Menzogne. Il mondo è basato su un mucchio di menzogne. Based on lies. Lies. Menzogna. A un certo punto della vita anche chi è così tardo da essersi sempre fidato di tutto e tutti non può che andare a sbattere contro il muro delle menzogne. L'ho sempre avuto nel retrobottega del cervello, poi un giorno è stato tutto evidente. Quando uscì il disco dei Cheap Wine quelle parole si conficcarono in uno spazio che si era aperto di suo, adesso mi martellano la mente ogni istante. Lies. Based on lies. Ci voleva un gruppo coraggioso, non certe parodie di gruppi rock di oggigiorno, per tirare fuori quelle parole. Ognuno può scegliere da che parte cominciare. Puoi cominciare dall'alto, dove c'è chi le menzogne le crea e le distribuisce ai governi, ai media, ai banchieri. O puoi cominciare dal basso, dal tipo che incontri in metropolitana, dal collega, dagli amici. La menzogna è uguale e fa rima con la nostra incapacità di misurarci con quello che sentiamo in fondo al cuore. Siamo fatti con un desiderio troppo grande per la nostra miserabile pochezza esistenziale. Troppo e troppo difficile, la menzogna è la scorciatoia comoda.
Based on lies è un grande disco. Altrettanto e forse di più lo è il nuovo Mary and the fair, registrato dal vivo in una notte benedetta in un teatro di Pesaro, a casa loro. Una di quelle notti dove la magia si spalanca più che le altre volte, e ogni nota è un incanto. Solo otto pezzi e se eravate venuti per ballare tornatevene a casa. Il rock denso grondante sferzate elettriche qua c'è poco, lo spirito c'è sempre naturalmente. Ma dopo la rabbia contro le menzogne, ognuno ha bisogno di rimanere solo con se stesso. E ricostruirsi. Otto pezzi scuri, otto ballate sul filo del rasoio, otto scampoli di un Nick Cave desolato. Questa band suona fottutamente bene. Non sembra possibile che tutto sia accaduto dal vivo, senza montaggi o ricostruzioni in studio. Chitarre, pianoforte, sezione ritmica, il cantante. C'è un fantasma che quella notte era sul palco, era Mary o ero io, o eri tu. Era una fata. Era la donna a cui è dedicato lo straordinario pezzo finale, quasi dieci minuti di intensità stratosferica, The Fairy has your wings. Un solo di pianoforte lungo come un abbraccio, Beethoven suona in una rock band, che non vorresti finisse mai, poi l'esplosione di chitarre basso e batteria. La fata e il fantasma volano verso il paradiso, dove le menzogne non potranno più ferirle. E' un vino da poco, ma vale più dello champagne
Che notte quella notte a Pesaro.
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