Thursday, May 28, 2009

Solo con un altro scopri di esistere


Se Dio dopo aver creato il mondo si è messo pure a girarci in mezzo, allora quando uno si alza la mattina può mettere i piedi per terra senza preoccuparsi di capire da dove è venuta quella terra. Ma se non è cosi, allora tocca trovare tutta un'altra spiegazione di cosa uno vuol dire quando dice realtà. E tocca giudicare tutto quanto sotto quella luce. Sempre che poi sia una luce. Pure te stesso. Quella domanda li vale per tutti. E allora che ne dici, professore? Tu esisti davvero?

(Cormac McCarthy, Sunset Limited)


Grazie ad Antonio Spadaro, grazie ad Anna

Sunday, May 24, 2009

Paolo Vites official anthem

Dedicato a quelli che sanno di esserlo e a quelli che ancora non hanno capito di esserlo, ma lo sono, eccome se lo sono.



(Grazie Tatix per avermela fatta scoprire... I'mjust an asshole...)

Friday, May 22, 2009

Wilco will love you, baby

Music is my savior, I was maimed by rock and roll, I was tamed by rock and roll, I got my name from rock and roll
(Jeff Tweeedy)

Che fa quell’ometto grassottello, la faccia un po’ da nerd, tutto vestito con un completino di Nudie (lo stilista che vestiva di abiti sgargianti le star della country music, e pure Gram Parsons)? Canta, è ovvio, e suona, visto che è su di un palcoscenico. Non si vergogna con quel look che non centra un tubo con la musica che fa e con il suo aspetto fisico? E no, non si vergogna, non può. Lui è la musica. Autentica american cosmic music. Lui è Jeff Tweedy e quelli sul palco sono i cazzutissimi Wilco. E il completino ci sta, ci sta. È il segno di quello a cui lui appartiene. La tradizione.

La prima volta che li ho visti in concerto, non ricordo manco che anno era, forse dopo l’uscita di Summerteeth, il loro disco che mi piace di meno, o forse dopo l’uscita del primo Mermaid Avenue. Milano, Magazzini Generali, quattro gatti, ma di buon gusto. Da Roma era arrivato anche Ermanno Labianca. Era ancora la prima line up, quella con Jay Bennett. Il concerto fu buono, ma non esaltante più di tanto. Ancora troppo ortodossi, ancora frenati. Colpa della band, credo, e di Bennett. Credo. Commovente però quella California Stars in conclusione.

Credo fu quando uscì lo strabiliante Yankee Hotel Foxtrot, nel 2002, che feci la mia prima intervista con Jeff. Anzi, fu proprio quella volta. Telefonica. Lunga, appassionata. Era il suo periodo delle “pillole”, ma lui era lucido. Alla grande. Vorrei aver conservato il nastro. Quella volta, come poi sempre con i Wilco, non riuscii a farli mettere in copertina di Jam. Eh no, a noi piacciono i morti eccellenti. Gli anniversari. Si va sul sicuro qua. I Wilco, no.


A fine giugno, location impossibile (un oratorio!), 2004 – è appena uscito A ghost is born – veniamo caricati su un pullmino della casa discografica, partenza da Milano e destinazione boh. Da qualche parte in provincia di Brescia. Con me un caro amico, oltre a due altri giornalisti, che i Wilco in Italia non si apprezzano. Diciamo non se li caga nessuno, della stampa che conta. Probabilmente perché quella sera a San Siro stanno suonando gli U2, o quello là, quello del New Jersey. Il mio caro amico dovrebbe fare le foto, l'ho invitato apposta, è venuto da Chiavari per i cazzo di Wilco. Se lo conoscete, capirete. Non ha portato il rullino. Oppure la macchina aveva le pile scariche.
Il concerto è da urlo. Adesso c’è “quella” line up, tra tutti il miglior chitarrista al mondo, Nels Cline, e quel mostro di batterista, Glenn Kotche. E quell’incredibile folletto che sul palco è il catalogo di tutte le mosse più fighe della storia del rock, Mikael Jorgensen.
Nel backstage, dopo il concerto, incontro brevemente Tweedy, adesso “uomo senza più pillole”, ma tante, tante sigarette. Gli dico che dovrebbero fare un disco dal vivo, visto quanto sono bravi.Mi guarda un po’ come si guarda un coglione: “Be’, ma anche in studio non siamo poi così male”.
Ovvio. C’ha ragione.

Primi di settembre, Milano. Palatrussardi o quel cazzo che si chiama adesso, che gli cambiano nome ogni due per tre. Pomeriggio cool, festa dell’Unità. Con la bella fotografa, la Stefania (lei è fotografa professionista, tanto per andare sul sicuro, questa volta), andiamo per incontrare Jeff Tweedy, si parlerà finalmente di un disco dal vivo, l’eccellente Kicking the Television uscito ormai da quasi un anno. Ci gustiamo il soundcheck, poi si chiacchiera un po’. Amo quest’uomo, lo amo davvero. Ha anche smesso di fumare adesso. Ma è come parlare con te stesso. Cioè, con il te stesso che tu vorresti essere.
La sera, Palatrussardi mezzo vuoto anche se l’ingresso è gratuito – perché i Wilco, in Italia, non se li caga quasi nessuno – “il” concerto. Definitivo. Attaccato alla transenna sotto il rutilante Jorgensen piango calde lacrime di bellezza. Vedo la storia del rock sfilarmi davanti ed è tutta qua, nelle mani di quel piccolo grande uomo e del suo gruppo, la più grande rock’n’roll band al mondo. Non ci piove, su questo. Che notte, cazzo che notte.

Il piccolo uomo faccia un po’ da nerd vestito sgargiatamente con il completino da George Jones, il re dell’honky tonk music, canta una lenta ballata folk. Dietro di lui a intervalli la band esplode in cacofonie esagerate, totalmente fuori contesto. Il piccolo uomo continua a cantare come se niente fosse. Poi la band ogni volta rientra educatamente in quella nenia leggera, poi esplodono ancora, una, due, tre volte. Ecco. American comsic music. Loro la possono fare perché hanno lasciato che sia la musica a guidarli, in territori sconosciuti. Mica come fanno tutti gli altri. È la musica che suona attraverso i musicisti, non sono dei musicisti che fanno della musica.

Una fredda sera di inverno, credo un anno dopo, raggiungo Jeff Tweedy al telefono. Dobbiamo parlare del suo dvd solista, in cui sono raccontate le magiche serate che ogni tanto fa da solo, da vero folk singer del terzo millennio. Mi svelerà il suo segreto, quella sera: “Essere stato parte di un pubblico rock per la gran parte della mia vita adulta, e suonare sul palco al servizio (dice proprio “al servizio”) di un pubblico rock, ho fatto questa esperienza ogni sera. Che esiste qualcosa che è più grande di me stesso, qualcosa di più grande di un gruppo di persone che in quel momento si trovano in quella stanza e c’è la possibilità di perdere te stesso in quella identità, che è un posto in cui ti sentirai al sicuro. Un concerto rock è il solo posto che conosca dove puoi avere questa esperienza di intimità con un largo numero di persone”.

Ho smesso di intervistare Jeff Tweedy. Ho smesso di andare ai concerti dei Wilco. Che intanto in Italia non se li caga nessuno e anche questa estate suoneranno in mezza Europa tranne che qui. Lui, e la sua band, sono per me qualcosa di più grande che soltanto un'altra rock’n’roll band. Sono la porta aperta al mistero. E adesso ho un po’ paura a infilarmici ancora una volta, in quella porta. Ma va bene così. Sono loro a venirmi a cercare, ogni volta. C’è il loro dvd dal vivo, finalmente, e un nuovo disco tutto per me: even when life gets you down, Wilco will love you, baby.
Ecco.

(Foto di Stefania Malapelle)

Wednesday, May 20, 2009

Hate & War (ammazza la colomba)

Qual è, secondo te, l'eredità della Woodstock generation?
"Troppi morti per droga"
(Chrissie Hynde all'autore di questo blog, durante una intervista tenuta nel 1999)

Oddio. Non ci posso credere. Uno si distrae due giorni e poi scopre che il giornale dove lavora dedica 12 pagine e la copertina ai 40 anni di Woodstock, pace amore & sti cazzi. I tre giorni che hanno cambiato il mondo. La nascita di tutti gli ideali di fratellanza, libertà e mia sorella. I figli dei figli dei figli dei fiori al potere. Tipo quello là della Microsoft. Che figata. E ancora adesso paghiamo il prezzo per tutte quelle minchia di hippie band che si stonavano prima di salire sul palco e hanno inventato il concetto di "jam music" - non per scelta artistica, ma solo perché erano così fatti che non riuscivano a capire che l'assolo di chitarra andava avanti da 35 minuti e loro pensavano fossero solo 35 secondi. Qualcuno avrebbe dovuto dire una volta a Jerry Garcia che la chitarra, non la sapeva suonare.

Quando ho sentito parlare di Woodstock la prima volta, erano passati sette anni da quell'agosto 1969. E già si celebrava, nei cinema tutti lì a far finta di essere nella fattoria di Yasgur. Ho odiato subito Alvin Lee e il suo pallosissimo assolo "più veloce del West". E la faccia da ebete di John Sebastian e quei bambinetti nudi che scorazzavano nel fango. Ancora adesso penso che l'unico momento degno di musica fosse stato quando Country Joe McDonald mandò a 'fanculo mezzo milione di persone perché erano troppo fumati per rispondere al suo - quanto mai appropriato - fuck cheer. No, be', dai, anche Joe Cocker non era male. E Sly Stone, soprattutto perché era del tutto fuori contesto. Infatti al cine quando toccava a lui uscivano tutti fuori. Jimi Hendrix e la sua chitarra-mitragliatrice mi rompeva. Jimi Hendrix, posso dirlo?, mi ha sempre un po' rotto le palle.

Un giorno io e un mio amico che aveva una casa uber figa, sulle colline sopra Chiavari, una autentica villa degna di Malibu, ci chiudemmo lì con l'dea di fare tre giorni di pace amore & musica, forse era il decennale di Woodstock. Ora, a parte che le ragazze non c'erano per cui il punto B era già più che una ipotesi e che il massimo di stupefacente era pillole per il mal d'auto ingollate con dosi massicce di Coca Cola tanto che nei successivi 30 anni non ho mai più vomitato in automobile, di musica ci rompemmo dopo un pomeriggio. L'obbiettivo era ascoltare per intero il classico triplo padellone di Woodstock, un disco al giorno, ma optammo per Patti Smith e Bob Dylan. Comunque il giorno dopo tornarono a casa i suoi genitori.

Quando si festeggiò il 25ennale, nel 1994, era appena nata la mia prima figlia. Avevamo preso una casa in Brianza, in mezzo ai boschi, e ascoltavo la diretta su Radio Rai. Cioè, fecero suonare anche Zucchero. Però ovviamente, ci fu anche Bob Dylan: "Ladies and gentleman, we waited 25 years for this.... Eccerto. Perché un milione di pirla andò a Woodstock nel '69 solo perché lì ci abitava lui, che pensò bene di stare chiuso in casa con il fucile caldo a puntare il primo hippie che fosse passato di lì (Chronicles, Bob Dylan). Momento migliore del festival (a parte Dylan): i Metallica e i Green Day che buttano zolle di fango sul pubblico.

Del trentennale me ne sono sbattuto altamente, ma ricordo con piacere che alla fine i "kids" diedero tutto alle fiamme. Ottimo lavoro ragazzi. Non oso pensare se faranno il concerto anche per il quarantennale, ma se hanno avuto il coraggio di festeggiare i 40 anni della Summer of Love, che sembrava il raduno dei partigiani il 25 aprile (senza offesa per i partigiani), tutto è possibile.

Mi sono accorto di aver fatto anche io la mia celebrazione per i 40 anni di Woodstock. Patetico. Sì, mi sta sulle palle Woodstock e tutta l'ipocrisia che rappresenta. Che il mondo sia migliore grazie agli ideali di Woodstock, è una palla colossale. Ditelo a chi ci ha creduto fino in fondo a quegli ideali, sempre che sia ancora vivo. O anche a chi ci ha creduto di striscio. Girate l'angolo e ci troverete Altamont. Charlie Manson era già lì, ad aspettare. Ma soprattutto non sopporto Woodstock per aver dato il via alla moda dei festival, che odio più degli spaghetti annacquati che fa mia moglie. Sono passato nel corso degli anni,come livello di tolleranza per un posto dove sia umano ascoltare musica, dalle 60mila persone che ci possono stare in uno stadio alle 50 che tiene La Casa 139 di Milano, al momento il mio posto ideale dove ascoltare un concerto. Ma d'altro canto non se ne scampa, da qui al ferragosto 2009. Escono e usciranno libri a ripetizione, si ristampano dischi e si espandono i dvd con ore di filmati inediti, se ce ne fosse stato alcun bisogno. Mostre in ogni sottoscala cittadino. Si fanno nuovi film per celebrare lo spirito della Woodstock Nation. Meglio andare a rinchiudersi in qualche discoteca di Rimini. Oh, e Jam il mese prossimo compratelo lo stesso anche se si parla di Woodstock.

Friday, May 15, 2009

Whats this shit

Il commento meno incazzato che si trova in giro su Internet, anche sul forum del sito ufficiale del musicista americano, è: "Bob Dylan si vergogni. Faccia immediatamente ritirare questo video". Risparmio altri del tipo, "sì, Bob Dylan in fondo è uno che odia le donne", oppure "questo è un incitamento alla violenza".
Bene. Se Bob Dylan non scandalizza più nessuno con le sue canzoni come faceva 40 anni fa, adesso scandalizza con i videoclip. Sto parlando del nuovo video ufficiale per la canzone Beyond here lies nothing. Opera di un controverso regista indipendente, Nash Edgerton, qualcuno dice che Dylan manco l'abbia visto. Mah, non credo che il cantautore autorizzi l'uso di una sua canzone per un video che non ha visionato.

Sì, il video è piuttosto violento, ma ha anche una certa ironia di fondo. E poi Pulp Fiction è molto più violento, ma tutti dicono sia un capolavoro. A me piace, anche se ho ancora giudizi contrastanti al proposito. Piace perché comunque è vita vera, quella che viene ripresa. Vita brutta, vite distrutte, certo, ma se pensiamo a un video che ha fatto storia, osannato e acclamato, come quello delle Dixie Chicks per la canzone Goodbye Earle, dove una mogliettina trattata male ammazza (dico: ammazza) il marito violento, chi è che è più violento? Dylan o le paciose Dixie Chicks? Almeno nel video di Dylan non ci sono quelle irritanti gallinelle - perdonate il gioco di parole - all american girls e quell'aria finto McDonalds.

Il video di Beyond here lies nothing, dicono, non c'entra con la canzone. Non è vero. La canzone è molto dura, disperata. Perché parla dell'amore che diventa ossessione. Solo chi vive storie d'amore degne di una soap opera non sa cosa vuol dire quando l'amore diventa ossessione. E disperazione. E anche violenza.
La canzone dice "sei il solo amore che abbia conosciuto" e tutto andrà bene "fin tanto che tu starai con me". Ma il protagonista del brano non ha scelta. Il suo amore è auto ossessionato e inevitabilmente finirà per distruggere l'oggetto del suo desiderio, la donna che ama.
Il regista sembra sentire che la canzone sia un avvertimento sulle potenzialità distruttive dell'amore possessivo e ossessivo. C'è violenza nel video, come ce n'è nel mondo reale. Che la gente si scandalizzi perché un video di Bob Dylan mostri scene di violenza e non si scandalizzi più per la violenza che si vede ogni sera al telegiornale, dovrebbe dire qualche cosa.

Questo è un video forte, coraggioso. Non è roba da Mtv. Non è roba da "Amici" o da "X Factor". Questa è vita, vita reale. Together through life, e ci andiamo, insieme nella vita, con Bob Dylan. Non pensavo potesse più accadere. Oggi come 40, e 30, e 20 anni fa. Bob Dylan è davvero tornato.

Monday, May 11, 2009

The Magic Waltz



It's the last chance, the last dance, the last waltz, the last magic in town... I'll see you there

(per chi vuole cenare, l'appuntamento è alle 20 - prenotarsi telefonicamente presso il locale http://www.mamacafe.it/index.php
per chi vuole, lo show comincia circa verso le 21)

Saturday, May 09, 2009

Spanish steps

"Gentilmente, può dire a quel signore vicino alla macchinetta se mi buca il biglietto?". Lo sguardo è torvo: "Nun ja fa'?". "Eh no che glielo chiedevo a fare, non riesco neanche a muovere un mignolo qua dentro". Interviene qualcun altro: "A' famo, a' famo...".
Il biglietto è bucato e io maledico gli autobus romani nell'ora di punta. Che, è strano, ma l'ora di punta a Roma corrisponda a quella di Milano. L'ora del pranzo no, però. Ieri, all'una e qualche cosa, i ristoranti erano deserti. Oggi, alle due e mezza, non riesci a trovare un posto a sedere. Pensavo che poi l'ora di punta ci sarebbe stata alle nove di sera...
Capita, poi, che al tavolo a fianco si sieda una nota - non - so - come - definirla della tv (nel senso che è attricetta, presentatrice, opinion leader, ballerina, cantante). Il cantautore che è a tavola con me fa una smorfia: "A' Carfagna de' sinistra... ce sperava anche lei de fa' il ministro...".

Tutto sparisce - attricette, autobus, caos - nel sole abbacinante di Piazza di Spagna. Che il sole di Roma è molto più bello di quello di Milano. Quello di Milano è malato. Questo splende davvero. Sulla scalinata spagnola una folla immensa multirazza e multicolore. Ma per me è come se non ci fosse nessuno,quando le campane della chiesa lassù in alto cominciano a rintoccare. Io vedo solo un volto, sorridente, di qualcuno che qui non c'è. Sarà la casa, poco distante, del poeta che qui vi morì, a suggerirmi visioni bizzarre. John Keats qui respirava il profumo dell'amore.
O sarà l'immortale canzone di un altro amico cantautore, che mi viene fuori improvvisamente dal profondo del cuore, insieme a quel volto:

"Meet me on the Spanish Steps, oh you will not wait long, near the place where we first met, it was on the streets of Rome... You were young and your eyes were bright your cheeks were flush and flair, we were eye to eye on the Spanish Steps, I still see you smilin' there..."

Tuesday, May 05, 2009

Le cose belle della vita 2: amici

An elegant song won't hold up long
When the palace falls and the parlour's gone
We all must leave but it's not the end
We'll meet again at the festival of friends.
Smiles and laughter and pleasant times
There's love in the world but it's hard to find
I'm so glad I found you -- I'd just like to extend
An invitation to the festival of friends.
Some of us live and some of us die
Someday God's going to tell us why
Open your heart and grow with what life sends
That's your ticket to the festival of friends.
Like an imitation of a good thing past
These days of darkness surely will not last
Jesus was here and he's coming again
To lead us to his festival of friends.
Black snake highway -- sheet metal ballet
It's just so much snow on a summer day
Whatever happens, it's not the end
We'll meet again at the festival of friends

(Festival of friends, Bruce Cockburn)

Gli amici non sono quelli che ti danno una pacca sulla spalla e ti dicono, andrà tutto bene. No. Gli amici sono quelli che ci stanno, lì con te. Comunque. Non hanno pretese, non spiegano, non danno consigli. E ti fanno vedere cose belle (le montagne), ascoltare cose belle (le canzoni) e assaggiare (be', diciamo soprattutto bere) cose buone. Ecco qua. Vale la pena tutto, allora. Anche la fatica.

La parola d'ordine era: biodinamica. Adesso sono un po' biodinamico anche io. Grazie a Ale (Ciciuxs) e Luciano (Tatix), quelli che dirigono l'unica vera casa discografica indipendente italiana, la gloriosa Club de Musique, ma davvero indipendente perché sono gli unici a fare solo quello che piace loro. E fanculo ai trend e alle mode finto-indie. Quassù, ai piedi del Dente del Gigante, dove ho bevuto i vini migliori del mondo (biodinamici, of course), conosciuto tanta gente bella e ascoltate le canzoni di due grandi, Paolo Bonfanti, e Stefano Barotti, che ancora una volta mi ha spezzato il cuore. Maledetto fu il divano.Stefano "the real thing" Barotti

It's a Harley, stupid!

L'ospite d'onore, Magic, the Texas Armadillo

L'uomo delle montagne

The Band

Alla fine restò solo questo


Sulla strada verso casa. Perché si torna sempre a casa

(Le foto sono di Fausto - Cardioman - Leali) - Thanx everybody

Saturday, May 02, 2009

Paura

Quando ero un bambinetto - late 60s, early 70s - anche a casa mia c'era un mangiadischi. Invenzione formidabile, seppure non certo per audiofili. Devo averlo spaccato a forza di infilarci i 45 giri che trovavo in famiglia. Fra tutti, i miei preferiti erano Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto - credo - e Pensiero d'amore di Mal. Le ascoltavo per ore, e manco sapevo cosa volesse dire innamorarsi, tantomeno le pene d'amore. Cioè: a dire il vero qualcosa avrei dovuto saperlo quando, in quinta elementare, mandaii un bigliettino a una ragazzina della mia classe con scritte le parole della vergogna, "Ti amo". Lei si alzò, andò dritta dritta dalla maestra e consegnò il bigliettino maledetto. Mi fecero anche l'esame dattilografico, lettera per lettera, per vedere se le calligrafie corrispondevano. Sentenza: "Lo dirò a tua mamma, cosa fai invece di pensare alla scuola". Eppure, non ho mai odiato quella ragazzina. Ho odiato piuttosto me stesso per aver mostrato la mia fragilità.
E nonostante ciò, ancora non associavo le canzoni alle pene d'amore. Semplicemnte mi piaceva tanto Pensiero d'amore.

Poi scopersi un'altra canzone, di cui non potei più fare a meno. Non la capivo. Ammazzarsi per una delusione d'amore? Belinate. Erano il "suono" e quella "voce" ad affascinarmi a fondo. Quell'inizio straniante, con la mano che picchia la cassa della chitarra, come un suono che provenga da lontano, prima morbido, poi sempre più secco, incalzante. Straniante e fastidioso. Poi la voce, che univa tenerezza e malinconia dell'altro mondo. E ancora non sapevo cosa fosse la malinconia. Oppure sì. Ce l'avevo dentro senza saperlo e qui trovavo la corrispondenza anelata. Le pause: "Adieu - pausa; che succederà?. Niente, c'è insistenza invece subito dopo: "adieu adieu adieu". Come dire: è proprio così. E quindi lo svolgersi della melodia più bella che avevo mai sentito "adddddio al mooondo". Come solo Domenico Modugno sapeva fare.

Ma soprattutto, ecco cosa mi aveva sempre attratto a Vecchio frack. La paura. Quella "canzoncina" faceva paura. Anni dopo scopersi la paura nei dischi di Bob Dylan, Jim Morrison e tanti altri. A cosa serve una canzone se non ti mette addosso paura? A nulla. La paura ti costringe a porti domande, e cosa è la vita senza domande, anzi senza "la domanda"? Nulla.
Ascoltata oggi, Vecchio frack mette ancora paura.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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