Thursday, June 23, 2011

Alcatraz Prison Blues

Forgetful heart

Like a walking shadow in my brain

All night long

I lay awake and listen to the sound of pain

The door has closed forevermore

If indeed there ever was a door


Sembrava di essere a un ritrovo di reduci. Reduci di qualche guerra, Vietnam, Iraq o Afghanistan, ogni guerra è la stessa. Ieri sera però eravamo i reduci della guerra del rock'n'roll. Ho rivisto gente che non vedevo da 10, 15 anni, eravamo tutti belli che invecchiati, a raccontarci storie di sopravvivenza rock. Il posto piccolo, l'Alcatraz, ha facilitato questa possibilità di incontri. Ogni tanto andavo nella "cella" fumatori e incontravo qualcuno che andava a sbattere contro le porte a vetro, anche io sono stato buttato giù dalle scale o forse ci sono caduto da solo. A notte fonda per le vie malfamate intorno all'Alcatraz ancora si incontrava qualche sbandato, in cerca della direzione verso casa. Ho stretto un sacco di mani senza manco saperne il nome. Grazie a tutti, anzi, come ha detto l'uomo sul palco alla fine concerto, "thanks friends", grazie amici.



Ieri sera per la prima volta in vita mia a un concerto di Bob Dylan mi sono sentito un vero Mr. Jones. Eppure non era passato un secolo ma solo due anni dal mio ultimo concerto di Dylan. Era l'aprile del 2009, Roundhouse di Londra. Però ieri sera sono stato preso contropiede, spiazzato. Insomma, ero venuto sicuro di vedere quello che è il miglior chitarrista del Texas ma non solo, Charlie Sexton, sparare bordate di chitarra nel suo stile, invece non ha fatto praticamente un cazzo. Ieri sera ha fatto veramente tutto Dylan, e pensare che due anni fa si era ridotto a essere una sorta di inutile manichino sul palco. Mi hanno spiazzato molti degli arrangiamenti. Ad esempio Summer Days: ha perso qualunque smalto swing ed è diventata una sorta di rock molto duro, un hardcore blues tagliente e spezzettato. Che il concerto di ieri sera è stato blues dal primo secondo all'ultimo. A parte la patetica beguine del cazzo che è Blowin' in the Wind. Un blues torrido ed essenziale, ma certamente meglio di quelle ridicole marcette che faceva fino a un paio di anni fa. Adesso questa band ha una direzione, verso casa naturalmente. Ci sono ancora un sacco di pezzi balordi in scaletta, robe come Spirit on the Water, o Tweedle Dee, alcuni arrangiamenti che sanno di pesce lesso, come Highway 61 che ha perso qualunque vigore e si trascina soporifera. Per non dire di Like a Rolling Stone, che ha perso per sempre qualunque direzione verso casa.



Però ieri sera ci sono stati momenti da paura, come non succedeva da decenni. Non a caso, è stato durante tutti quei pezzi che Dylan ha fatto microfono in una mano e armonica nell'altra. Il vero e unico, l'originale Mr. Bojangles. Un po' Van Morrison, un po' Leonard Cohen. E' successo che Can't Wait è diventata un urlo nella notte che manco Tom Waits o Nick Cave hanno mai saputo lanciare. Con quel reiterare le parole "But I don’t know I don’t know I don’t know I don’t know…. how much longeeeer" fino all'urlo orrido e straziante CAN'T WAIIIIIT! Durante quei pezzi, Dylan camminava avanti e indietro da una parte all'altra del palco, si piegava in ginocchio, si celava nell'oscurità, sorta di gran sacerdote del voodoo.



A richiamare zombie e morti vari intorno a lui. E' successo ancora durante una luciferina Ballad of a Thin Man - do YAAAAAAAA Mister Jones - nera come non mai. E poi in Forgetful Heart, straziante canzone dove un cuore parla a un altro cuore, o è il cuore che parla a se stesso. Densa come le acque scure del Mississippi, dolcissima e spezzacuori come una notte a Parigi. O a Milano. Finalmente ho potuto sentire una Visions of Johanna degna della sua grandezza, cantata con dolcezza estrema tanto da accendere tutte le stazioni radio country della Repubblica Invisibile, mentre il termosifone tossisce e di lei ci sono solo visioni ormai irrimediabilmente corrotte dal tempo. Bella è stata anche When I Paint My Masterpiece, evidentemente pensava di essere a Roma e non a Milano, cantata con incedere maestoso.

Poi fuori, qualcuno lo ha anche beccato mentre saliva svelto sul suo bus parcheggiato proprio davanti all'ingresso dell'Alcatraz. Una ragazza gli ha dato un mazzo di rose. Lui le ha prese senza manco voltarsi ed è scappato via. Era diretto verso casa.

(Foto copyright Paolo Brillo)





(entrambi i video sono di Elio Gallotti)

Sunday, June 19, 2011

Stelutis alpinis


I miei genitori non avranno fatto tante cose, ma mi hanno messo davanti la Bellezza. Non solo sono nato e vissuto al mare, che è già bella cosa. Ho imparato a stare in silenzio davanti ai tramonti sul mare o a guardare attonito i cavalloni delle onde che si frantumavano durante le tempeste sugli scogli e sulla passeggiata. Tutte le estati, finché sono andato in vacanza con loro e cioè 13 anni, ci portavano sulle Dolomiti in un paesino che si chiamava Nova Levante. Per qualche motivo da alcune settimane sto pensando intensamente a quel posto e a quegli anni. Ho ancora dentro l'odore di quelle case di legno dove passavamo due mesi d'estate e venti giorni di inverno. I prati immensi intorno alle case, il "bambi" come lo chiamavamo noi che quasi ogni sera all'ora di cena usciva dal bosco dietro casa e si avvicinava alle abitazioni (sì lo so fa tanto Heidi ma me ne frega un cazzo se fa questa impressione). A volte veniva, altre no. Però c'era sempre l'anticipazione e il sussulto della sorpresa inaspettata quando poi si manifestava. Usciva dai boschi già scuri per la notte incipiente, un po' spaventosi, e cercava qualcosa, forse l'ultimo raggio di sole, forse una sorta di contatto. E anche noi cercavamo senza saperlo qualcosa. Attendevamo, e lui era quell'attesa.


Poi c'erano le montagne della catena del Catenaccio che vedevo dalle finestre di casa. Potevo stare ore a guardare quelle rocce che come tutte le Dolomiti all'ora del tramonto diventavano rosa. Mi facevano paura, queste montagne mute. Roccia morta. Una aveva un picco su cui si vedeva benissimo una croce piantata lì e io mi domandavo quanti anni ci voleva a una persona per arrivare fin lassù, forse tutta la vita. C'era il lago di Carezza, un nome già bello, in mezzo a boschi fittissimi con le acque più verdi del mondo, altro che Caraibi.


A Nova Levante ricorod benissimo le olimpiadi di Monaco del 1972, ricordo le gare di Mark Spitz che mi affascinavano un casino, ricordo la strage dei palestinesi come un evento oscuro e poco chiaro. Ricordo il correre a casa all'ora di cena dopo essere passato davanti a dozzine di piccole case di legno con fiori colorati ai balconi, i crocefissi piantati lungo i sentieri. Il senso di pace, anche da soli in posti sconosciuti, di non essere mai fuori luogo.


C'era questo enorme albergo stile Overlook Hotel di Shining, costruito dai tedeschi prima della Grande guerra, enorme e pauroso. C'era la cucina spaziosa e antica dove la mattina si aspettava il latte preso dal mucche (molto Heidi anche questo), e all'ora di pranzo si ascoltava alla radio la Corrida.


Per uno nato in una città di mare, poi, aver imparato a nuotare in una piscina con intorno le montagne è qualcosa di bizzarro. C'era un senso di solitudine malinconica e positiva, c'era la Bellezza tutto attorno, e mi è rimasta dentro e continuo a sognare Nova Levante ancora oggi. Lasciamo tracce ovunque siamo stati nella nostra vita, e quelle tracce non scompaiono, reclmano una presenza che c'è ancora. Forse un giorno ci tornerò, a vedere cosa è successo di quei posti.



Friday, June 17, 2011

Campi di concentramento rock


Nel 1999, negli Stati Uniti, in occasione del trentennale del Festival di Woodstock venne organizzata una delle manifestazioni rock più tristi di sempre, che non a caso si concluse con un incendio di massa. Per un mega evento rock, fu infatti scelta la desolante ex pista di un aeroporto: certo, in caso di pioggia come nelle precedenti edizioni, si sarebbe evitato il fango, ma in compenso si ebbero tre giorni di musica e sole cocente in una scenografia delle più disumanizzanti che si possano immaginare. Non memori di questo, o forse probabilmente all'oscuro come spesso succede in Italia, chi ha pensato Rock in Idrho ha voluto bissare quella triste manifestazione. Più che un festival, infatti, quello andato in campo mercoledì 15 giugno alla Fiera di Rho sembrava un campo di concentramento rock.



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Monday, June 13, 2011

Un mercoledì da leoni




Si comincia, una estate di concerti mica male. Good Lord, give me a gig a day. Mercoledì 15 sarà un grande giorno, a big wendsday, un mercoledì da leoni. Poi arriverà il resto, con la festa dell'Alcatraz settimana prossima (io ci infilo anche The Priscillas giovedì sera, me l'ha consigliate il mio amico James from London Town e James ci azzecca sempre) e altre succosità, come i dieci giorni suonati di Vigevano.

Rock in Idrho. Io ovviamente ci vado per Band of Horses e Social Distortion (questi ultimi visti due anni fa al Rock In Idro vecchai edizione: da paura, best live show in ages), ma rivedere il buon vecchio Iggy Pop con quel che resta degli Stooges sarà divertente. Lo avevo visto dieci anni fa circa, era stato fantastico. Poi, si va via dopo due canzoni dei Foo Fighters, a meno che non mi convincano di valere qualcosa.

E mercoledì sera ci sarà anche la più selvaggia, bastarda e irriverente delle lune piene. Già lo sapete come funziono quando c'è la luna piena, ma questo mercoledì sarà anche rossa: under a blood red moon. L'ultimo concerto con la luna piena fu Nick Cave a Torino, due anni fa. Fu un evento. Ho bisgono di eventi. E di sapere che anche questa volta, you've been mooned. Parrebbe ci sia pur eclisse di luna: meglio, succederà l'inaudito.



Attenzione: potrei mettermi a ululare e mordere chi mi sta vicino.

Friday, June 10, 2011

La Madonna del surf



La vita ha ragione, in ogni caso
(Rainer Maria Rilke)


Una notte su un muro di San Diego è apparsa una Madonna. La patria dei surfisti. La Madonna del surf. Protettrice dei surfisti? "Save the ocean" dice la scritta. Qualocsa o qualcuno da salvare c'è sempre. Ma nessuno riesce a staccarla dal muro dove è stata appiccicata. Perché è un mosaico, un bellissimo mosaico. Chi cazzo li fa ancora i mosaici oggigiorno? E a San Diego? Mi ricordo quando andavo sulla spiaggia di Chiavari a raccogliere pezzettini minuscoli di vetro di cento colori diversi per fare un mosaico che non ho mai fatto. Erano quello che restava di milioni di bottiglie gettate nel mare chissà dove, in Madagscar come ai Caraibi, venute a morire quaggiù. Tra questi resti c'era magari anche qualche bottiglia che aveva contenuto un disperato messaggio d'amore.

Il mosaico della Madonna del surf però nessuno riesce più a staccarlo dal muro, nonostante le autorità abbiano ordinato di eliminarlo. Anzi, vogliono metterlo in un apposito spazio espositivo, che pena. Tutte le cose belle devono essere messe in una gabbia per questo mondo di merda che odia la bellezza. Ma è stato attaccato con una colla misteriosa, potentissima, o forse da mani non di questo mondo. Non riescono a staccarlo.

Continuate a cercare qualcosa di invisibile, ma se quel qualcosa vi guarda in faccia preferite non vederlo

Sulla metropolitana stasera ci sono solo cadaveri. Zombie. O almeno io li vedo così. Vedo la bella ragazza seduta là in fondo e la vedo anche già dentro alla sua cassa da morto. Improvvisamente tutte le persone in questo vagone non sono più sedute ai loro posti ma sono tutte ordinatamente dentro una cassa da morto. Aveva ragione Jack Kerouac a piangere quando vedeva un neonato: perché mettere al mondo qualcosa che sappiamo già diventerà un cadavere putrefatto dentro a un buco nero sotto alla terra marcia.


Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.


Stanotte ho fatto un sogno. Ho sognato che ero stato invitato in qualche minchia di Rock'n'Roll Hall of Fame da qualche parte negli Stati Uniti. Eravamo pochissimi invitati, un privilegio. Sul palco Patti Smith e Bruce Springsteen. Stavano facendo una sorta di People Have the Power acustica, ma non era granché. Io, in piedi al lato del palcoscenico, aspettavo continuamente che esplodesse nel fragoroso ritornello, ma non succedeva mai. Frustrante. Poi a un certo punto Patti Smith si è girata e mi ha chiamato a cantare. Voleva che facessi qualcosa di tipicamente italiano per il pubblico americano. Allora io mi sono messo a cantare Vita spericolata di Vasco Rossi, naturalmente non conoscevo le parole ma pensavo chissenefrega sono americani non capiscono un cazzo, e me le inventavo.


i fantasmi non passano, si nascondono solo con più astuzia

Invece del microfono, in mano tenevo un accendino acceso. Le fiammate mi bruciavano la faccia. Alla fine, sono caduto in ginocchio davanti a Patti e le ho stretto le ginocchia. La mia Madonna del rock'n'roll. O del surf. Dopo, nel sogno, eravamo per le strade di New York, un gruppo di persone, che cercavano bei locali per andare a bere. Questa parte del sogno era ancora più reale e più bella. Mi sentivo a casa, la casa che non ho.

Cioè, lei mi sta dicendo che tutto il mondo (cielo, mare, cielo, tutto) sono metafora di qualcosa?
Massimo Troisi




Sono stanco e voglio dormire. Non c'è più niente da dire o da fare. Lui sta al buio un bicchiere vuoto in mano e il cappuccio della felpa sulla testa. Ascoltiamo la musica che arriva dai vicini di casa. Stanno suonando del jazz. Io odio i jazz. Che cosa pensi? Nulla, ascolto la musica.

Nobody realizes that some people expend tremendous energy merely to be normal
Albert Camus


Scendo nel giardino bagnato dalla pioggia e penso, questo un bel posto per morire. Ma come si fa a morire. In ogni caso seppellitemi pure qua sotto. Non ho manco più nessuno da chiamare, non ho più nessuno con cui andare a ubriacarmi. E ubriacarsi da soli è diventato noioso.




Ci sta una terra di nessuno,
da qualche parte nel cuore,
come un miraggio incastrato tra la noia e il dolore.
Domani ce lo diranno dove dovremo passare,
ma c’è una terra di nessuno e ci si deve arrivare

F. De Gregori

Wednesday, June 08, 2011

From Seattle to the Hawaii

Nel cult film di John Landis, "Animal House", quello che lanciò la breve ma straordinaria carriera di John Belushi, c'è una scena in cui proprio Belushi, durante uno dei tanti party selvaggi della sua fraternità universitaria, fa a pezzi la chitarra acustica di un languido ammaliatore di ragazze. Se anche voi, come diversi commenti sulla Rete hanno lasciato trapelare, avreste voluto fare lo stesso con l'ukulele che imperversa per tutto il primo disco solista di Eddie Vedder (vedi recensione su IlSussidiario.net), ecco una buona occasione per riscattarsi. Intendiamoci, come abbiamo scritto, ukulele o no, il disco del frontman dei Pearl Jam è estremamente bello, tanto può una delle più belle voci del rock contemporaneo e una manciata di canzoni interpretate con passione. Ma certo è che di ukulele nel dvd di Eddie Vedder (ecco l'occasione per tutti i fan delusi, di rifarsi, con "Water on the Road" il primo dvd del cantante dei 'Jam da solo) ce n'è pochissimo.

Continua a leggere la recensione del dvd Water on the Road di Eddie Vedder cliccando su questo link

Sunday, June 05, 2011

Photographs & memories # 6



Stati Uniti, 1940

Pete Seeger, Woody Guthrie, giovanissimi. Mai visto Woody così elegante. Pete Seeger è ancora vivo, Woody Guthrie no. Chissà cosa avrebbe fatto Woody se non si fosse ammalato, se non fosse morto così giovane. Avrebbe inciso un disco in coppia con Bob Dylan? Avrebbe inciso un disco di canzoni di Bob Dylan? Sarebbe salito sul palco con lui, lo avrebbe chiamato anche lui traditore, come fece Pete Seeger? Dove sarebbe adesso, a stringere la mano al Presidente Obama o a cantare per i morti dell'ultimo tornado, l'ultima dust bowl ballad.



Liverpool, o Amburgo, 1960, o 1961

I Beatles, giovanissimi. The Real Beatles, con Pete e Stuart. Sono insopportabilmente belli in questa foto. Spavaldi e sicuri di sé, dei veri rocker. Non immaginano nulla di quello che succederà di lì a poco, non possono neanche immaginarlo. Di questa foto, sono morti tutti, tranne Paul e Pete. In questa foto c'è un mistero. Solo Stuart poteva sapere quale mistero fosse.

Wednesday, June 01, 2011

L'albero della vita

Ha fatto solo cinque film in quasi quarant'anni, ma gli appassionati di musica rock lo conoscono molto bene. Il suo primo film, il bellissimo Badlands - La rabbia giovane, del 1973, ha ispirato la canzone Nebraska di Bruce Springsteen. E' un personaggio davvero fuori dalla coglioneria del mondo hollywoodiano, Terence Malick. Ha concesso una sola intervista, nel 1973; non vuole essere fotografato; nel suo studio non entra neanche la moglie. Vi ricorda una celebre rock star? Esatto. Nel 2007 in realtà ha tenuto un incontro conferenza al festival del cinema di Roma dove ha citato più volte Totò. In ogni caso, neanche quella volta erano presenti dei fotografi. L'altra sera sono andato a vedere The Tree of Life, il suo ultimo film, che ha appena vinto la Palma d'oro a Cannes. Non vado quasi mai al cinema. Volevo beccare un po' di aria condizionata in una serata cambogiana, tipica di Milano. L'aria condizionata non c'era e in sala saremmo stati in dieci, quattro dei quali se ne sono andati via a metà film. In effetti anche a me diverse volte è venuta la tentazione di commentare con un "è una boiata pazzesca" degna della Corazzata Potiomkin di fantozziana memoria. Ma in realtà è un film straordinariamente bello, seppur difficilissimo.



Ci sono dentro molti elementi autobiografici in questo film: la città di Waco, Texas, dove Malick è nato; il riferimento al fratello morto suicida. La costruzione del film è assolutamente scioccante, con trasposizioni temporali, lunghissime pause, pochissimi dialoghi, flashback continui e finanche circa mezz'ora dedicata alla creazione del mondo, con tanto di dinosauri, scene che inevitabilmente rimandano a 2001: Odissea nello spazio. In mezzo, cori gregoriani, citazioni della Bibbia. E delle domande, Che poi è una domanda sola, la Domanda. Anche Brad Pitt, uno degli attori più insulsi del cinema, fa un figurone, per non parlare delle poche scene in cui si vede Sean Penn, che è sempre stato un grande attore. Lei, Jessica Chastain, la protagonista, è semplicemente fantastica.

La Domanda appare sin dall'inizio del film: una didascalia su fondo nero tratta dal capitolo 38 del Libro di Giobbe: «Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra? […] Mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio?». Poi la voce fuori campo di Jessica: "There are two ways through life: the way of nature and the way of grace. You have to choose which one to follow". Ci sono due modi di andare attraverso la vita, il modo della natura e quello della grazia. Devi scegliere quale dei due modi seguire. Che è molto Flannery O'Connor come modo di dire, ma anche un po' Johnny Cash. Ecco, il film è tutto qui. In che modo passare attraverso la vita. Nella storia dolorosa seppur bellissima della famiglia O'Brien, il contenuto stesso della vita. Come ha detto bene Leonardo Locatelli su IlSussidiario.net, "presenza di Libertà e Perdono possono invece riconciliare o - ancora - la domanda se anche nell’esperienza del Dolore e della Perdita (la figura di Giobbe torna non a caso all’interno del narrato) ci sia uno scopo che non è contro l’uomo e la riflessione sul Male («Può capitare a chiunque?» «Nessuno ne parla» «Perché essere buono se Tu non lo sei?»), che dapprima è mostrato come qualcosa da cui proteggere gli occhi dei più innocenti, per poi diventare un interrogativo sulle sue origine e natura e infine il realizzare che è una stortura che ci si porta addosso («Faccio le cose che odio») e che va confidata («Io sono cattivo quanto te. Sono più come te che come lei») e affidata per poter guardare - con ultima amicizia e prospettiva vera - persone e cose".

La risposta finale? E' nel Cuore dell'uomo, di ogni singolo uomo.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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