Dove batte oggi il "cuore" di Antonello Venditti? Per un artista che ha fatto di questa parola un grande uso, quasi il centro della sua poetica, è difficile dare una risposta: "Sinceramente non lo so" dice durante una conversazione con ilsussidiario.net. "Il mondo oggi è sempre più frammentato, la delusione e l'illusione sono dietro l'angolo, soprattutto per la mia generazione che ha vissuto e ancora per certi versi vive certi grandi ideali. Io ad esempio a questi ideali non rinuncio, ma bisognerebbe essere capaci di seminarli di nuovo, nelle giovani generazioni".
Antonello Venditti sta per arrivare a Milano, dove si esibirà per due concerti esclusivi nella bella cornice del Teatro Arcimboldi i prossimi 29 e 31 gennaio, due dei tanti concerti cominciati al momento dell'uscita del suo ultimo disco, "Unica", e che proseguono senza sosta, segno di un passione per la musica live che ha pochi paragoni fra gli artisti della sua generazione. "Il cuore di tutti noi" dice ancora "risente di questa sottile angoscia che si è insinuata in tutti: bisognerebbe ricominciare tutto da capo, averne il coraggio".
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Friday, January 25, 2013
Friday, January 18, 2013
Marabel
C'è il cuore, e c'è la croce. Ma non c'è la sconfitta. Da sempre Massimo Bubola attraversa la canzone italiana come una sorta di profondo pensatore, quasi un profeta dell'Antico testamento che scandaglia la condizione dell'uomo, inevitabilmente alle prese con una battaglia quotidiana tra la propria miseria e la cattiveria del mondo senza mai rinunciare a questa battaglia, forte della consapevolezza che la redenzione e la speranza sono possibili.
Attivo discograficamente fin dalla metà degli anni settanta, accolto artisticamente da Fabrizio De André che poco più che ventenne lo chiamò a comporre insieme a lui due tra i dischi più belli dello scomparso cantautore genovese, "Rimini" e "L'indiano", Bubola porta dentro di sé le radici forti del suo popolo, quello veneto, alle prese con le contraddizioni dell'epoca moderna, un'epoca che ha fatto di tutto per togliere dall'uomo il suo cuore.
Lo fa ancora in modo straordinariamente riuscito nel nuovo disco che sarà nei negozi a fine mese, dal titolo esemplificativo: "In alto i cuori". Come si fa a tenere in alto il proprio povero cuore tra l'aridità di un'epoca che celebra la falsità della televisione come modello di vita, che ammazza i bambini per strada, che affossa le famiglie sotto il peso delle tasse? Tutte cose che nel disco vengono raccontate in musica (Hanno sparato a un angelo, dedicata alla bambina cinese uccisa in braccio al proprio padre per le strade di Roma esattamente un anno fa), con un amalgama di sonorità rock come solo Bubola sa fare in Italia.
CLICCA SU QUESTO LINK PER LEGGERE L'INTERVISTA A MASSIMO BUBOLA
Attivo discograficamente fin dalla metà degli anni settanta, accolto artisticamente da Fabrizio De André che poco più che ventenne lo chiamò a comporre insieme a lui due tra i dischi più belli dello scomparso cantautore genovese, "Rimini" e "L'indiano", Bubola porta dentro di sé le radici forti del suo popolo, quello veneto, alle prese con le contraddizioni dell'epoca moderna, un'epoca che ha fatto di tutto per togliere dall'uomo il suo cuore.
Lo fa ancora in modo straordinariamente riuscito nel nuovo disco che sarà nei negozi a fine mese, dal titolo esemplificativo: "In alto i cuori". Come si fa a tenere in alto il proprio povero cuore tra l'aridità di un'epoca che celebra la falsità della televisione come modello di vita, che ammazza i bambini per strada, che affossa le famiglie sotto il peso delle tasse? Tutte cose che nel disco vengono raccontate in musica (Hanno sparato a un angelo, dedicata alla bambina cinese uccisa in braccio al proprio padre per le strade di Roma esattamente un anno fa), con un amalgama di sonorità rock come solo Bubola sa fare in Italia.
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Monday, January 14, 2013
Famous blue raincoat
I morti ci parlano in continuazione, siamo noi che non ci prendiamo il tempo per ascoltarli
(P. P. Pasolini)
L'altra sera ero impegnato a provarmi i miei vestiti eleganti. Quelli da giacca e cravatta (devo andare al matrimonio di mia nipote). Ovviamente non me ne andava bene nessuno: l'ultimo è di soli quattro anni fa (altro matrimonio di altra nipote) e a parte i pantaloni che comunque riuscivo a chiuderli con qualche sforzo, quello che non capisco è come mai si rimpiccioliscano le giacche. Mica si ingrassa sulle spalle o sotto le ascelle. Boh. Peccato perché era un gran bel vestito. Così nella disperazione (mi metterò il solito finto casual, pensavo, giacca non firmata e jeans della serie faccio il casual ma in realtà non ho soldi per comprarmi un vestito nuovo che d'altro canto è il mio solito look) - avevo provato anche un total-terrone con camicia anni settanta debordante sulla giacca ma mia figlia ha detto che sembravo troppo Flavio Briatore - ho trovato nascosto in un recesso dell'armadio un ennesimo vestito figo. Bellissimo, tanto era simile a quello scartato, da sembrare comprati insieme. L'ho provato: andava benone. L'ho esaminato incredulo per capire da dove arrivava. Dentro, un'etichetta battuta a macchina da scrivere. "Vites. Maggio 1968".
Siccome nel maggio 1968 avevo ancora 5 anni, non poteva essere mio. Era ovviamente di mio padre. Era perfetto in tutti i sensi, sia la misura che lo stato di conservazione, davvero come uscito di negozio ieri. Certo mio padre lo avrà messo due volte in vita sua, che non metteva mai giacca e cravatta se non a qualche ricorrenza speciale o quando andava una volta all'anno al sSalone del mare a Genova. Ho pensato a quando se lo comprò, sicuramente ai quei tempi doveva essere costato una cifra. Ho provato a pensare a quell'etichetta, e in effetti lui da uomo pignolosissimo etichettava tutto, ma forse l'aveva messa il sarto. Ho pensato al maggio 1968, era il "maggio francese", ho pensato ai dischi che erano usciti in quei mesi del 1968. Qualche esempio: Songs of Leonard Cohen, Astral Weeks, The Band, The White Album, Wheels of Fire. Ma mio padre non ascoltava musica rock.
Così ho pensato a mio padre. Nel maggio 1968 aveva 48 anni, ne avrebbe compiuti 49 poco dopo. Io ne ho 50 adesso. Un timing perfetto, ho pensato. Mio padre l'ho conosciuto poco, era una figura solitaria e per un ragazzino anche una figura inquietante. Così ho pensato che abbia voluto lasciarmi quel suo vestito apposta per questa occasione. Forse, in quel maggio 1968 nel suo grande cuore di padre c'era già, inconsciamente, mentre lo comprava in un qualche elegante negozio di gran classe, un pensiero per suo figlio, tanti anni dopo. Che di noi non resta poi niente. Qualche ricordo sbiadito, e un vestito appeso nell'armadio che aspetta solo di essere usato per un qualche bel momento.
(P. P. Pasolini)
L'altra sera ero impegnato a provarmi i miei vestiti eleganti. Quelli da giacca e cravatta (devo andare al matrimonio di mia nipote). Ovviamente non me ne andava bene nessuno: l'ultimo è di soli quattro anni fa (altro matrimonio di altra nipote) e a parte i pantaloni che comunque riuscivo a chiuderli con qualche sforzo, quello che non capisco è come mai si rimpiccioliscano le giacche. Mica si ingrassa sulle spalle o sotto le ascelle. Boh. Peccato perché era un gran bel vestito. Così nella disperazione (mi metterò il solito finto casual, pensavo, giacca non firmata e jeans della serie faccio il casual ma in realtà non ho soldi per comprarmi un vestito nuovo che d'altro canto è il mio solito look) - avevo provato anche un total-terrone con camicia anni settanta debordante sulla giacca ma mia figlia ha detto che sembravo troppo Flavio Briatore - ho trovato nascosto in un recesso dell'armadio un ennesimo vestito figo. Bellissimo, tanto era simile a quello scartato, da sembrare comprati insieme. L'ho provato: andava benone. L'ho esaminato incredulo per capire da dove arrivava. Dentro, un'etichetta battuta a macchina da scrivere. "Vites. Maggio 1968".
Siccome nel maggio 1968 avevo ancora 5 anni, non poteva essere mio. Era ovviamente di mio padre. Era perfetto in tutti i sensi, sia la misura che lo stato di conservazione, davvero come uscito di negozio ieri. Certo mio padre lo avrà messo due volte in vita sua, che non metteva mai giacca e cravatta se non a qualche ricorrenza speciale o quando andava una volta all'anno al sSalone del mare a Genova. Ho pensato a quando se lo comprò, sicuramente ai quei tempi doveva essere costato una cifra. Ho provato a pensare a quell'etichetta, e in effetti lui da uomo pignolosissimo etichettava tutto, ma forse l'aveva messa il sarto. Ho pensato al maggio 1968, era il "maggio francese", ho pensato ai dischi che erano usciti in quei mesi del 1968. Qualche esempio: Songs of Leonard Cohen, Astral Weeks, The Band, The White Album, Wheels of Fire. Ma mio padre non ascoltava musica rock.
Così ho pensato a mio padre. Nel maggio 1968 aveva 48 anni, ne avrebbe compiuti 49 poco dopo. Io ne ho 50 adesso. Un timing perfetto, ho pensato. Mio padre l'ho conosciuto poco, era una figura solitaria e per un ragazzino anche una figura inquietante. Così ho pensato che abbia voluto lasciarmi quel suo vestito apposta per questa occasione. Forse, in quel maggio 1968 nel suo grande cuore di padre c'era già, inconsciamente, mentre lo comprava in un qualche elegante negozio di gran classe, un pensiero per suo figlio, tanti anni dopo. Che di noi non resta poi niente. Qualche ricordo sbiadito, e un vestito appeso nell'armadio che aspetta solo di essere usato per un qualche bel momento.
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