"Happy birthday, Mister Frank". Non erano in molti quelli che potevano permettersi di rivolgersi a lui chiamandolo semplicemente Frank. Facendo così, al termine della sua esibizione durante la serata dedicata agli 80 anni di Frank Sinatra, Bob Dylan dimostrava ancora una volta la sua sfrontatezza e la sua audacia, caratteristiche che lo avevano sempre caratterizzato nel corso della sua carriera, esattamente come avevano accompagnato quella di Sinatra. E poi Dylan quella sera, così dicono le leggende, era stato invitato a esibirsi personalmente da lui, da Ol' Blue Eyes.
Dylan in cambio dell'onore aveva dato vita a una delle sue più intense e commoventi esibizioni di sempre, scegliendo un suo brano oscuro e dimenticato da tutti, pieno di mestizia, risentimento e malinconia, la canzone Restless Farewell incisa originariamente nel 1964, quando la distanza tra i due non poteva essere più macroscopica. Il folksinger della nuova sinistra e della nuova America kennedyana uno, il simbolo di un'America superata dai tempi e dalle circostanze storiche l'altro, quella della buona borghesia, dei guardiani del mondo libero, del boom economico dove ognuno può farcela.
Restless Farewell, ma pochi se ne accorsero quella sera con l'unica eccezione probabilmente dello stesso Sinatra, era la versione dylaniana di My Way, scritta anni prima che Sinatra incidesse la sua dichiarazione di vita, il suo manifesto. Dylan cantava la stessa dichiarazione di indipendenza e così facendo chiariva perché i due più grandi artisti americani del novecento, insieme a Elvis naturalmente, erano sulla stessa strada: "Un falso orologio prova a sputare fuori il mio tempo, per disgrazia, distrarmi e preoccuparmi, la sporcizia del pettegolezzo mi soffia in faccia, ma se la freccia è dritta e il bersaglio è scivoloso, può penetrare nella povere non importa quanto essa sia spessa, quindi rimarrò fedele a me stesso, rimango quello che sono e dico addio e non me ne frega niente". Esattamente come Sinatra diceva in My Way: "Ho programmato ogni percorso, ho fatto attenzione a ogni passo e molto, molto più di questo, l'ho fatto a modo mio".
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Friday, January 30, 2015
Tuesday, January 27, 2015
Perché non lo facciamo per la strada?
Raramente mi sono divertito tanto a leggere un libro di musica. No, non è l'ennesima enciclopedia o storia del rock. E' un libro che dovrebbe essere adottato nelle scuole, distribuito nelle biblioteche di tutta Italia per far capire ai giovani e giovanissimi cosa voleva dire crescere con il sogno della musica. A quei giovani persi in un oceano digitale e liquido, dove la musica è diventata impalpabile, frammentata, buttata come un sacchetto di spazzatura ai bordi della strada, dove ognuno raccoglie qualcosa e se lo porta via senza sapere di cosa si tratta.
Blue Bottazzi, che non ha bisogno di presentazioni, racconta la sua storia e insieme a quella la storia di una generazione e di un paese intero. Quando comprare dischi aveva una valenza culturale, politica, sociale, e soprattutto umana: quel desiderio di ignoto e di bellezza che accomuna tutti gli uomini si identificava in quegli oggetti rotondi e misteriosi.
Ci sono capitoli entusiasmanti, ad esempio quello sulle cassettine dove viene descritto l'uso che se ne faceva e anche le marche che ai tempi si usavamo, dalle mitiche Tdk ai nastri al cromo, quelli per veri amanti dell'alta fedeltà. Blue spiega con dovizia di particolari come si registravano: una C60 era perfetta per l'album intero, sulla C90 si mettevano due dischi, si scriveva con cura e con colori diversi i titoli e il genere musicale. E poi le compilation a tema naturalmente. Erano archivi in attesa di avere i soldi abbastanza per comprare il disco vero e proprio: prima si ascoltava il nastro registrato e se il disco ci piaceva abbastanza allora si comprava il vinile.
Il vinile, già: un capitolo tratta delle copertine, come ogni casa discografica (l'Island, la Chrysalis etc) trattava graficamente le copertine e anche il logo stesso, spiegando qual era stata l'ispirazione dietro al marchio. Inutile dire che anche dei vecchi navigati come il sottoscritto scoprono tante cose ignorate.
Bellissimo il capitolo sui concerti, quelli dei primi anni 70, dove si rivive quell'atmosfera romantica e avventurosa. Ma Blue sa anche dire e spiegare le emozioni che si provano in quei momenti.
Gli anni 70 vengono sviscerati nei generi musicali, nelle classifiche, e poi gli album doppi: fu davvero la golden age della musica rock, molto più degli anni 60.
Ogni capitolo termina con una top ten consigliata a seconda dell'argomento.
Questo libro è una goduria, un gran divertimento, come quando si racconta dell'avvento del cd: c'erano sprovveduti che giravano il dischetto per mettere il lato B…
Regalatelo ai vostri figli che sappiano quello che si sono persi, regalatelo a voi stessi per rivivere quei giorni meravigliosi quando tutto sembrava possibile.
Perché non lo facciamo per la strada?
di Blue Bottazzi, 252 pagine, 15 euro
Blue Bottazzi, che non ha bisogno di presentazioni, racconta la sua storia e insieme a quella la storia di una generazione e di un paese intero. Quando comprare dischi aveva una valenza culturale, politica, sociale, e soprattutto umana: quel desiderio di ignoto e di bellezza che accomuna tutti gli uomini si identificava in quegli oggetti rotondi e misteriosi.
Ci sono capitoli entusiasmanti, ad esempio quello sulle cassettine dove viene descritto l'uso che se ne faceva e anche le marche che ai tempi si usavamo, dalle mitiche Tdk ai nastri al cromo, quelli per veri amanti dell'alta fedeltà. Blue spiega con dovizia di particolari come si registravano: una C60 era perfetta per l'album intero, sulla C90 si mettevano due dischi, si scriveva con cura e con colori diversi i titoli e il genere musicale. E poi le compilation a tema naturalmente. Erano archivi in attesa di avere i soldi abbastanza per comprare il disco vero e proprio: prima si ascoltava il nastro registrato e se il disco ci piaceva abbastanza allora si comprava il vinile.
Il vinile, già: un capitolo tratta delle copertine, come ogni casa discografica (l'Island, la Chrysalis etc) trattava graficamente le copertine e anche il logo stesso, spiegando qual era stata l'ispirazione dietro al marchio. Inutile dire che anche dei vecchi navigati come il sottoscritto scoprono tante cose ignorate.
Bellissimo il capitolo sui concerti, quelli dei primi anni 70, dove si rivive quell'atmosfera romantica e avventurosa. Ma Blue sa anche dire e spiegare le emozioni che si provano in quei momenti.
Gli anni 70 vengono sviscerati nei generi musicali, nelle classifiche, e poi gli album doppi: fu davvero la golden age della musica rock, molto più degli anni 60.
Ogni capitolo termina con una top ten consigliata a seconda dell'argomento.
Questo libro è una goduria, un gran divertimento, come quando si racconta dell'avvento del cd: c'erano sprovveduti che giravano il dischetto per mettere il lato B…
Regalatelo ai vostri figli che sappiano quello che si sono persi, regalatelo a voi stessi per rivivere quei giorni meravigliosi quando tutto sembrava possibile.
Perché non lo facciamo per la strada?
di Blue Bottazzi, 252 pagine, 15 euro
Saturday, January 10, 2015
Paris, Hollywood
Non è Bruce Willis, non è Hollywood. E’ la periferia sud di Parigi e qui si muore davvero. Qualcuno, sui social network, il giorno dopo la strage al supermercato ebraico, fa dell’ironia: sembrano le sturmtruppen, le caricature a fumetti dei soldati nazisti, un famoso cartone degli anni '70. Guardateli come si accartocciano per salire su un dislivello erboso come se ai piedi avessero dei mocassini.
L’ironia riguarda un filmato dove i reparti speciali della sicurezza francese arrivano nei pressi del locale dove si trova il terrorista con gli ostaggi e si gettano sotto a un muretto. Sì, sono immagini che in realtà fanno davvero sorridere: dove sono i superuomini bardati da robocop che ci aspettiamo di vedere in queste occasioni? Sembrano piuttosto dei bambini che si nascondono impauriti. Hanno paura, e fanno bene ad averla. Non è Hollywood, questa è Parigi dove si sta consumando una battaglia della Terza guerra mondiale in corso.
Anche un noto politico italiano si è permesso di fare ironia su questi robocop che sotto le maschere di guerra sono probabilmente dei ragazzini, con un post su Twitter che sinceramente poteva evitarsi, ironizzando sugli agenti francesi e sul fatto che “adesso non si andrà più a Parigi tranquillamente”. Poterselo permettere, intanto, di andarci a Parigi, non è da tutti oggigiorno, forse lo è da politici…
Il secondo filmato è quello dell’irruzione nel locale dove si trova il terrorista con gli ostaggi.
CLICCA QUI PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO
L’ironia riguarda un filmato dove i reparti speciali della sicurezza francese arrivano nei pressi del locale dove si trova il terrorista con gli ostaggi e si gettano sotto a un muretto. Sì, sono immagini che in realtà fanno davvero sorridere: dove sono i superuomini bardati da robocop che ci aspettiamo di vedere in queste occasioni? Sembrano piuttosto dei bambini che si nascondono impauriti. Hanno paura, e fanno bene ad averla. Non è Hollywood, questa è Parigi dove si sta consumando una battaglia della Terza guerra mondiale in corso.
Anche un noto politico italiano si è permesso di fare ironia su questi robocop che sotto le maschere di guerra sono probabilmente dei ragazzini, con un post su Twitter che sinceramente poteva evitarsi, ironizzando sugli agenti francesi e sul fatto che “adesso non si andrà più a Parigi tranquillamente”. Poterselo permettere, intanto, di andarci a Parigi, non è da tutti oggigiorno, forse lo è da politici…
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