne fa ancora. Io, per il resto, posso ribadire anche questa volta che a Londra ho lasciato il cuore. Oltre alla musica e gli amici, l'ho lasciato in un localino di Soho dove sono andato a fare colazione una mattina. Nel menu dei vari tipi di colazione, anche i "breakfast cocktails". Già, avete capito bene, mica caffè o cappuccino. Insomma, solo a Londra si può fare colazione con un Bloody Mary. E io ovviamente ne ho ordinati due, insieme all'english full breakfast.
With John Grant, Midlake aftershow party
Le migliaia di persone che ieri sera si pigiavano nella "rotonda del rock" ascoltavano in religioso silenzio, rapiti e storditi dal suono vorticoso che arrivava dal palco. Canzoni che partono - apparentemente - come tranquille nenie folk, con un senso dello struggimento che spezzerebbe il cuore anche del più incallito bastardo, e che si aprono alla coralità vocale "monastica" che contraddistingue i Midlake e infine si squarciano in esplosioni di magma sonoro, crescendo cosmici che lasciano storditi. Grazie anche al nuovo innesto nella band, un nuovo chitarrista solista che lancia strali di vorticosa elettricità, portandoti su su oltre le volte bluastre di questa Roundhouse, dove ieri sera, anche Jimi Hendrix si era staccato dal posterone appeso sopra le scale d'ingresso e che ricorda la sua esibizione qua dentro un secolo fa, per scendere in platea ad ascoltare questa band formidabile, i Midlake.
Una serata emozionante sin dagli inizi, quando sul palco tutto solo c'era Jason Lytle, ex Grandaddy, una band che mi piaceva un tempo e che avevo dimenticato. Lui sembra una sorta di Neil Young post grunge e ha carisma e belle canzoni. E' stato invitato ad andare in tour con i Midlake perché, come dicono loro, "ci piace portare con noi gli artisti che ci piacciono". Generoso e molto vintage, questo modo di andarsene in giro un po' alla Rolling Thunder Revue, di dylaniana memoria, un carozzone di musicisti santi e peccatori. Lytle, a fine serata, suonerà una divertentissima versione di AM 180, dal repertorio dei Grandaddy, accompagnato dai Midlake. E sì, sono momenti da Rolling Thunder revue del terzo millennio.
Dopo di lui, John Grant. Desideravo vederlo dal vivo, immaginando chissà quando mai approderà qui in Italia e saperlo sullo stesso palco dei Midlake la stessa sera, non potevo mancare. E' un cantante da paura, John Grant, non sbaglia una nota, e ha sentimento e senso della musicalità come pochi. Accompagnato dal solo tastierista dei Midlake, esegue le canzoni più belle di Queen of Denmark con uno struggimento sonico che ti fa capire che solo con i Midlake poteva incidere un disco. Ogni tanto si avvicina al moog o tastiere elettroniche o checavolo ne so e tira fuori divertenti e pazzoidi suoni finto-futuristi, che in realtà ricordano certe robe che si facevano negli anni 70. A fine serata anche lui si unirà ai Midlake per eseguire un brano dei tempi in cui Grant militava negli Czars, ed è un momento di fascino purissimo.
Dei Midlake ho già detto, ricordo solo la versione per sole chitarre acustiche (e flauto...) di Fortune, presentata come "qualcosa che non abbiamo mai fatto prima". Be', anche solo acustici i Midlake sono da paura. Due parole ancora per la straordinaria sezione ritmica, basso e batteria, seconda solo, e già, a quella dei Wilco. Che i Midlake sono davvero una live band come pochissime oggi, o meglio, come tante che ce n'erano una volta. Dopo il concerto, dico a questo assembramento di fuoriusciti dal film Almost Famous, questi ragazzoni totally vintage, a cominciare dal loro incredibile road manager, che spero davvero abbiano pensato a registrare il concerto di stasera. Macché no, non ci hanno pensato. Un dvd di questo show alla Roundhouse sarebbe stato il regalo perfetto del prossimo Natale. Lo aspettiamo presto. Happy trails, Midlake e amici. Chi ha mai detto che la musica rock è finita.
Londra è comunque Londra. Due sere prima eravamo andati in un minuscolo locale, il Drop, peraltro molto carino come lo sono quasi tutti i locali di questa città, anche quelli piccolini, per un'altra serata di musica. Atmosfera diversa ovviamente, ma medesime vibrazioni. E capire ancora una volta perché la grande musica è sempre giunta da questi lidi, come da quelli americani. Presentavano i loro nuovi dischi la bravissima Emma Tricca, i Superimposers e i Colorama. Emma Tricca ha incantato come sempre, con il suo fascino così folkie, la voce incantevole e quelle melodie che solo lei sa rilasciare. Ho avuto anche l'onore di una dedica, ma soprattuto la fortuna di sentire una versione da brivido di Love Minus Zero/No Limit. Oh Emma, you broke my heart... Poi i Colorama, il cui frontman è anche produttore del disco di Emma, ed è uno a cui gli Oasis chiesero di unirsi a loro e che ebbe il buon gusto di dire "no grazie". La sua band è psichedelia pop di fascino assoluto, ricordano i Brian Jonestown Massacre ma con molta più disciplina e costruzione musicale. I crescendo chitarristici sono incandescenti, e fanno venire alla mente una Swinging London della memoria, quando qualcuno poteva titolare così quei giorni: "tonight everybody's making love in London". In serate come queste, semplicemente perfette, mai parole sanno essere migliore colonna sonora di una città e di un senso della musica che non si trovano altrove.
Be' dicevo, Londra è sempre Londra. Perché? Perchè a questa serata c'erano ragazzi e ragazze giovanissimi. La birra girava, e molta, ovviamente, ma tutti ascoltavano con la massima attenzione e partecipazione. Già, perché erano usciti di casa per la Musica. E la Musica, per le strade di Londra, è ovunque, e si è fatta incontrare. A The Drop, o alla Roundhouse. Everywhere. Poi chiediamoci perché anche nel terzo millennio da queste parti di grande musica se ne fa ancora. Io, per il resto, posso ribadire anche questa volta che a Londra ho lasciato il cuore. Oltre alla musica e gli amici, l'ho lasciato in un localino di Soho dove sono andato a fare colazione una mattina. Nel menu dei vari tipi di colazione, anche i "breakfast cocktails". Già, avete capito bene, mica caffè o cappuccino. Insomma, solo a Londra si può fare colazione con un Bloody Mary. E io ovviamente ne ho ordinati due, insieme all'english full breakfast.
With John Grant, Midlake aftershow party
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