Appunti nel caos per un libro che non uscirà mai dedicato alla più grande canzone rock di sempre
Siamo a dieci anni circa da quando Dylan ha composto questo brano e degli anni 60 non è rimasta più traccia. La guerra nel Vietnam è quasi finita, in una oscena devastazione di morte. I soldati cominciano a tornare a casa accolti con disprezzo da chi li aveva mandati laggiù perché hanno perso – non per colpa loro – la guerra, e ignorati del tutto dagli hippie che fino a poco prima li contestavano. Daranno vita a una generazione di Rambo, o meglio, di Sam Stone per dirla alla John Prine, di reietti e paria in casa propria. I figli dei fiori intanto sono spariti quasi del tutto, dalle droghe che allargavano i cancelli della coscienza sono precipitati nella cocaina e nell’eroina oppure cominciano la scalata al potere che fra poco più di un decennio li porteranno anche dentro i cancelli dell’Eden, inside the gates of Eden, cioè della Casa Bianca, vedi Bill Cliton che adesso si sta ancora fumando qualche spinello però.
You lose yourself, you reappear
You suddenly find you got nothing to fear
I grandi ideali di quel decennio hanno mostrato la corda, irrealizzabili per qualcuno, piegati dal potere per altri. Alle marce per la pace si sono sostituiti i mitra delle Black Panthers. L’amore condiviso, il sesso libero, le comuni hanno chiuso e la gente si è cacciata nel privato, ma anche qui le cose non vanno benissimo perché la coppia scoppia e i matrimoni falliscono uno dopo l’altro. Gli anni settanta in America sono un tramonto, un buio che attanaglia. Non esistono neanche più i Beatles e gli Stones sono persi nei loro paradisi artificiali da superstar. Ma Dylan è tornato. A far cosa? Non lo sa neanche lui in realtà, sa solo che lo deve fare. E' un tour che reclama un posto lasciato vacante, un tour che batte ogni record di richiesta di biglietti nella storia: tutta l'America vuole rivedere la sua Voce di nuovo in azione. Così tanto che anche Woody Allen, che della musica rock non gliene è mai fregato nulla, si sente in dovere di citarlo in un suo film. L'America che si è persa, chiede al suo piccolo profeta di indicare di nuovo la strada. Per il breve attimo storico che dura quel tour, Dylan starà al gioco. Ma durerà, quel gioco, appunto lo spazio di un tour.
Così, nel breve set acustico che esegue ogni serata di quel tour accompagnato dai vecchi amici di The Band, è obbligato a tirare fuori vecchie canzoni degli anni sessanta. Che esegue con una rabbia e un senso di oppressione esagerati: non vede l’ora di finirli e tornare al sicuro dietro la chitarra sferzante di Robbie Robertson, il basso poderoso di Rick Danko,, la batteria pulsante di Levon Helm, il piano gentile di Richard Manuel, le tastiere gioiose di Garth Hudson.
Per qualche motivo però in quel breve set acustico decide di inserire anche It’s Alright Ma. Non aveva forse tenuto conto che quei giorni sono anche quelli dello scandalo Watergate, quando l’America perderà la sua ultima innocenza, quella relativa ai suoi presidenti (in realtà l’aveva già persa quando JFK era stato assassinato proprio all’alba dei magnifici anni 60). Dylan la esegue con foga martellante sputando ogni verso come una mitragliatrice, sembra quasi abbia paura a maneggiarla, sente che gli può scappare di mano in qualunque istante e di fatto è così.
But even the president of the United States
Sometimes must have to stand naked
Succede quando arriva al verso “ma anche il presidente degli Stati Uniti a volte si deve presentare nudo”. Il pubblico esplode in un ruggito, un boato di compiacimento e applaude vigorosamente. Be’ diavolo, possibile che nessuno abbia scritto una canzone sullo scandalo Watergate? No, ci aveva già pensato Bob Dylan dieci anni prima. Diavolo di un profeta. Era questa, dopo Easy Rider, la seconda applicazione inesorabile di questa canzone alla realtà, la realtà di qualunque epoca storica. Ancora oggi c’è chi applaude quando sente questo verso eseguito dal vivo. Molti non sopportano questo cliché, ma insomma non si può dargli torto: a quanti altri presidenti (Bill Clinton, per dirne uno ai tempi di Monica Levinski) non solo americani da allora si può applicare quel verso? Moltissimi, ovviamente, se non tutti. It’s Alright Ma è dunque, come lo era stata negli anni 60, “una canzone di protesta” e questa volta sembra vada bene anche al suo autore. Quel momento pauroso, agghiacciante, quando Captain America e Billy stanno andando incontro alla morte e Roger McGuinn l’annuncia in tempo reale, è stato inghiottito dalla contingenza: può uno scandalo politico, lo scandalo Watergate, appropriarsi di una canzone come questa?
Friday, April 26, 2013
Tuesday, April 23, 2013
Thursday, April 18, 2013
Thursday, April 11, 2013
Wave thou art high wave thou are music
Che ci fa quella signora un po' male in arnese, in Piazza San Pietro? Le prime foto che appaiono sui media la mostrano con lo sguardo intensamente rivolto verso una direzione precisa. Intorno a lei guardie svizzere e qualche "men in black", agenti dei servizi di sicurezza facilmente identificabili per il look e l'atteggiamento. Siamo in Piazza San Pietro, e la signora dai lunghi capelli rossastri con qualche spruzzo di bianco vestita trasandata ha il volto familiare. La foto successiva non lascia dubbi, ma ne apre altri: è Patti Smith, l'icona della musica punk, trasgressiva, ribelle, la ragazza che lanciò la rivoluzione punk di metà anni 70 salvando la vita al rock stesso, che stava morendo di auto compiacimento e noia.
Adesso non è più quella ragazza, ha superato i 60 anni, ma il volto è sempre quello di una vagabonda del punk, persa tra la Bowery e il Greenwich Village. Ha un sorriso di felicità totale, mentre stringe la mano a un signore vestito di bianco che sorride altrettanto felicemente. Rock the Pope: quando il punk incontra la Chiesa. Patti Smith stringe la mano a Papa Francesco. Scioccante per molti versi, questa immagine, ma non così tanto se si conoscono i due protagonisti di questa storica stretta di mano.
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