Sunday, June 17, 2012

Rock ballads (figli dell'intemperanza offresi)

Non riesco più a trovarlo. Non so cosa sia successo e stia succedendo. L’altro giorno mi è capitato sotto gli occhi di sua spontanea volontà evidentemente, si è fatto tirare fuori dallo scaffale dei dischi quelli vicini al mio computer in camera da letto che per la casa c’è un’altra mezza dozzina di scaffali analoghi e non lo avrei mai intercettato se non fosse stato tutto questo tempo qua vicino a me. Si è fatto intercettare per poco tempo, quello di metterlo nell’iPod e poi è scomparso di nuovo. Non riesco più a ritrovarlo, inghiottito dall’armadio delle cronache di Narnia, tornato in quell’altro mondo dove lui evidentemente appartiene. La sua intemperanza si è offerta, di nuovo, anche se per poco.

Qualcuno dovrebbe decidersi a scrivere qualcosa, a fare indagini approfondite. Altro che delitti rock inesistenti di cui si sa ogni virgola. Anche che non sono mai stati delitti. Qualcuno dovrebbe decidersi a fare una indagine approfondita per capire cosa diavolo è successo a metà degli anni novanta, quando un gruppo seppur sparuto di ultimi romantici del rock, figli di Dylan, cugini in terza di Springsteen e Van Morrison, nipoti di Elliott Murphy e Willy De Ville, e… uscirono fuori dal nulla, fecero uno sputo di dischi meravigliosi e tornarono nel nulla. Qualcuno c’è ancora, sopravvive alla meglio, ringrazia il cognome prodigioso che la vita gli ha dato – sì, quello era proprio figlio di Dylan, naturale per di più. In quel momento storico per un attimo ci fu chi riportò in auge le rock ballad più struggenti e anche dell’altro. Erano un bel manipolo di eroi, si trovavano anche a suonare insieme nel retro di un ristorante di Los Angeles, non era il tuesday night music club ma pressappoco. Ho una foto da qualche parte dove sul palco ci sono Jayhwaks, Jakob Dylan e Black Crowes: tutti insieme. Manca quel genio di Neal Casal. Poi le case discografiche e Mtv e le radio si misero a produrre milioni di cloni dei Nirvana e ci rimasero solo i Nickelback e anche di peggio. Peggio dei Nickelback, ci hanno rifilato i cantautori low file, sfigati così sfigati incapaci anche di accordare la chitarra, ma erano tristi e depressi ed era la nuova moda del momento fare l’indie low file depresso. Radio, Mtv e poi i social network impazzirono per questi disgraziati. Cazzate. Ma i figli dell’intemperanza che si offrirono per un breve momento, qualcuno sa dirci che fine hanno fatto, e chi ha ucciso quella musica, quelle rock ballad, quel rock che pulsa di cuori spezzati? Chi ha ucciso il piccolo principe? E perché? Non ci meritiamo un po’ di bellezza in questo mondo così osceno già per conto suo?



Io cerco di mettermi nei suoi panni, e in parte ci riesco visto il cataclisma di fallimenti che ho sulle spalle. Ma lui ha fatto di più in quel senso. Provo a immaginarmi cosa si possa provare a svegliarsi alla mattina e guardarsi allo specchio e pensare: oh cazzo una volta nella vita ho fatto un disco straordinariamente bello, bello come quelli belli di Van Morrison, di Joe Strummer e di Bob Dylan. Poi ne ho fatto un altro solo ancora e adesso, quasi vent’anni dopo, sono qui che mi guardo allo specchio e dico, dischi non ne ho fatti più.

Su Internet naturalmente si trovano tracce di lui, del figlio dell’intemperanza. Lo si vede suonare da qualche parte, proporre canzoni nuove, lo si vede fotografato in compagnia di Steve Earle ad esempio. Quel disco uscito dal nulla, dall’armadio delle cronache di Narnia, è ancora oggi di una bellezza oltraggiosa e sconvolgente. Dicono che fu registrato tutto in una notte, dal vivo in studio. Ci credo: pulsa di fuoco vivo a ogni secondo. Pulsa di quella sensazione che ha fatto tali i più grandi dischi di questa storia: suoniamo adesso, perché domani mattina non ce ne potrebbe più essere l’occasione. Quel minuto e mezzo finale di Simpatico Boulevard è probabilmente il miglior minuto e mezzo di musica registrato negli ultimi vent’anni. Che devastante potenza, che anima che batte in quei musicisti che non vuole smettere più. Non c’è un pezzo brutto, nel disco, e quelli belli spaccano il culo ai diecimila presunti songwriter venuti fuori dopo di lui. Con una voce schizofrenica che fa il verso a certo Dylan e un accompagnamento strumentale degno di Astral Weeks, infilava una dopo l’altra canzoni come House of Lust, Stages e Solana Beach, e poi ancora Simpatico Boulevard e ancora di più Hats off (to the Big Queen City) e poi la cover di Straight to Hell che metteva e ancora mette paura e tante altre. Con una disinvoltura tale da farci credere che era tornato consistente e reale quel grande rock che ha definito il significato stesso di musica rock.



Torna Phil Cody, abbiamo bisogno di te. Esci dall’armadio delle cronache di Narnia. Se non tu, almeno il tuo disco che non ne posso più fare a meno. In fondo, siamo tutti figli dell’intemperanza che si offrono al mondo, almeno una volta nella vita. Grazie della tua meravigliosa intemperanza E fanculo ai Nickelback e a Mtv e al post rock. E Phil, cazzo, era anche pronipote di Buffalo Cody Bill, mica un low file indie depresso.

4 comments:

Cirano said...

una piccola gemma che non conoscevo.

antonio lillo said...

bellissimo!! mi sono già innamorato!

hazel said...

La cover piu' bella di una canzone dei Clash.E dal vivo era da lacrime e sangue.
Quando lo incontrai nel tour di quel disco capii che l'avremmo perso o forse si era gia' perso...
Aveva da poco fatto da apertura per Warren Zevon che vide Phil Cody walkin' with the queen doin' the werewolves of London.
Incontri che segnano.

andrea said...

Anche io non lo conoscevo.
Grazie.

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