"Certo, è morto. Ma questo non significa che se ne sia andato": così Arlo Guthrie, figlio di quel Woody che aveva cantato e suonato con Pete Seeger, lui stesso compagno di avventure musicali in uno splendido revival degli anni 70 mai realmente interrotto, commentando la morte dell'anziano musicista americano. Pete Seeger, è di lui che stiamo parlando, è morto serenamente lo scorso lunedì, alla veneranda età di 94 anni. Una vita lunga, che ha attraversato quasi tutto il novecento in prima persona, ma anche questo terzo millennio cominciato da poco più di una decina di anni, perché, questa fu la qualità di Seeger, non si è mai fermato o arreso per un semplice motivo. In Seeger la canzone e la vita non avevano una spartizione, ma coincidevano. E lui ha sempre creduto di più nella canzone che nel cantante. Per questo, anche se morto, figure come quella di Peet Seeger non possono scomparire.
(Pete Seeger's banjo)
Certo, in questa epoca banale di notiziari usa e getta, di musica preconfezionata, di perdita della memoria e delle radici, la scomparsa di Seeger rappresenta un po' il taglio, doloroso, della grande quercia che vegliava sull'umanità e che ha tenuto unita l'America nei suoi laceranti conflitti interni. La caduta di questa quercia sta provocando grande rumore e turbamento, ma inevitabilmente da semi buoni potranno nascere frutti buoni.
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