Tuesday, July 30, 2013

Book of mercy

Blessed is the covenant of love, the covenant of mercy, useless light behind the terror, deathless song in the house of night
(Leonard Cohen)

Attraversava il parcheggio dell’autogrill affascinato da quella luce innaturale. Innaturale perché troppo, esageratamente rilucente. Il caldo era intollerabile, in un’altra occasione sarebbe stato schifosamente intollerabile anche per lui che odiava anche le temperature primaverili. Ma quel giorno, quel pomeriggio? Non sapeva dire che ore fossero realmente, la luce intensa non gli faceva sentire neanche il caldo. Alcuni uomini, forse lavoratori dell’autostrada, gli venivano incontro parlando a voce alta, pregustando la pausa dentro al bar una birra gelata e poi via verso casa investiti anche loro da quel sole sfolgorante. Risplendevano in quella luce e sembravano brave persone. Non sapeva perché era lì non sapeva dove era ma per qualche istante provò una pace infinita. Si accese una sigaretta sotto a un pino ombroso. Si guardò le mani e le vide sporche di sangue, dalle dita gocciolavano copiosi gettiti rosso scuro. Che cosa aveva fatto? Non lo sapeva. Ma sentiva il peso del male e quello della morte schiantarsi adesso su di lui., la tenerezza di poco prima era già stata ingoiata altrove. Ma poco importava. C’era ben poco che importava ormai nella sua vita.

Se era lui l’assassino, se era lui il colpevole, non lo avrebbe saputo mai, ma in ogni caso era destinato a convivere con il male. Lontano da quella piazzola incantata baciata da un sole innaturale, tutto riprendeva i contorni indefiniti del male, il male che ogni giorno si stringeva sempre più addosso a lui. Il mondo steso era incarnazione del male. Oh la menzogna, la bugia come stile di vita. Non lui, o forse sì anche lui naturalmente. Il velo squarciato sulla pochezza la pacchianità dell’esistenza gli aveva mostrato il volto della menzogna: impossibile sfuggirne. Troppo troppo tardi. Ogni faccia, ogni ghigno, ogni pacca sulla spalla: menzogna menzogna menzogna.



Alla fine in qualche modo arrivò a casa o quella che credeva essere ancora casa sua. Abbandonata, come ben sapeva ancor prima di entrarci. La casa abbandonata piange le sue vittime da ogni finestra aperta sul nulla la casa sbattuta dal vento le stanze raggelate e raggelanti le presenze non più presenti. Il vuoto. Il silente silenzio. Non aveva senso restare lì ma ci rimase. Non aspettava più nessuno, doveva solo decidersi a farlo. Lo avrebbe fatto o la casa glielo avrebbe fatto fare. Canzone senza morte nella casa della notte?

“Quando uno si ritrova incapace di funzionare, l’unica possibilità è rivolgersi alla fonte assoluta delle cose. L’unica cosa che puoi fare è la preghiera” (Leonard Cohen)

Saturday, July 27, 2013

Ragged Glory

Si può fare un concerto e non includere quei brani che normalmente il pubblico pensa essere i più rappresentativi? Insomma, pensate se Bruce Springsteen non facesse Born to Run, Thunder Road, Badlands. O se gli Stones non facessero Satisfaction, Honky Tonk Women e Brown Sugar. Sareste delusi? Forse no, ma un po’ si diciamo la verità. L’altra sera a Lucca Neil Young – che in Italia a suonare ci viene molto più raramente di un Bruce Springsteen – prima di due sole tappe italiane, ha tranquillamente lasciato fuori tre monumenti del suo repertorio quali Hey Hey My My, Rockin’ in the Free World e Like a Hurricane. Qualcuno si è lamentato? Assolutamente no. Il concerto ha perso di bellezza e di interesse? Ancora no. A parte che Young ha un tale repertorio che può tranquillamente fare a meno di pezzi come quelli citati (a Lucca ad esempio ha tirato fuori una rara Mr. Soul e il super classico Heart of Gold), ma lo spettacolo è stato di tale strabordante bellezza che lo si è vissuto come l’evento che è stato. Circa 10mila persone di tutte le età hanno accolto nella piazza ottocentesca dove si svolge il Lucca Summer Festival uno degli ultimi giganti del grande rock, una delle ultime leggende degli anni 60, uno dei più grandi cantautori di sempre.



Accompagnato dai Crazy Horse ha rilasciato il concerto che un fan di Young può solo sognare: due ore di debordanti, lancinanti e possenti assolo di chitarra elettrica. Frank Sampedro (uomo dai mille riff impossibili alla chitarra ritmica) lo stantuffo Billy Talbot (al basso) e il metronomo umano Ralph Molina (alla batteria) hanno fatto quello che sempre i Crazy Horse fanno con Young: accompagnarlo, assecondarlo e andarlo riprendere quando fugge troppo lontano nelle sue cavalcate impazzite di chitarra.

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Wednesday, July 24, 2013

Let it boogie!

I Boogie Ramblers ce li immaginiamo così, come il titolo di uno dei pezzi del loro nuovissimo cd: “dressed in black”. Un po’ alla Blues Brothers, un po’ alla Men in Black. Perché la loro musica, anzi il loro rock’n’roll, è così: scuro, scurissimo, incazzato. Non sappiamo se sia una scelta studiata a tavolino, o se sono incazzati davvero: quello che fuori esce dall’ottimo Let It Rock! È però così: un rockabilly-boogie post punk, tra Willy De Ville e Billy Lee Riley.
I pezzi di Chuck Berry, ad esempio (autore qui presente in maggior parte, e non poteva essere altrimenti vista la venerazione che il cantante-chitarrista Carmelo Genovese ha per lui) perdono quella freschezza e innocenza con cui li abbiamo sempre identificati. La voce del cantante spara i versi come una mitraglia, con vezzo ma anche con disprezzo: se sta piangendo la fine ormai immemorabile della golden era del rock’n’roll non lo sappiamo. Certo è che ne recupera appieno l’anima blues, un po’ come facevano i Nine Below Zero, la storica band inglese di cui Genovese è fortemente debitore quasi quanto Chuck Berry. Pochi accordi essenziali di chitarra, assolo veloci, sporchi e cadenzati; ritmica sferragliante (Attilio Saini al basso, Maurizio Bevilacqua batteria), armonica al fulmicotone (Tito Boy Oliveto) e il pianoforte saltellantie e brillante di (Amedeo Carlennon che però è uno special guest così come l’ottimo Roberto Dbitonto al sax).



Prendete un pezzo come Come On di Berry, il primo 45 giri dei Rolling Stones: qua diventa una nostaglica ballata alla American Graffiti, mentre Dark Glasses di Joe South potrebbe essere uno scarto dylaniano dei tempi di Highway 61 Revisited. L’iniziale Shakin’ Beethoven (medley fra due classici indovinate di chi) è però puro, esaltante irrefrenabile rock’n’roll e i Boogie Ramblers lo suonano come pochi in Italia. Tra il Johnny Cash di Folsom Prison Blues, unica pausa semi acustica nel disco, e il miglior Ben Vaughn, uno che potrebbe essere membro onorario dei Boogie Ramblers, quello di due brani comeI Dig your Wig e la già citata Dressed in Black c’è anche lo spazio per uno strumentale firmato dal quartetto, Harp Attack, piena di citazioni di quell’epoca splendida in cui gli eroi del rockabilly erano come marziani sulla terra, così come una conclusiva Let It Rock che non lascia prigionieri.
I Boogie Ramblers ce li immaginiamo così; vestiti di nero, esibirsi sul palcoscenico di una Chicago post atomica, convinti che la bomba non sia mai scoppiata e che Elvis non abbia mai lasciato il palazzo. Ah, dimenticavo: il cantante e chitarrista dei Boogie Ramblers ha suonato anche con Chuck Berry…. Let it rock!

Dove trovare il disco http://nuovisuoni.blogspot.it/

Monday, July 22, 2013

Lo sciamano che cantava alla luna

In una sera dominata da una splendida (quasi) luna piena, un caldo afoso e milioni di zanzare, alcuni coraggiosi si danno appuntamento all’Ippodromo di Milano, sede per tutto il mese di luglio del festival City Sound, una delle più ricche rassegne musicali dell’estate milanese orami da qualche anno. Solo per fare qualche nome, di qui quest’anno sono passati e passeranno National, Deep Purple, Blur, Earth Wind & Fire e Santana. Questa sera però c’è lo sciamano del lago di Como: il pubblico non è quello delle grandi occasioni. I milanesi si sa il sabato di luglio se possono lo passano fuori porta, al fresco. Ma forse anche la poco oculata gestione di una estate musicale fatta di dozzine di eventi che si sovrappongono pure uno all’altro (chi scrive deve rinunciare a Patti Smith a pochi metri da casa sua per correre fino a Lucca per non perdersi Neil Young) con la crisi economica che incombe, gioca sui numeri di spettatori. Sarebbe l’ora che gli enti pubblici spendessero due lire per sovvenzionare i concerti: meglio la musica che l’abbruttimento delle movide spacca fegato e spacca cervello, no?
Davide Van De Sfroos non bada comunque al numero dei paganti e regala un concerto di formidabile intensità, due ore esatte di grande folk-rock che riesce anche quasi a scacciare le zanzare e a far sorridere la luna maestosa che ci osserva dall’alto.



In un contesto così, diversamente dalle esibizioni nei teatri più studiate e meno dirette, il cantautore sfodera tutta la sua originale carica emotiva, ricordandosi anche delle sue radici punk (Nona Lucia è dedicata ai Ramones che vengono pure citati a metà con il leggendario “hey ho let’s go!”) mentre la conclusiva La curiera termina in medley con London Calling dei Clash.

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Saturday, July 13, 2013

Springsteen & I


Solo per un giorno (il 22 luglio) e in contemporanea mondiale in 50 Paesi, 40 multisale del Circuito UCI proietteranno alle 20 e alle 22.30 il film documentario che ripercorre la carriera di Bruce Springsteen. All’UCI Bicocca prima dello spettacolo dele ore 20 il sottoscritto farà una breve presentazione. Da quello che sono riuscito a vedere il film è molto interessante, con parecchie immagini anche rare di Springsteen in concerto, da inizio carriera a oggi. Sembra divertente, e un degno modo per concludere una estate springsteeniana, quella del 2013, che rimarrà nella storia come la serie di concerti di Bruce Springsteen in Italia probabilmente più esaltanti di sempre.



Qualche nota informativa allora:

UCI Cinemas, in collaborazione con QMI, Virgin Radio, Rolling Stones, Coming Soon e The Space Extra, porta sul grande schermo il Boss del rock. Solo il 22 Luglio e in contemporanea mondiale in 50 paesi, 40 multisale del Circuito UCI proietteranno Springsteen & I, lo straordinario film documentario diretto da Baillie Walsh e prodotto da Ridley Scott che ripercorre la carriera musicale di Bruce Springsteen raccontata dai suoi fan e da performance inedite. «Questo film meraviglioso fornisce una visione unica e straordinaria dell'immenso feeling tra un artista e tutti coloro che sono così profondamente affezionati alla sua musica», Scott.
Le prevendite sono aperte. Il prezzo del biglietto intero è pari a 10 euro, mentre quello del ridotto è 8 euro.E ’ possibile acquistare i biglietti presso le multisale UCI, tramite internet, call center, App di UCI Cinemas per iPhone, iPod Touch e per iPad (scaricabile gratuitamente da App Store e da Android) e sulla Fan Page di UCI Cinemas tramite Michela, la prima live chat di Facebook che consente di prenotare il proprio posto nelle sale UCI Cinemas e invitare i propri amici Facebook. E’ possibile accedere a Michela cliccando sul seguente link:
http://www.facebook.com/ucicinemasitalia/app_204799699634809 .

Le 40 multisale UCI che proietteranno l’evento sono: UCI Alessandria, UCI Ancona, UCI Arezzo, UCI Bicocca (MI), UCI Meridiana Casalecchio di Reno (BO), UCI Cagliari, UCI Casoria (NA), UCI Campi Bisenzio (FI), UCI Catania, UCI Curno (BG), UCI Certosa (MI), UCI Fano (PU), UCI Firenze, UCI Gualtieri, UCI Lissone (MB), UCI Reggio Emilia, UCI Montano Lucino (CO), UCI Piacenza, UCI Molfetta (BA), UCI Fiume Veneto (PN), UCI Pioltello (MI), UCI MilanoFiori (MI), UCI Verona, UCI Ferrara, UCI Fiumara (GE), UCI Roma Marconi, UCI Palermo, UCI Mestre, UCI Venezia Marcon, UCI Messina, UCI RomaEst (RM), UCI Torino Lingotto, UCI Moncalieri (TO), UCI Parco Leonardo (RM), UCI Porta di Roma (RM), UCI Porto Sant’Elpidio (FM), UCI Perugia, UCI Romagna Savignano sul Rubicone, UCI Senigallia (AN), UCI Sinalunga.
Previsti due spettacoli: uno alle 20 e l’altro alle 22:30. All’UCI Bicocca, la proiezione delle 20 sarà anticipata da un’introduzione del giornalista Paolo Vites, redattore del quotidiano online Il Sussidiario.net che ha collaborato con le maggiori testate musicali italiane (Mucchio Selvaggio, Buscadero), con l’americana “On The Tracks”, con diversi quotidiani nazionali ed è stato redattore del mensile musicale “JAM – Viaggio nella musica” dall’ottobre 1996 al luglio 2009. Vites è anche autore di monografie dedicate a Bob Dylan, Patti Smith, Clash e Cat Stevens e collaborato alle enciclopedie rock di Arcana, Editori Riuniti e Baldini e Castoldi.

Wednesday, July 10, 2013

There is a crack. In everything

Il ragazzino prese uno dei papillon del padre morto, lo slegò e vi nascose all'interno un piccolo foglio di carta sui cui aveva scritto qualcosa. Il giorno seguente, con una piccola cerimonia intima, scavò una buca e vi mise dentro il papillon nel giardino sotto la neve. "Da allora Leonard (Cohen) ha descritto quel foglio come il suo primo scritto. Ha anche detto di non ricordare cosa vi fosse scritto e di aver 'scavato nel giardino per anni alla sua ricerca. Chissà, forse io non faccio altro che cercare quell'appunto'". Comincia probabilmente così la carriera del più grande poeta canadese del novecento e uno dei più grandi al mondo, Leonard Cohen, come lo racconta la bellissima biografia scritta dalla giornalista Sylvie Simmons e da poco pubblicata anche in Italia grazie all'interessamento della casa editrice Caissa Italia (tradotta ottimamente da Yuri Garrett), "I'm your man, vita di Leonard Cohen" - 478 pagine, 25 euro. La Simmons è una delle più quotate scrittrici rock e ha potuto godere della collaborazione dello stesso Cohen.



Quella ricerca inconscia di cosa fosse scritto in quel bigliettino, quando a 9 anni di età Cohen perde il padre, è quello che in fondo tutti facciamo, poeti o no: sono quegli anni, quelli dell'infanzia e dell'adolescenza, che ci segnano per il resto della vita, nel bene e nel male. La vita è solo portare a compimento, se ci si riesce naturalmente, quello che la vita stessa ti mette davanti. Per Cohen questo è successo con la parola, prima scritta poi cantata, ricercando quel bigliettino scritto per il padre morto.

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Friday, July 05, 2013

The Most Rock 'n' Roll Rock 'n' Roll Band in the World

Qualcuno ha detto che il 1973 è stato l'ultimo grande anno del rock, poi basta. Gli anni in cui la musica rock sarebbe morta - the day that music died - sono moltissimi, grazie a Dio però risorge sempre. I Black Crowes come immagine (allampanati hippie dai lunghi capelli che sembrano usciti dalla foto di copertina del live "At Fillmore East" della Allman Brothers Band) e come proposta musicale sono probabilmente ibernati in quel 1973 reso celebre anche da uno dei più bei film sulla musica rock, "Almost famous/Quasi famosi". Sono una anomalia spazio-musicale. D'altro canto il cantante Chris Robinson è stato anche sposato con l'attrice Kathe Hudson, la protagonista di quel film là. Se qualcuno si chiede perché il 1973, è semplice: nel giro di un paio di anni sarebbero arrivati Bruce Springsteen e Patti Smith e poi anche il punk a spazzare via un certo modo di intendere il rock, imponendone un altro (che alla base è sempre lo stesso, comunque).

(Foto di Barbara Caserta)

I Black Crowes suonano quella e soltanto quella musica, quella che fa riferimento a gruppi come ABB appunto, e poi Faces, Stones, Traffic, Led Zeppelin, Humble Pie, tutte band che hanno dato il massimo dal punto di vista creativo entro e non oltre il 1973. I Corvi lo fanno con disinvoltura, freschezza, energia anche post grunge, visto che in fondo esordirono solo un anno prima di "Nevermind" dei Nirvana e qualcosa di quella carica hard rock ce l'hanno nel sangue. Lo fanno con il cuore puro, soprattutto: niente megalomanie assortite, solo l'amore indefesso per la "Musica". I sorrisi sul palco, le dita della mano che salutano con la "V" di pace & amore lo testimoniano.



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Wednesday, July 03, 2013

There is a light that never goes out

Che sarebbe stata una serata epica si era già capito durante il set di apertura di Johnny Marr, ex chitarrista degli Smiths, figura leggendaria del rock inglese degli ultimi trent'anni. In un bel concerto basato essenzialmente sulle canzoni del suo ultimo disco solista, infila infatti un paio di pezzi degli Smiths, tra cui There is a light that never goes out, con tanto di imitazione vocale del suo ex compagno Morissey. Marr la dedica con particolare vigore "a tutti quelli che sono qui stasera e a nessun altro": è un brano ancora oggi di una bellezza spettacolare, sia per la deliziosa melodia, sia per gli intrecci chitarristi da antologia sia per le liriche. Che invitano a "uscire fuori stanotte", a farci portare là dove c'è la gente e c'è la musica, senza mai più tornare a casa. Un inno condito del classico humour cinico britannico ("morire al tuo fianco sarebbe per me un privilegio"). Che la serata sarà decisamente epica ne avremo poi la conferma quando Marr si unirà ai National per tre o quattro pezzi tra cui una straboccante e cosmica Squalor Victoria. E' una serata per cuori spezzati, è una serata per gli ultimi romantici, quelli che quando le luci calano sulla città escono fuori per ritrovarsi nei luoghi della musica, per rinnovare la loro promessa, per sostenersi insieme, per sfuggire almeno qualche ora eisstenze al limite del sostenibile (pubblico giovanissimo, in gran parte universitari che è bello vedersi attorno così rapiti dalle buone vibrazioni) E mai accoppiata fu più perfetta per una serata del genere, Johnny Marr e il gruppo più intensamente romantico d'America.






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Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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