Ogni tanto torno a sfogliarlo. E’ uno dei più bei libri in assoluto sulla musica rock e probabilmente per questo non è mai stato tradotto in italiano. A leggerlo si capisce perché e si capisce cosa vuol dire scrivere di musica per un anglo-americano e per un italiano. C’è un abisso in mezzo e forse se questo libro fosse stato tradotto ai tempi avrebbe permesso di far nascere una generazione di scrittori rock anche in Italia. “Stranded: rock and roll for a desert island” uscì la prima volta nel 1978, poi è stato ristampato innumerevoli volte e tutt’oggi conserva la freschezza di un approccio che non è nozionismo, intellettualismo, piacioneria fini a se stessi. Qua è la vita quella che conta, e come l’ascolto di un disco possa far emergere la nostra vita e il desiderio del nostro cuore tutto intero.
Affidato a vari autori, ognuno alle prese con il suo disco da isola deserta, basta leggere il primo di questi racconti per capire quale sia l’abisso che ci separa. Nick Tosches, che per colpa di una editor un po’ troppo femminista, una Laura Boldrini dei suoi tempi insomma, rischiò di rimanere fuori del libro, non dice nemmeno quale sia il suo disco da isola deserta. Lo fa intuire: “gli Stones hanno sempre fatto capolino da dietro le mie spalle”, ma non lo dice chiaramente se non nelle ultimissime righe. Piuttosto parla delle paranoie di fine anni sessanta, di droga e di disoccupazione. Di vita. Connessa al rock’n’roll ovviamente. Ecco, probabilmente l’abisso fra noi italiani e loro è che la musica rock per problemi culturali non è mai appartenuta alle nostre vite ma è sempre stata solo una sorta di colonna sonora di sottofondo di cui citare le b side e le edizioni rare, magari.
In Stranded c’è poi naturalmente la più grande e straordinaria recensione mai scritta di un singolo disco, quella che Lester Bangs fece di Astral Weeks di Van Morrison. E non ci sono i classici del rock, non ci sono i migliori dischi in senso assoluto, cosa che sarebbe impensabile non includere in un libro italiano sullo stesso tema. Ci sono i dischi che hanno avuto a che fare con la vita degli autori, i quali, altro particolare importante, nel corso degli anni hanno smesso tutti di scrivere di musica rock a tempo pieno.
Comunque seppur mai tradotto in Italia, il concetto di disco da isola deserta è stato saccheggiato anche da noi. Un concetto ovviamente impossibile, ma mi sono divertito a pensare quale potrebbe essere il mio vero disco da isola deserta, seguendo le categorie di chi scrisse questo libro. E mi sono stupito a vedere che non è un disco di Bob Dylan. E’ CSN II, il secondo disco di Crosby, Stills e Nash (manco Young c’è), uscito nel 1977. I motivi sono tanti, non sono ovviamente solo musicali anche se qui la gran parte delle canzoni sono bellissime. Ha piuttosto a che fare con l’incredibile tasso di narratività e realismo contenuto in questo disco, di cui tempo fa avevo già cercato di parlare. Con il mischiarsi di tre personalità diverse con storie diverse che si alternano a narrare un momento cruciale della loro vita, la raggiunta maturità, il vuoto interiore per il crollo di utopie e ideologie, la paura di cosa sarà il domani, l’assoluta sincerità e onestà nel narrare la comune condizione umana. Il che lo rende un disco che non smetteresti mai di ascoltare, come un film rivisto un milione di volte. Sì, in un’isola deserta ci starebbe bene.
Thursday, September 26, 2013
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1 comment:
E quando arriva "Just a song before I go" schiaccio sempre repeat 1, 2, 3 n. volte. Ossessione?
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