“Che cosa ti fa pensare che io sia triste?”
“Ah! Tu sei triste per definizione. E’ la tua condizione permanente.”
Nick Hornby salva la vita. Nick Hornby è il miglior scrittore della mia generazione. In realtà non so se sia così, so che ogni volta che mi imbatto in un suo libro (ne ho letti solo quattro: Alta fedeltà, Un ragazzo, Tutta un'altra musica e Come diventare buoni) la mia vita diventa migliore, per quel tempo almeno che dura la lettura del libro. Come insegna proprio Come diventare buoni, l’ultimo che ho letto, è impossibile infatti cambiare la propria e altrui vita per sempre, ma il fatto che possa cambiare in meglio anche per poco, è già abbastanza.
A Nick Hornby mi sono sempre avvicinato con diffidenza, anche perché quando l’’ho scoperto era già un mito di generazioni intere e a me i miti scoperti da altri solitamente non piacciono. Devo scoprirli io, devono avere a che fare con me, devono parlare a me. Così + stato: leggendolo in ritardo rispetto alle masse, ho scoperto che Hornby scriveva di me e parlava a me. Nick Hornby mi parla, e alla grande: sa tutto di me. E poi scrive da dio. Ad esempio in Come diventare buoni, all’inizio non mi piaceva: uno scrittore uomo che scrive un libro in cui la protagonista è una donna? Ma che ne sa un uomo di cosa sia una donna? Presuntuoso, ho pensato. Poi invece mi sono arreso perché Hornby scrive veramente da dio. Fa sorridere, fa rolorare dal ridere, fa piangere, fa incazzare, ma soprattutto è un realista straordinario, una sorta di Raymond Carver in chiave generazione 2.0. Ha una compassione enorme per le persone di cui scrive, Nick Hornby, che è tenera e commovente: vuole bene al prossimo, si capisce, e non lo giudica, anzi lo abbraccia.
Come diventare buoni me l’ha regalato la mia famiglia lo scorso Natale, evidentemente perché pensavano che io debba diventare buono, e hanno ragione. Come dice la mia collega di scrivana in redazione, io sono una persona orribile. Proprio come David, il marito della protagonista Katie, che ha – con mia somma invidia – una rubrica sul quotidiano della sua città intitolata L’uomo più arrabbiato di Holloway. E’ il mio sogno avere una rubrica così.
Come diventare buoni, oltre a contenere pagine di letteratura di classe immensa, è bello perché alla fine ti dice che diventare buoni è impossibile. Ho tirato un sospiro di sollievo quando me ne sono accorto. Ma allo stesso tempo scava a fondo nelle nostre esistenze miserabili e ne tira fuori l’essenza: al fondo di noi stessi, desideriamo una cosa sola, appunto essere buoni. E’ ciò che fa la nostra consistenza, è nel nostro cuore e ci definisce, anche se cerchiamo di scacciare questa cosa ogni giorno di più. Così non serve il matrimonio a renderci buoni, non servono i figli, il lavoro, l’impegno nel sociale, andare in chiesa la domenica.
E’ qualcosa di più grande di noi, tocca affidarsi, e Hornby, pur chiudendo il libro in modo violento e apparentemente amaro - perfettamente carveriano, con la domanda lasciata irrisolta -, lascia intuire che è un lavoro da fare e da chiedere. Tolte le croste della banalità che ci contraddistingue – anche e soprattutto quella del buonismo – resta un cuore che implora per sé e per gli altri. E se nel nostro cuore c’è questo desiderio, fa intuire Hornby, vuol dire che ci è stato messo dentro e che allora tocca capire chi è stato. Uno buono, immagino.
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6 comments:
questo non l'ho (ancora) letto, però gli altri libri di hornby mi hanno fatto lo stesso effetto benefico ;)
Da adepto acritico di Hornby direi che hai letto il meglio. Dovresti aggiungere almeno Febbre a 90 e 31 songs
devo leggerlo!
febbre a 90 ho visto il film, ma l'ho trovato la versione calcistica di alta fedeltà e a me i tifosi di calcio non mi sono molto simpatici...
Tieni conto che l'adattamento cinematografico di Febbre a '90 è moooolto meno aderente al libro di quello di Alta fedeltà... E se ti piace come scrive, avresti di che godere!
allora lo leggerò grazie
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