Saturday, October 13, 2012

Give me hope in the darkness so I will see the light

“Nel mio ultimo libro, Cattedrale, le storie hanno maggior respiro. Sono più piene, più forti, sviluppate, e più ricche di speranza”. Così diceva della sua ultima raccolta di racconti pubblicata quando era ancora in vita lo scrittore americano Raymond Carver. Cathedral, Cattedrale esce infatti nel 1983: cinque anni dopo, a soli 50 anni, Carver muore in seguito a lunga malattia. Difficile dire se lo scrittore avrebbe dato il meglio di sé se avesse continuato a vivere: lui stesso nell’ultimo periodo di vita si dichiarava insoddisfatto del suo lavoro e la frase citata indica un cambiamento di visuale, ma questa è una attitudine che hanno tutti i grandi artisti, quella di ritenere di non aver mai raggiunto il meglio di sé.
Carver, spesso preso a prestito dal cinema hollywoodiano (su tutti, Shorts Cuts di Robert Altman che mescola genialmente alcuni suoi racconti) è stato uno straordinario autore specializzato in racconti brevi, di taglio minimalista e fortemente realista, perfetti come spunto per sceneggiature cinematografiche. Gigliola Nocera in un suo saggio ha detto che Carver è stato “un grande narratore perché ha saputo trasgredire e sconvolgere ogni teoria, ed essere un fuorilegge in grado di scrivere nuove leggi. Ha cercato dei maestri, da John Gardner a Gordon Lish, per imparare a non seguirli, e ha saputo allargare i confini del realismo americano”. Realismo e vita quotidiana della coppia media americana, nei dettagli di un televisore o di un frigorifero rotti, di un cane abbandonato, di un venditore di aspirapolvere, sono il tema dello scrittore, sempre con uno sguardo di partecipata commozione.




Uomo dalla vita travagliata, sia nell’infanzia che nella maturità gravata anche da problemi di alcolismo, Carver può riuscire in parte ostico al lettore europeo proprio per la sua spiccata americanità, ma le sue di fatto sono storie dal respiro universale. Storie di esistenze gravate dal dolore, dalla fatica del vivere, dal desiderio di una pienezza difficilmente raggiungibile, ma che piccoli incidenti di vita riportano a galla come esigenza insopprimibile. Storie che rimangono sospese, senza un vero finale a lasciare aperta la domanda.

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3 comments:

Bartolo Federico said...

l'esistenza è una cosa che ci torce e ci divora.

Paolo Vites said...

perché non siamo fatti per questa vita, ma per un'altra, fratello

Bartolo Federico said...

cerchiamo di arraggianciarci in questo frattempo.un abbraccio fratello.

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