
Mi sono accorto in oltre un anno di 'bloggin' around' di aver speso pochissime parole su dei musicisti italiani. Probabilmente perché ascolto pochissima musica italiana. Eppure, trent'anni fa o giù di lì, c'era un tempo che di musica italiana ne ascoltavo moltissima, e certe canzoni hanno definito passaggi importanti della mia vita.
Incontro, di Francesco Guccini, ha tutt'oggi per me un fascino che poche canzoni (anche non italiane) hanno.
Ma di questi ascolti antichi, c'è ne è uno che mi affascina e mi incuriosisce ormai da un sacco di tempo, da quando ascoltai Rimmel per la prima volta trent'anni e più fa, da quando vidi l'autore di quel brano in concerto per la prima volta durante il Banana Republic tour del '79, anche se fu un concerto di circa un anno dopo, in un caotico palazzetto dello sport a Genova, che a me sembrò paragonabile all'esibizione di un gruppo punk, a lasciare il primo vero punto di domanda: Francesco De Gregori: chi è costui?
In
Left & Right - Documenti dal vivo di Francesco De Gregori, poi, la fin troppa generosa inclusione del mio nome nei credits non ha nulla a che fare con la musica, per cui questo disco potrei anche recensirlo. Ma vorrei andare oltre, capire la lunga strada da quel concerto genovese alle esibizioni raccontate in questo disco.
E' l'ennesimo live del cantautore romano, ed è quello che narra di uno stato di grazia musicale raggiunto che ha pochi paragoni nel nostro Paese e soprattutto nella sua stessa carriera.

Lo scrittore americano Greil Marcus una volta mi disse che ci sono - rari ma ci sono - momenti in cui non è più il musicista che esegue della musica, ma è la musica che attraverso il musicista si esprime indipendentemente. La musica "passa attraverso". Me lo avete già sentito dire, credo. Ma ogni volta che mi ci ritrovo davanti, "lfet and right", è sempre una epifania. Per riuscire a fare ciò, come documentato in questo live, ma avvisaglie si erano già avute nei due recenti dischi di studio
Pezzi e
Calypso, De Gregori ha fatto una lunga strada, estremamente faticosa come chi si intende di musica suonata può percepire, e non priva magari di errori. Lui è andato avanti, fino ad ottenere una genesi musicale che adesso, con un songbook ammirabile dietro le spalle e ottime nuove recenti composizioni, gli permette di fare uso di questo canzoniere per lasciare che la musica parli attraverso le sue canzoni: è come essere finalmente entrati in possesso di una magnifica Ferrari - o meglio ancora, una Lamborghini - e lasciare che il suo motore ruggisca a piacimento su una autostrada deserta, fino allo sfinimento.
Se ascoltate l'iniziale
Numeri da scaricare, vi accorgerete che il chitarrista "sulla destra" - almeno per come è impostato il mio impianto di amplificazione - non fa mai due volte lo stesso assolo pur intervenendo nel pezzo numerosissime volte. In
Mayday, dopo un andamento per tre quarti del brano alquanto modesto e privo di scossoni, il chitarrista esplode in un assolo terrificante, al limite del noise, prendendosi il rischio di guidare l'intera band sul palco con lui non sappiamo per dove. Il cantante si limita ad offrire la sua voce, che si colora di sfumature e di tinte perfetamente adeguate a quanto accade intorno a lui, e ogni volta che riascolti quel pezzo, esso si apre a nuove interpretazioni. In
Un guanto, è il musicista seduto dietro alla pedal steel che a un certo punto si prende la briga di partire per "il viaggio", emergendo e sprofondando continuamente nell'impasto sonoro dietro di lui. Ma, sempre, è il cantante ed autore che sta offrendo ai suoi musicisti una autostrada dove, insieme, far correre quella Ferrari o Lamborghini che sia. Accade una comunione sul palco, si esprime una coralità, per cui non c'è più "un cantante e la sua band", ma "una band con un cantante". E' profondamente diverso, ed è molto americano come accezione musicale.
Ci sono pochi artisti, anche a livello internazionale, capaci di tutto ciò. Ovviamente viene in mente il nome di Bob Dylan, a cui evidentemente De Gregori si è ispirato per anni, fino ad avergli carpito qualche segreto che probabilmente sfugge anche a Bob Dylan stesso, in fatto di esecuzioni live. Chi di musica ci azzecca poco, continua a ripetere fino alla nausea che sì, De Gregori fa come Bob Dylan, stravolge le canzoni, ne cambia la struttura, le rende "incantabili" rispetto alla versione originale. Che è quanto di più sbagliato si possa dire di Bob Dylan. E di De Dregori. Se ciò avviene, qui, avviene nella conclusiva
Buonanotte fiorellino, che non è più un valzer, ma un blues. E infatti a me piace poco. Come ha detto proprio Bob Dylan, non è possibile stravolgere la struttura di una canzone. E' possibile invece lasciare che la canzone ti prenda per mano e ti conduca verso il mistero che è la musica stessa. Allora De Gregori - e Bob Dylan - ottengono una vittoria. Nel dvd allegato a questo disco c'è una resa live di
Rimmel: la canzone segue la struttura originale linea per linea, eppure non è mai stata eseguita in modo così soddisfacente, brilla di luce cento volte maggiore che nell'originale. Come è possibile ciò? Evidentemente il cantante è riuscito a impossessarsi del mistero della sua stessa canzone.

Una volta Bob Dylan ha detto: "(essere sul palco) è vivere ogni sera, o sentirsi vivi ogni sera. Rischi la tua vita suonando musica, se lo fai nella maniera giusta".
C'è un grosso rischio, nella musica di questo ultimo live del cantautore romano, ed è ciò che lo rende così unico e appassionante. C'è il senso della musica vissuta come un rischio che percepii per la prima volta in quel caotico palazzetto dello sport genovese che a ogni cosa si poteva prestare, tranne che - apparentemente - alla musica. Ma qualcosa, quella notte, era cominciato, e quel qualcosa continua ancora oggi.