"Che cosa è nata prima: la musica o la sofferenza? Ai bambini si tolgono le armi giocattolo, non gli si fanno vedere certi film per paura che possano sviluppare la cultura della violenza, però nessuno evita che ascoltino centinaia, anzi, dovrei dire migliaia di canzoni che parlano di abbandoni, di gelosie, di tradimenti, di penose tragedie del cuore. Io ascoltavo pop music perché ero un infelice. O ero infelice perché ascoltavo la pop music?". Vent'anni fa un libro di un autore inglese che stava cominciando a farsi conoscere grazie al buon successo della sua opera prima "Fever Pitch: A Fan's Life-Febbre a novanta" pubblicava il suo primo vero romanzo, quello che lo avrebbe lanciato come uno degli scrittori maggiormente di successo al mondo degli ultimi anni. Oltre al successo letterario, anche quello cinematografico: di quasi ogni suo libro è stato fatto un film, anche quello di successo.
Il libro uscito vent'anni fa esatti si intitolava "High Fidelity-Alta fedeltà" e avrebbe fatto dell'inglese Nick Hornby lo scrittore più acuto e intelligente nel descrivere la sua generazione, insieme al canadese Douglas Coupland (anche di lui quest'anno si festeggiano vent'anni di un suo libro straordinario, "Microservi") e all'americano David Foster Wallace. Capacità stilistiche? Bravura nella forma? Anche, ma non per quello: la capacità formidabile di questo terzetto geniale è sempre stata quella di descrivere con un realismo inarrivabile le loro e altrui vite. Usando sempre anche l'arma della compassione e dell'ironia. Non è poco.
Se "Febbre a novanta" descriveva il mondo degli appassionati di calcio, "Alta fedeltà" esplorava quello degli appassionati di musica con tutti i loro tic, il loro snobismo e soprattutto la loro incapacità di adattarsi a una vita normale.
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