Mi chiamo Francesca. Ho 14 anni e non so perché mi trovo in questo posto. E’ buio, fa freddo, ci devono anche essere dei topi schifosi. Li sento. In realtà so benissimo perché mi trovo qua. Sto salendo le scale fino al tetto. Questo era un albergo una volta. Ogni piano che faccio credo di sentire voci di bambini che ridono, mamme arrabbiate, papà che russano. Ma adesso è buio e fa freddo. E ci sono i topi. Devo arrivare sul tetto di questo schifo di albergo abbandonato e poi sarà finita. Mi dispiace tanto, mi dispiace nonna. Chiedo scusa a tutti, anche a papà e mamma. Ma sto salendo le scale al buio e poi non ci sarà più nessuno che mi prenderà in giro.
Volevo tanto bene al mio ragazzo, lui mi ha lasciato e vabbè ci stava, e me piaceva andare a scuola. Però mi prendevano in giro, ogni volta che scrivevo qualcosa e chiedevo per favore aiutatemi c’era qualcuno che mi diceva che ero una brutta culona e che dovevo morire. «Fai schifo come persona». Perché? Le mie piccole bocche aperte sulle braccia chiedono solo un po’ di aiuto. «Spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che c’è sul braccio e morirai!». Non dimenticatemi. Fra poco sarò morta davvero. Mi dispiace tanto nonna.
Ecco, sto per buttarmi di sotto. Così il computer non lo accenderò più e nessuno mi prenderà più in giro. Ciao nonna, addio anche a questi topi schifosi. Non voglio più piangere da sola in camera mia. Mi dispiace, chiedo scusa a tutti. Non dimenticatemi. Non so cosa sta succedendo.
Lui ha chiesto alla prima moglie se può prendere Caterina, Caterina ha 8 anni, può vederla due volte la settimana. Poi ha chiesto anche alla seconda moglie se può stare un po’ con Roberto, 2 anni, è figlio di questa altra donna e suo, naturalmente. Solo qualche ora, sto traslocando, spiega, mettiamo via le robe negli scatoloni, giochiamo un po’. Va bene, hanno detto tutte e due, alle 20 mando mia mamma a prendere Caterina. Ok, Roberto lo riporto io.
Nella casa c’è confusione e sporcizia, a Caterina non piace, Papà voglio andare a casa. Anche questa è casa tua, risponde lui innervosito. Roberto inciampa su degli scatolini e comincia a piangere. Lui rivede in pochi istanti una vita di fallimenti, due matrimoni fottuti andati in pezzi, il secondo pochi giorni prima di Natale. Che schifo pensa. Poi il lavoro che c’è ok, ma quanti soldi mi ci vorranno adesso per pagare tutti questi alimenti, pensa. Non ce la potrà mai fare. Sono solo. Guarda i suoi bambini e gli viene da piangere. Sono solo. Ho fallito tutto. Non sa come si è trovato quel coltellaccio per tagliare il salame tra le mani, però gli dà un senso di sicurezza.
Si guarda attorno. Quello non è un posto per due bambini piccoli, tutto quel casino e lo sporco. E’ allora che si avvicina prima a lei e con un taglio veloce le squarcia la gola. Non riesce neanche a gridare. Poi tocca al fratellastro. Il sangue zampilla ovunque. Cosa ho fatto. Telefona al fratello per dirglielo poi si pianta il coltello nel petto. Ma lui non è degno neanche di morire.
Che fallito sono, pensa mentre lo portano in ospedale.
Fuori la nonna è arrivata a prendere la sua nipotina, ma l’hanno già portata via quelli della polizia mortuaria. Nella notte fredda un urlo indicibile si alza nel buio. I miei bambini. La mia bambina.
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2 comments:
:(
un urlo anche dentro di me, pietà, me li vorrei tenere tutti in braccio, Qualcuno li ha presi
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