I tentativi di imitazione sono stati (e saranno) infiniti. Anche a casa nostra dove un comico poi sparito per motivi vari dalla tv aveva copiato in ogni particolare - anche la tazza del caffè - lo studio televisivo di David Letterman, Dave per amici e fan, pensando che in Italia nessuno avesse mai visto l'originale. Quello che non gli riuscì di copiare, lui e nessun altro che ci abbia provato, era lo stile unico e irripetibile di Letterman. Umorismo, talvolta anche cinico, ma mai volgare, di classe altissima, umanità, capacità di commuoversi e commuovere, rispetto per gli ospiti, ironia e auto ironia. E anche una cosa che in Italia per forza di cose non si potrà mai fare, a parte il tentativo di Renzo Arbore con la trasmissione Doc: portare in televisione la musica che si ama, non quella che si deve portare perché imposta per interessi economici, di connivenze varie o di share.
In trentatré anni e 6mila e 28 puntate Letterman ha portato tutti, dai più grandi ai più sconosciuti. Tutti rigorosamente live, senza trucchi e pagliacciate. Ci ha fatto piangere quando ha dedicato una puntata a un musicista morente per un tumore inguaribile portandolo in studio per l'ultima volta (quando Letterman chiese a Warren Zevon se la malattia gli avesse "insegnato" qualcosa che noi non sapessimo, questi rispose: "Non molto eccetto sapere adesso quanto vale gustare ogni sandwich che mangio"); ci ha fatto sussultare presentando le ultimissime novità, the next big thing, prima che diventassero di successo. Ha tirato letteralmente fuori di casa star restie a esibirsi in tv come Bob Dylan per alcune apparizioni memorabili.
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