Recensione di To Live Alone in That Long Summer, pubblicata sul numero di marzo della rivista Outsider
Attenzione, maneggiare con cura, "handle with care". E' tornato Barzin, il poeta canadese originario dell'Iran: non è roba per tutti. Il suo ultimo disco, quasi cinque anni fa ormai, "Notes to an Absent Lover", aveva devastato una generazione di cuori già infranti per conto loro. Be' una generazione è un po' tanto, visto che come tutte le cose migliori quel disco non l'avevano comprato in molti, almeno da questa parte dell'oceano. Ma di male ne aveva fatto a tanti, a tutti coloro che si portano dentro un cuore malandato per troppo amore. Quelle canzoni erano diventate citazioni, motti, appunti da appendersi al bavero della giacca per affrontare una stagione difficile. Raramente qualcuno aveva saputo descrivere così bene la fine di un amore, offrendo poche scappatoie, forse solo Graham Greene, ma questo non era un romanzo.
Un disco a tratti impossibile da ascoltare, per quell'urgenza carica di dolore nel descrivere la sofferenza come raramente si era ascoltato nella storia della canzone d'autore. Il paragone con Blood on the Tracks di Bob Dylan non era azzardato, anche per l'accompagnamento musicale minimale. Ma soprattutto scalfiva quella voce spettrale, appena sussurrata, così carica di angoscia e solitudine.
Adesso è finalmente tornato. Le ambientazioni soniche e liriche sono sempre quelle, evidentemente la solitudine del cuore per Barzin è una condizione esistenziale, anche se adesso l'accompagnamento strumentale è più ricco (con lui questa volta ci sono Sandro Perri, Tony Dekker dei Great Lake Swimmers, Daniela Gesundhet degli Snowblink Tamara Lindeman dei Wheather Station tra gli altri), lo spettro sonoro si approfondisce di eleganti nuove sfumature. Soprattutto è totale l'immedesimazione con un altro gigante canadese, Leonard Cohen, tanto che a tratti in queste nuove canzoni ti viene spontaneo immaginare la voce profonda del grande vecchio. Deve avere una tristezza speciale, il Canada. Barzin se vogliamo propri etichettarlo potremmo definirlo slow core, come altri grandi canadesi delle ultime generazioni: Great Lake Swimmers, Brian Borcherdt, Donovan Woods, Jbm.
Non mancano anche questa volta le citazioni dylaniane (nel disco precedente erano molteplici), oltre a Cohen altro grande punto di riferimento del canadese-iraniano, ad esempio "Dylan is playing After Midnight" dimostrando così di essere aggiornatissimo visto che si tratta di un brano dell'ultimo disco, Tempest.
Le canzoni sono ancora dolorose fessure aperte in camere abbandonate: l'iniziale All the While procede in modo ipnotico, su un fraseggio di chitarra sempre uguale, creando quel clima un po' claustrofobico che ha sempre caratterizzato le sue migliori canzoni.
Ma Barzin sa anche scrivere splendide melodie, con inflessioni di pop di classe; ne sono la prova brani incantevoli come Fake It ‘Til You Make It, In the Morning e soprattutto Lazy Summer, un brano epico. Altrove, ad esempio In The Dark You Can Love This Place, coniuga una brillante melodia a una atmosfera notturna e sofferente, capace però sempre di evitare ogni monotonia, catturando l'ascoltatore in una visione sonica e cinematica affascinante ed elegante allo stesso tempo. Se nel disco precedente Barzin affrontava la disperazione di una rottura sentimentale, questa volta il tema sembra maggiormente essere la solitudine metropolitana, l'impossibilità di adattare i nostri sentimenti, i nostri desideri al ritmo di una vita sempre più anonima, pura sopravvivenza, dove si vive per lavorare e si lavora attendendo la morte. Lui dice di aver cercato di fare un disco così sin da quando ha cominciato a incidere: la sua soddisfazione non può che essere anche la nostra.
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1 comment:
è già nel mio cuore
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