Era il 1988 credo. L'audizione si teneva negli studi della storica Cgd poco fuori Milano. Tra i "concorrenti", Baccini e un improbabile gruppo di pop heavy metal che si rifacevano in modo evidente agli Europe. A guidare le consultazioni su chi avrebbe meritato il contratto discografico, una Caterina Caselli non ancora super magnate della discografia, quella che non ha mai sbagliato un colpo. I miei amici si chiamavano Smalltown (ogni riferimento a John Mellencamp era vero), facevano rock'n'roll e cantavano in inglese. Il cantante era una sorta di figlio impossibile di Mick Jagger e Jim Morrison, per il fisico e la voce. Erano una buona band, seppur giovani e con tanti limiti. Alla fine dell'audizione, Caterina Caselli disse loro che li avrebbe scelti se si fossero messi a cantare in italiano anziché in inglese. No, non si può, dissero loro, il rock è musica americana. Presero Baccini.
Qualche anno dopo, sempre inseguendo "quel" sogno, andammo da un importante discografico. Loro si erano messi a cantare in italiano. Disse, la vostra musica non è male, solo che dovreste essere più furbi. Era il periodo che alle radio spaccava Pippo, che cazzo fai di Zucchero. Avete presente quella canzone, quella nuova di Zucchero ci chiese. Si vergognava a citarla, poi lo fece. Mi vergogno un po', però ecco la parola .. quella lì quella di Pippo, è la trovata giusta per passare alle radio. Dovreste escogitare cose del genere. Tornate quando lo avete fatto. Ce ne andammo per non tornare più. CAZZO, SI DICE CAZZO, comunque. Pippo.
Oggi, una vita e mezza dopo, ricevo continuamente dischi e mp3 di esordienti cocker italiani. Mi chiedono di recensirli, mi chiedono pareri. Sono solo uno scribacchino del cazzo (Pippo) e non un produttore. Ma è evidente a tutti che in un mercato musicale morto e defunto, oggi si fanno dischi solo se si va ai talent televisivi. Che cosa volete dalla vita, ragazzi? Suonare per passione o sfondare sul mercato (morto)? A differenza dell'amico Blue non vedo nessuna nuova scena italiana su questo fronte. Anzi, mi sembra una scena decisamente vecchia. Il cosiddetto indie rock cantato in italiano lo seguo poco o niente: mi annoia, con qualche eccezione penso a Dente o a Francesco D'Acri. E' una scena autoreferenziale, piena di sé, di ego e di narcisismo. Ci sono dei bei testi però a volte. Il roots blue collar rock italiano cantato in inglese non mi ha mai entusiasmato. E' come un compito in classe: nel migliore dei casi viene fuori tutta la lezione studiata bene, a volte molto bene, ma l'originalità non la trovo. Non trovo neanche una urgenza comunicativa, che è quello che rende speciale anche una canzone mediocre. E la pronuncia lascia sempre a desiderare. Sì, ci sono gruppi e artisti di cui ho scritto che trovo piacevoli: Lorenzo Bertocchini, i Lowlands, Luca Milani (che ritengo oggi il migliore di tutti, proprio perché il più originale anche se ovviamente paga i suoi ovvi debiti anche lui). E altri ancora: Mojo Filter, Rigo Righetti ad esempio.
Vorrei dire qualcosa dei nuovi lavori di Cesare Carugi e Lorenzo Semprini. Soprattutto perché sono due persone molto carine (non li ho mai conosciuti di persona e neanche visti in concerto), ma mi piace la loro passione e anche la loro umiltà, dote rara in questo ambiente. Sì umiltà: c'era uno che una volta prima di andare solista mi piaceva anche abbastanza con la sua band. Con il tempo aveva cominciato a farsi vivo una volta all'anno, quando usciva un suo nuovo disco. Un sacco di chiacchiere amichevoli al telefono per concludersi sempre con un c'è il mio nuovo disco, così possiamo fare intervista e recensione. Ok. Una sera, in uno schifoso localaccio dove doveva suonare, l'avevo raggiunto per intervistarlo per l'ennesima volta solo per farlo contento. Ti faccio un autografo, mi disse, lo so che ti fa piacere e sei contento di averlo. Eh? Cazzo, Pippo. Cesare e Lorenzo invece mi hanno mandato i loro dischi senza neanche chiedermi di recensirli.
I dischi di Carugi (Heres' to the Road) e Semprini (Good Things, a nome Miami and the Groovers) sono dei bei lavori. Buone canzoni e buona produzione. Onesti e sinceri. In ciascuno dei due ci sono almeno due ottime canzoni, da riascoltare parecchio. Con tutti i limiti della auto produzione. Non trovo nulla che però mi faccia sussultare sulla sedia e non so se comprerei i loro dischi invece di quelli di un collega americano (che anche lì, in certi giri musicali, c'è un sacco di fuffa, sbandierata come il futuro del rock'n'roll, alcuni li portano anche a suonare qui in Italia, ma sarebbe meglio di no). C'è poi sempre quell'avvoltoio sulle spalle, quell'ombra che nonostante il tentativo dei due di scrollarsela di dosso, spunta fuori evidente. Non faccio nomi, ma sarebbe ora di tagliare il cordone ombelicale con Asbury Park. In Italia chi fa un certo tipo di rock americano si divide normalmente su due piste come riferimento: Springsteen o Bob Dylan. E' ora di staccare la spina. Le cose più interessanti che ho ascoltato negli ultimi due anni si chiamano Vaccines e National. Forse sarebbe il caso di guardare altrove, ad altri spunti. E certamente, mettersi nelle mani di un produttore professionista, anche se lo so che costa soldi. Cosa volete fare nella vita, ragazzi? E' tutto quello che mi sento di dire. Non vi ci vedo da Maria De Filippi, comunque. Però cantare in italiano, quello sì. E poi, accidenti, ma siete veramente in tanti a fare dischi ultimamente: perché non unire le forze, qualche volta?
Cesare Carugi e Lorenzo Semprini hanno però fatto quello che io non sono mai riuscito a fare, e dunque dovrei solo starmene zitto. Hanno fatto dei dischi. Quando avevo 16 anni attaccavo con lo scotch l'armonica al sedile di una sedia perché non avevo il porta armonica e strimpellavo la chitarra. Quando ho capito che non riuscivo ad accordarla perché troppo stonato ho smesso. Ma so cosa avrei fatto se avessi potuto fare un disco: avrei fatto un disco da folksinger tipo Greenwich Village. Ci siamo capiti no? Cazzo, Pippo. Per cui mi rimangio tutto o quasi e dico a Cesare e Lorenzo di andare avanti così. Hanno il cuore al posto giusto e scrivono belle canzoni. Io poi sono solo uno scribacchino del cazzo. Non mi avete neanche chiesto di scrivere una recensione in fondo. Dio vi benedica. E fanculo a Pippo. Cazzo.
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4 comments:
"esordienti cocker italiani" non é male
il cuore al posto giusto, sì.
e poi hanno fede, energia, entusiasmo, e quando cantano sanno tirare fuori il meglio anche da noi.
vacci, a sentirli, una volta...
:-)
(e chissenefrega se c'è un avvoltoio. quell'avvoltoio lì, peraltro, ha scritto un paio di testi che potrebbero essere letti e commentati dal pulpito di una chiesa, imho)
certo se cerchi il rock da zii 50enni non trovi piu' nulla di nuovo,ma neanche al mondo credo. I gruppi ci sono, ti assicuro Paolo, sono anche più originali degli orginali :-)
basta cercarli.
Nomi? Be forest, Fine before you came, Danele Celona, i Mariposa. Ok poi va a gusti ...
Se pensi che Dente come rappresentate della scena italiana che non annoia (a me si, a morte) ti consiglio un'ascoltata di Brunori SAS (venerdì prossimo al Tambourine) del Teatro degli Orrori, dei Nobraino, dei Perturbazione, Babalot (e concordo con ciocco 72 sui Mariposa).
In realtà penso che sia un momento di grande interesse e fermento di una scena italiana che non imita modelli d'oltremare ma propone con originilità e sincerità. Basta non smettere di cercare.
Ok poi va a gusti ...
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