Tuesday, December 31, 2013

2014

"Never let go of that infinite sadness called desire."

(Patti Smith)




Nonostante tutto c'è una mano che non ti lascia solo, mai. Io lo so, io l'ho vista. Buon anno

Saturday, December 28, 2013

Ritorno al futuro (radio days)

Stanotte dormirò con i fantasmi. Mi sono steso sul letto, ho messo le cuffiette e acceso l’iPod. Aspetto la mezzanotte della fine dell’anno e aspetto anche la fine del mondo, ma non sarò solo. Ho la migliore compagnia possibile, voci che escono dal buio, voci che neanche 50, 60, quasi cento anni di oblio, polvere e maleducazione sono riuscite a spegnere. Sono “le” voci, e questa radio di ritorno al futuro suona una verità incancellabile. Corrono, queste voci di fantasmi pietosi, irati, appassionati, pure innamorati, su frequenze che nessuno può captare. Solo pochi fortunati. Ecco. Ho trovato quella frequenza e posso riposare in pace.

Marcel, un mio vecchio amico canadese, è un uomo straordinario. Tiene accesa la torcia e in puro spirito hippie non l’ha mai spenta: share the music, è il suo motto. Musica donata con gesto caritatevole perché Marcel sa che la musica guarisce. L’ha sempre donata al mondo, usa ancora le vecchie spedizioni postali, ma se è il caso anche la Rete. Marcel che vide Bob Dylan la prima volta a Montreal 1975, giorni di gloria della Rolling Thunder Revue, e poi il pubblico scardinare le poltrone di un teatro dove suonavano i Clash. Adesso va in giro per l’America a cercare vecchi 78 giri, perché sa che lì dentro si nasconde la verità. Ne ha raccolti un bel po’ spendendo a volte anche qualche migliaio di dollari per un pezzo raro. E adesso li condivide con tutti. Li trovate qua.

Rido, mentre aspetto la fine del mondo, e ascolto queste voci di fantasmi, le loro chitarre, il pianoforte. Molti di questi pezzi li avevo naturalmente, ma mi chiedo: mio Dio ma che hanno fatto? Quello che ho ascoltato per anni su cd non è quello che queste voci cantavano. Li hanno bestialmente anestetizzati, troncati, cacciati in un angolo: ecco come suonava veramente invece Chuck Berry, in quello studio: faceva paura, terrorizzava. Altro che happy days. E anche quella chitarra, nel brano dell’idolo dei ragazzini Frankie Lemon: ma assurdo, è cacofonia, è punk, è violenza. E quel pianoforte che sta inventando il boogie, 1928, ma è più rock’n’roll dei Led Zeppelin. Buddy Holly è Sid Vicious. Ma che ci hanno fatto credere per anni? Adesso capisco perché Robert Johnson era la voce del demonio. Perché nessuno sa più registrare un disco? Perché nessuno sa più cantare? Ovvio: non si sopporta ciò che incute timore, ciò che spalanca la Domanda, non si deve convivere con il mistero. Mystery Train.



I fruscii di milioni di ascolti a volte provano a nascondere quelle voci. Non ci riescono. Ed è meraviglioso pensare a quante generazioni di ascoltatori hanno provocato quei fruscii su quei vinili di roccia. La ragazzina nella sua cameretta che ascoltava queste voci di nascosto, l’anziana coppia della fattoria del Nebraska o dei Monti Appalachi mentre pensava al figlio morto sotto l’aratro o in miniera. Mistero. Vita e morte. In un 78 giri.

Un amico mi raccontò una volta che Jackson Browne qualche anno fa si trovò in studio con Bob Dylan che stava registrando. C’era l’iPod di Bob Dylan. Nessuno credeva che Bob Dylan avesse un iPod. Quando uscì un momento dallo studio Jackson Browne si precipitò a vedere che musica ci fosse nell’iPod di Bob Dylan. C’erano queste voci. Quelle dei 78 giri. Ecco perché scrive ancora grandi canzoni.

Stanotte dormirò con i fantasmi. Sono invitato a un capodanno speciale, nel salone di un vecchio albergo abbandonato, che si illumina solo una notte dell’anno. Ci sono fantasmi che cantano, fantasmi che ballano, che ridono, bevono e si innamorano. C’è voluto un lungo cammino, di fedeltà alla musica, per arrivare a questa festa. Io ci sono. Mi sto addormentando con voci che non voglio più smettere di ascoltare. Mister Sandman, abbracciami on blueberry hill.Buon anno.

Tuesday, December 24, 2013

Heart and soul

Questa canzone non è una canzone di Natale, ma è anche una canzone di Natale. Qualcuno, su questo giornale, giorni fa scriveva che “ciò che serve al Natale è un desiderio, il desiderio magari lancinante che qualcuno venga, che qualcosa accada”. Se il Natale si attende - perché lo attendono tutti, belli e brutti anche chi non lo vuole ammettere - questa canzone parla di questo. Nel buio della notte più profonda, nella solitudine dell’abitacolo di una macchina, nell’incertezza che qualcuno ti stia veramente aspettando, con a fianco un regalo banale come un paio di scarpe nuove, un uomo attese qualcosa.



Probabilmente è ancora una attesa insicura e incerta quella che viene cantata, ma d’altro canto la vita stessa è una attesa che aspetta di compiersi tra mille dubbi, attraverso i segni, attraverso il desiderio del cuore, che più di ogni altra cosa grida un desiderio implacabile: che la nostra vita si compia nel suo significato, che cioè il nostro desiderio non sia solo un insieme di apparenze, ma uno incontenibile. Quando questo compiersi potrà accadere definitivamente, non è compito nostro saperlo. Compito nostro è semmai cogliere i segni di questo compimento giorno dopo giorno, e in mezzo ecco il Natale il segno più clamoroso ed evidente del compiersi dell’attesa.
Quando Bruce Springsteen incide Drive All Night, per alcuni un riempitivo, per altri un capolavoro, per molti una delle canzoni passate maggiormente inosservate su un disco scoppiettante di grandi e maestose canzoni (“The River”, uscito nel 1980) ha appena compiuto trent’anni, sta passando all’età adulta ed è pieno di incertezze e paure. Ha ottenuto un buon successo in madrepatria, ma è in quel punto di svolta dove potrebbe perdere tutto o diventare una star mondiale (succederà la seconda cosa, come tutti sanno).

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Monday, December 16, 2013

Wednesday, December 11, 2013

Un Natale da matti

L’autostrada a quattro corsie se guardi dallo specchietto retrovisore è come un albero di Natale. Le luci delle macchine sono come palle di Natale in movimento, ognuno corre veloce verso casa anche se mancano ancora molti giorni a Natale. I muri di nebbia calano improvvisi a inghiottire tutto, poi le lucine delle palle dell’albero di Natale che si sdraia sull’autostrada a quattro corsie tornano a splendere felici. Dentro ogni macchina c’è un matto che se ne va a casa.

I matti non sono contenti, i matti non sono liberi più liberi degli altri, i matti non sono quelli che hanno trovato la verità, i matti sono molto tristi in realtà. I matti non vanno contenti, i matti non sono contenti, mai. Chi lo dice non ha ma conosciuto un matto vero. Non è mai stato in quelle stanzette fioche dove i matti appoggiano la testa sul tavolino e dormono sogni da matti. Non ha mai visto un matto piangere perché non trova più i suoi occhiali o le sue sigarette. Non c’è proprio niente di bello a essere un matto, almeno come si legge in quelle poesie da quattro soldi o si sente in quelle canzoni da quattro soldi. Non è vero che siamo tutti matti, o almeno, alcuni sono più matti degli altri e i matti stanno male, molto male. Gli altri fanno finta di non essere matti. Sì, siamo tutti matti.

I matti imbrogliano e mentono, i matti possono essere cattivi, molto cattivi. I matti soffrono e implorano un amore che non hanno avuto mai, ai matti manca l’affetto di un abbraccio caldo anche se quando provi ad abbracciarli si scostano schifati sempre. Ma i matti sanno abbracciarsi tra di loro e darsi un bacio sulla guancia con quell’affetto che voi non vi sognate neanche. I matti aspettano di liberare in faccia al mondo tutto l’amore che adesso devono nascondere, e quando lo faranno, oh il mondo cambierà davvero. Ma non succederà qua e ora, perché i matti non guariranno mai.

I matti non hanno il cuore o se ce l’hanno è una caverna nera.

I matti non hanno più niente, intorno a loro più nessuna città, anche se strillano chi li sente, anche se strillano che fa.

I matti dentro alle chiese ci vanno a fumare, centinaia di sigarette davanti all'altare.



Saturday, December 07, 2013

The party never ends

Difficile dimenticare Franco Ratti, difficile dimenticare le belle persone, quelle che come lui si sono dedicate a rendere più bella la vita della gente. Franco lo ha fatto distribuendo in Italia migliaia di dischi di artisti di cui non avremmo mai sentito parlare, lo ha fatto fino alla sua scomparsa, rifiutando le meschine regole di furbizia cialtrona che stanno dietro anche al mondo della musica, specialmente qua da noi.

Adesso dopo un periodo di logica sospensione, la Ird, la sua creatura, la casa di distribuzioni discografiche fondata da Franco, torna più vivace che mai, affidata come promozione al bravo Andrea Parodi. E i bei dischi tornano ad allietarci. Qualche segnalazione allora, cose belle da mettere nella propria wish list.

Innanzitutto i Wynntown Marshals con i loro disco di debutto, The Long Haul. Sono scozzesi ma suonano dannatamente americani, quell’America alternative country che tanto avevamo amato negli anni 90. Innegabili sono i riferimenti a tanti gruppi di quell’epoca, ma questo – a me – fa solo piacere: è come ritrovare un abbraccio caldo e affettuoso, in anni freddi – anche musicalmente – come questi che viviamo. Un sound a metà tra il Neil Young dei primi 70, i riff jingle jangle dei Byrds e i primi Wilco, desertico ed essenziale, con la batteria che macina, le chitarre elettriche che svolazzano come aquile e la voce malinconica, che canta storie antiche. Bello, molto.



Greg Trooper non lo scopro certo io: tra il primo Bruce e il Dylan anni 70, torna con Incident on Willow Street dalla fantastica copertina chandleriana. Un disco intenso fatto della sua usuale poetica, da storyteller autentico, suoni sostenuti da note grasse di Hammond, la voce di Brooklyn negli anni 40.

Concludiamo con uno straordinario gruppo italiano, Sugar Ray Dogs con il loro Sick Love Affair. Già potersi permettere di avere come ospite in diversi brani uno dei migliori chitarristi viventi, quel Fred Koella che ha suonato con Willy De Ville e Bob Dylan, è un’ottima presentazione. Un disco affascinante, di purissima Americana, tra Ry Cooder, Johnny Cash, Tom Waits, Bob Wills, suonato divinamente (in America li accoglierebbero a braccia aperte), dixie music tra New Orleans e il Texas. Ospiti anche strumentisti di classe purissima come Chiara Giacobbe e Anga Persico (Davide Van De Sfroos band) al violino entrambi,. Un disco impossibile da resistergli, da farti ballare sul tavolo pensando di essere perso nel cajun. Complimenti.

Monday, December 02, 2013

Il mio barbarico YAWP

Come tutte le cose, anche di una tournée se ne capiranno contenuti e contorni col tempo. Vale la pena però segnalare alcune cose. Quello che ad esempio si legge in gran numero sui social network a proposito dell'ultimo tour di Bob Dylan, che ha recentemente toccato anche l'Italia con ben sei date. Persone più scafate e con più esperienza live del sottoscritto, ad esempio, quasi unanimemente sottolineano di essersi trovati davanti i migliori concerti di Dylan da lungo tempo. C'è chi dice i migliori addirittura dal 1995, chi dal 2000, chi dal 2003. Viene ovviamente da chiedersi perché. Viene anche da chiedersi se Dylan, con rare eccezioni, non abbia buttato via quasi dieci anni della sua carriera, gli ultimi. Lo dicono anche i media, specie quelli inglesi solitamente molto acidi e critici con Dylan (un po' con tutti, in realtà).



Ecco cosa ha scritto The Independent ad esempio dopo il secondo show di Londra: "A stunning return to form. Where he has gone through the motions in some recent tours, tonight he stood without guitar in front of his band at the front of the stage, not just reinterpreting his songs, but doing so with care and feeling. The voice that can be a relic of past triumphs was marvellously and unexpectedly once more an instrument, elongating syllables in vintage style". Un ritorno alla forma (migliore), una voce meravigliosamente e inaspettatamente ancora una volta uno strumento. Il dubbio che gli ultimi anni Dylan li abbia buttati via dal punto di vista concertistico si fa sempre più forte. Dal 2004 al 2009 circa le sue esibizioni sono state trascurate, mal eseguite, senza cura e senza impegno, con una band di accompagnatori a cui era vietato fare un assolo e con arrangiamenti di livello bassissimo.


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Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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