Sunday, August 30, 2015

Abramo sull'autostrada 61

Il 30 agosto di cinquant'anni, un ragazzino ebreo che aveva da poco compiuto 24 anni pubblicò un disco che si intitolava "Highway 61 Revisited". Cinquant'anni dopo quasi tutti sono concordi nel definirlo il più importante disco rock di sempre. "Chiunque abbia un po' di sale in zucca sa che Highway 61 Revisited è il più grande disco rock della storia" mi disse ad esempio una volta uno che di musica rock sa una o due cose, artista rock lui stesso di vaglia, John Mellencamp.
Pubblicato secondo disco di una trilogia che spezzerebbe le reni a qualunque altro collega, e di fatto nessuno si è mai avvicinato a tali vertici, tanto che John Lennon in quei mesi del 1965 si alzò in piedi e come membro dell'allora gruppo rock più importante del pianeta, si azzardò a dire: "E' Bob Dylan che ci mostra la strada". "Highway 61 Revisited" nonostante tanta gloria non è forse ancora stato ancora esplorato a fondo. Gli altri due dischi per la cronaca sono "Bringing It All Back Home" di pochi mesi precedente a questo e "Blonde on Blonde" di meno di un anno successivo. Insieme costituiscono la trilogia più esplosiva, emozionante, affascinante e rivoluzionaria di sempre, tanto che l’irrompere sulle scene musicali della seconda metà degli anni 60 di gruppi rock e di solisti successiva ad essi non sarebbe stata minimamente ipotizzabile. La canzone radiofonica di tre minuti era spazzata via (il 45 giri di Like a Rolling Stone venne pubblicato su due facciate, e nonostante questo schizzò in testa a tutte le classifiche) e come disse Joni Mitchell ascoltando un brano delle session di “Highway 61 Revisited” pubblicato su singolo, Positively 4th Street, “adesso in una canzone si può davvero parlare di tutto, anche mandare a fanculo le persone”. La musica rock era stata liberata e con essa nulla sarebbe stato più uguale a prima. Ma soprattutto quello che Bob Dylan introduceva, ad esempio con Mr. Tambourine Man, era mettere in primo piano in una canzone l’io, punto centrale del dramma umano, che le ideologie e il moralismo borghese dell’America del dopo guerra aveva nascosto sotto i detriti del consumismo volgare, delle ipocrisie piccolo borghesi, della superiorità anche razziale: WASP, “white anglo saxon protestant”, quelli che probabilmente avevano fatto fuori lo scomodo JFK. Costringendo tra l’altro lo stesso Dylan ad abbandonare l’impegno politico dopo la notizia della sua morte.



Quel linguaggio musicale e lirico inedito ancora oggi viene guardato da chiunque prenda in mano una chitarra (non ci sarebbe mai stato un Bruce Springsteen, per dirne uno, senza questi tre dischi). Quei tre dischi sono stati il più completo, ambizioso e avventuroso ritratto in musica dell'America, dei suoi fantasmi, delle sue promesse mancate, delle sue radici, mai inciso da un artista rock.
Se si vuole sapere cosa fu l'America degli anni 60 non servono trattati sociologici, interpretazioni politiche, discussioni filosofiche. Basta ascoltare questi dischi in sequenza. Se il vostro cervello non esploderà davanti a questa potenza sonica e lirica, allora avrete di che meditare per il resto della vostra vita. Non è un caso ad esempio che le Black Panther, il movimento afroamericano para terroristico, nacque quando i due fondatori passarono un pomeriggio ad ascoltare senza sosta il brano Ballad of a Thin Man, contenuto in "Highway 61".


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Sunday, August 16, 2015

Quella scala per il Paradiso

L'arte non è espressione di noi stessi, l'arte non è l'espressione dell'artista. Certo, ci può essere chi si sforza come in un qualunque lavoro di creare qualcosa e di metterci tutto se stesso. L'arte, per quel che può significare questa parola così piena di vanità, è espressione di qualcosa d'altro oltre noi che ci attraversa a volte anche con violenza, dolore e sacrificio, chiedendo di essere espresso. E' un urlo, un pianto, occhi rosse di lacrime, una preghiera. E la preghiera non è mai una nostra affermazione, ma una richiesta.



Tre uomini anziani, alla soglia dei loro 70 anni, siedono in una tribuna con i massimi onori. E' il 2012, è la serata del Kennedy Center Honors. Al loro fianco il presidente degli Stati Uniti, al loro collo la massima onorificenza che quel paese può dare a chi si è reso meritevole grazie al suo lavoro (o arte se vogliamo).
I tre anziani signori aspettano di vedere l'ultima esibizione musicale in loro onore della serata, dopo altre esibizioni che li hanno già glorificati. Ma ecco che succederà l'impensabile, anche per loro, anche per tutti quelli che si erano esibiti convinti di aver già fatto del loro meglio, per tutti coloro che sono in quella sala.
Accadrà che qualcosa di più grande degli artisti che la eseguono, più grande degli autori (i tre anziani signori, ne manca uno, morto decenni fa, crollato sotto il peso di quel misterioso atto creativo che non tutti sono in grado di sopportare a lungo) in qualche modo si renderà tangibile e talmente affascinante da ridurre in lacrime almeno uno di loro.

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Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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