Tuesday, February 26, 2013

The Mixtape Fanclub

In puro stile High Fidelity/Alta fedeltà, l'amico Lorenzo Barbieri dopo mesi - anni? - di duro lavoro ha coronato il sogno di metter su un sito davvero bello. Mi pregio di farne parte, su sua insistenza, e lo ringrazio.

Cassettine, chi se le ricorda? Quante notti passate a fare la compilation perfetta: per andare in macchina, per fare colpo sulla ragazzina (dai capelli rossi?), per puro divertimento. Grazie a Lorenzo, le cassettine tornano a vivere.

Questo il mio contributo, per adesso e chissà fino a quando.

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Se avete il lovesick blues o se avete un cheatin' heart, magari vi sentite alone and forsaken, o se viaggiate su una lost highway, potete tirarvi su con la mia compilation Hank Williams, molto alta fedeltà. Perché nessuno esce vivo da questo mondo

The day after




Friday, February 22, 2013

From Grafton Street to the stars

La sfilata dei musicisti che scende le scale dai camerini per arrivare al palco dei Lime Light di Milano sembra non finire mai: cinque, sette, otto, ma quanti sono? Alla fine oltre al cantante se ne conteranno undici: tre archi, tre fiati, basso, batteria, chitarra, tastiere, violino solista. E lui, Glen Hansard, il più straordinario performer dell'ultima generazione. Va in scena la nuova Caledonia Soul Orchestra, quella di cui detiene il copyright originale il Van Morrison della prima metà degli anni settanta, quello più appassionante e trascinante di sempre. Glen Hansard ne è l'erede, ma non solo. Irish soul certamente, ma anche rock, funk, folk, canzone d'autore. Un caleidoscopio di suoni e immagini che questo cantautore, nato come busker di strada, assunto alla celebrità grazie a un film meraviglioso, Once, ma già conosciuto in un altro film altrettanto bello, The Commitments, sa mettere in scena come nessun altro.



La filosofia è la stessa di un Bruce Springsteen: suonare concedendosi senza riserve al suo pubblico, anche per tre ore buone come fatto a Milano. E' così che a un certo punto, lasciati dietro di sé i microfoni e le amplificazioni, si mette a suonare in piedi in mezzo al pubblico, ed è così che a fine serata guida la sua orchestra in mezzo al pubblico, scendendo dal palco e piazzandosi a suonare in mezzo alla sala.

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Wednesday, February 20, 2013

Let love in

"Alla fine, cosa ne sappiamo della morte, e chi in realtà se ne frega?"

Al momento, la cosa che mi piace di più del nuovo disco di Nick Cave è la copertina. Sono io che ho lasciato la musica o è la musica che ha lasciato me? come NON diceva il grande TS Eliot. Ma lo dico io, in questo momento di aridità che mi ha assalito insieme a un raffreddore cosmico. Non è brutto il nuovo disco di Nick Cave, anzi è sicuramente la cosa migliore che ha fatto dai tempi di No more shall we part, come dice bene questa recensione di chi evidentemente riesce ancora a trovare stimoli nella musica.

Mi piace però Higgs Boson Blues perché è On the Beach, il pezzo capolavoro di Neil Young nota per nota, anche la chitarra ha lo stesso registro sonico di quella e gli stessi accordi. Mi piace Jubilee Street perché riporta in musica le atmosfere di quel bellissimo libro che fu Bunny Munro, libro che quasi nessuno ha capito. Ma mi piace la copertina: mi piace quella luce abbagliante che vuole cancellare la fisicità degli oggetti e delle persone, tranne Cave che sta un po’ lì nella sua configurazione classica, un po’ Lucifero che ti invita al peccato, un po’ Angelo salvatore che ti indica la strada verso la salvezza. E il corpo di lei, la moglie di Cave, nudo che si vergogna, quasi un’anima che ha lasciato il corpo morto e che non ha il coraggio di trovare una via d’uscita. Così, così questa luce abbagliante che vorrei cancellasse tutta la realtà come la conosciamo noi, in attesa che le nuove canzoni di Nick Cave riescano a sorprendermi, ho ripensato a quelle volte che l’ho visto in concerto.

La prima volta fu nella primavera del 1998, era da poco uscito The Boatman’s Call, il suo disco che io reputo il più bello di tutti e che finalmente aveva spalancato il mio mondo a quello di Nick Cave, dopo che mi ero sempre tenuto a debita distanza da lui. Suonava al Rolling Stone di Milano, ricordo l’eccitazione che si respirava fuori del locale, un’ansia come solo i grandi eventi che segnano la storia della musica sanno comunicare. E poi dentro, lui che mi tolse il fiato e mi lasciò a spargere sangue per tutto il concerto, sorta di Jim Morrison resuscitato. Pauroso, devastante, ma soprattutto epico, con la miglior formazione possibile dei Bad Seeds, a intonare un duetto con Blixa Bargeld che prendeva il posto di Kylie Minogue in una sorta di dichiarazione di amore maschio fra i due.



La seconda volta fu al Palalido, credo che fosse il tour di No more shall we part (o forse Nocturama?), ma il luogo e l’acustica erano così di merda che non ricordo praticamente nulla di quel concerto. O ero io che ero lì ma in realtà non ero presente.

Vennero poi i concerti annunciati come Nick Cave solo, ma non lo era, solo, ma in formazione ridotta, come quello di Modena dove per tutta la serata un tizio nelle prime file chiedeva a Cave di cantare non so quale pezzo. Senza perdere un grammo di carisma, Cave a un certo punto si avvicinò al bordo del palco e volle parlare con il tizio. Come ti chiami? Antonio. Per il resto della sera un divertito Cave continuò a dedicare pezzi ad “Antonio”. L’apoteosi fu in un teatro solitamente dedito alla musica classica di Milano, dove l’intensità sovrannaturale di Cave si produsse in una serata di pazzia e magia purissime. The mercy seat fu talmente potente, che davvero ti sentivi in una camera mortuaria a guardare i cadaveri di tutti quelli che sono morti ingiustamente - perché la morte è sempre ingiusta - e la tentazione fu quella di scappare a gambe levate da quel posto. E dove dimostrò che si può fare un concerto rock senza avere una chitarra elettrica sul palco.

Per il tour di Abbatoir Blues si esibì all’Alcatraz, con una formazione sontuosa, con tanto di coriste. E fu eccezionale. Come sempre il climax arriva con Staggerlee, dove un sapiente gioco di luci proietta l’ombra di Cave sui muri del locale a dare l’impressione della titanica lotta fra demonio e angelo salvatore. Che poi è lui, tutte e due. Durante una formidabile God is in the house, trascinata in dolorosa solitudine per tutta l’esecuzione, nel momento in cui il cantante sussurra senza sosta “alleluia” qualcuno da in mezzo al pubblico gli gridò qualcosa. Lui, seppur preso dalla sua interpretazione, scoppiò a ridere. Pochi hanno mai capito quanta ironia ci sia nelle esibizioni – e nelle canzoni – di questo genio.

Ma il concerto più travolgente che gli vidi fare fu nel luglio 2009 a Torino, un concerto gratuito. Pensavo che le migliaia di persone mi avrebbero distratto, invece mi buttai nelle prime file per una buona metà abbondante dello show e fui trascinato dall’inferno al paradiso. La violenza che un concerto dei Bad Seeds sa esprimere fa impallidire qualunque Sex Pistols. Infatti dovetti allontanarmi dopo un po’, e così gli altri che erano con me. Erano sparsi qua e là nel grande prato, in estasi, da soli, seduti a contemplare la mano di Dio che disegnava ardite acrobazie dal palcoscenico al cielo. Inclusa la luna piena a cui Cave dedicò Love Letter, “that big fucking yellow moon”.



Pochi mesi dopo mi ritrovai al teatro Dal Verme di Milano, seduto in seconda fila a tre, quattro metri da lui, che portava in scena la morte di Bunny Munro. Fu doloroso e affascinante, vederlo muoversi ancora una volta come il re lucertola a pochi passi da me. Sei tu quella che ho aspettato fino a oggi? No, ma quella sera ogni cosa si era compiuta. Non me ne andai in pace, me ne andai piegato in due dal peso del mio dolore. Avevo capito però una cosa: "Alla fine, cosa ne sappiamo della morte, e chi in realtà se ne frega?".

(Per Claudia)

Tuesday, February 19, 2013

Election Day

Non votare, domenica 24 e lunedì 25 febbraio, non è "voto di protesta. Non è astensionismo, è anzi l'unico autentico voto dignitoso, umano e moralmente accettabile. In un momento storico come questo dove mai in precedenza in Italia si è toccata l'inconsistenza di qualunque proposta politica per di più affogata in disgustosi intrecci finanziari e di mal costume acclarato, l'inganno come disprezzo nei confronti del popolo, la riproposizione di figure - a destra come a sinistra - moralmente e politicamente inaccettabili per i loro precedenti fallimenti politici e morali, il proporsi di personaggi fintamente alternativi alla politica stessa ma che sollevano precedenti incontestabilmente e tragicamente similari di disgraziate avventure dittatoriali (Benito Mussolini): l'Italia oggi non ha a disposizione alcuna scelta autenticamente democratica e di valore a cui fare riferimento.



Basta per dimostrare questo lo sbandierato voto disgiunto che rappresentanti di diverse forze politiche proclamano di voler praticare e invitano a praticare: è come dire, io non credo nello stesso partito di cui faccio parte, io vi invito a votare per il puro tornaconto facendo a meno di qualunque credo morale e politico di cui potreste avere ancora una parvenza dentro di voi. Io vi invito a non credere alla politica e al partito che rappresento, io vi invito a essere immorali, io vi invito a credere che in politica l'unica cosa che conta è vincere, avere un ideale non conta nulla. Praticando il voto disgiunto, io vi invito a uccidere la politica, ogni ideale, ogni parvenza di democrazia.

A tanto siamo giunti: non andare a votare vuol dire invitare tutti gli attuali candidati alla leadership e al Parlamento a togliersi di torno immediatamente. Vuol dire sfiduciarli. Vuol dire dire a me stesso: io sono un uomo libero e ho ancora degli ideali e vi disprezzo.

(chi scrive ha sempre votato a ogni consultazione elettorale dalla primavera del 1981 all'ultima consultazione elettorale, trenta anni di voto, e per la prima volta nella sua vita rifiuta di farlo)

Friday, February 15, 2013

La ricetta (il corpo)

“If you get hungry enough, they say, you start eating your own heart.”
— Margaret Atwood


Lui si faceva la sua ricetta preferita, anche l'unica che conosceva, ma era tutta farina del suo sacco. Altro che master chef. L'aveva ideata durante i suoi anni da single non si ricordava più come mai gli era venuta in mente. Pentolino; mezzo dado (Knorr); un pezzo di burro; cipolla e soffriggere. Quindi versare un intero barattolo di lenticchie o fagiolini cannellini a scelta e dopo aver rimescolato per un po', una scatola di tonno. Probabilmente era il contrasto tra burro e olio la formula vincente. Ma anche il dado e la lenticchia o il fagiolo e la cipolla facevano il loro figurone. Ricetta perfetta, meglio di aragoste e ostriche. Con quel piatto avrebbe potuto nutrirsi tutta la vita, l'unico problema è il relativo gonfiore di pancia che ne risulta.

Mentre mescolava, continuava a pensare a una frase: quando si muore, tutta la vita ci passa davanti in pochi secondi. Cazzata, pensava. Non che lo potesse sapere ovviamente: non era morto mai, sino ad oggi. Ma da quando aveva raggiunto una certa età continuava a rivedere di continuo la sua vita. Un film continuo, fatto di immagini senza sosta: questo, quello e quell'altro ancora. Stancante e nauseante a dire il vero, rivedere sempre le stesse cose, in ogni particolare e poi non è che fosse stata questo splendore di vita, la sua. Forse stava morendo? Una morte dilatata per giorni e giorni e settimane e mesi? Bah. Spense il fuoco, tirò fuori una bottiglia di rosso e si preparò a berla tutta con il suo piatto preferito fumante.



Un'altra cosa che gli capitava spesso di recente dopo anni che non gli era più successa e che da ragazzino invece gli succedeva spesso, era quella sensazione orribile di sentirsi dentro il proprio corpo e volerne uscire fuori. Del tipo: io guardo attraverso i miei occhi ma se non mi metto davanti a uno specchio la mia faccia non la vedo mai. Un fastidio insopportabile: da piccolo questa cosa gli procurava crisi di nervi e la voglia di strapparsi gli occhi dalle orbite. Cazzo, un corpo che viaggia per conto suo, una faccia - da pirla - che tutti possono vedere in qualunque istante ma che a me è negato vedere. Chi c'è dentro il mio corpo? Un altro? Voglio vedermi mentre vivo, non sopporto di essere chiuso dentro questo corpo. Non è umano. Sono intrappolato dentro un corpo, ma io non sono questo corpo. Qualcuno vive dentro di me e viene guardato. Insopportabile sensazione.

Quella sera la sua ricetta era particolarmente gustosa, o forse era il vino che era particolarmente buono. Però il vino quasi non riusciva più a berlo: quanto vino si può bere in una vita? Era come un veleno che scendeva fastidioso. Ma di quanti veleni era pieno ormai il suo corpo? Tutti quelli che in una vita un corpo può accumulare. Pensava che avrebbe potuto rimanere in casa per il resto dei suoi giorni, fino a quando aveva a disposizione dado, cipolla, burro, tonno e lenticchie. Tanto che altro c'è da fare ancora in questa vita oltre ad accumulare veleni nel corpo? Arrivi a un momento che hai fatto e visto tutto quello che devi fare e vedere in una vita. Inutile raccontarsi balle e aspettare ancora qualcosa che di fatto nella sua vita non era arrivato mai. Come non arriva nella vita di nessuno peraltro. Lavori per vivere e vivi per lavorare. Una schiavitù di cui ne aveva abbastanza. Ingoi tutti i giorni le menzogne del prossimo che nessuno ha intenzione di dare via un briciolo di sincerità e verità. Anzi, te la spacciano come tale ma ti stanno imbrogliando di sana pianta. Peccato non essersene accorto prima, ma se anche così fosse stato cosa avrebbe potuto farci? Nulla, solo soffrirne di più. Il peggio pensava erano state le menzogne vendute a fin di bene. Quante. Ognuno si giustificava così. Il fine giustifica i mezzi.

Accese per qualche minuto il televisore. Lo spense quasi subito. Prese piatti e pentolino e bicchiere e li lavò velocemente nel lavandino. Poi spense le luci della cucina e della piccola sala e andò in camera. Buttato sul letto, viveva i momenti migliori della sua giornata, il sonno che era morte e la morte nel sonno, con l'aiuto di una pillola naturalmente. Dall'appartamento di sopra arrivavano i soliti rumori.

Sunday, February 10, 2013

The boys are back in town

It's the end of the night, and we ain't goin' home (the boys are back in town and they are lookin' for trouble...)

Ci avete mai fatto caso? Le mode, gli stili, nella musica rock, appaiono e scompaiono, si accendono e si bruciano. Poi, negli ultimi e più anni, dal grunge in poi, è stato tutto un riprendere e scopiazzare quanto già visto: le jam band, i neo hippie, i nuovi Dylan e i nuovi songwriter, i nuovi questo e quell'altro. C'è una costante però, un genere che continua a riproporsi all'infinito, sparendo per qualche tempo e poi ritornando alla grande, ed è il punk. Probabilmente perché non è vero che il punk è nato nel 1976 con i Ramones - per qualcuno - o con i Sex Pistols - per altri. C'è sempre stato,: Iggy Pop, MC5 e anche Dylan e Elvis fondamentalmente erano dei punk. E' il cuore e l'essenza stessa della musica rock, perché la musica rock sono due accordi e un ragazzino che urla la sua rabbia nel garage di casa. E' ovvio allora che non morirà davvero mai, e che ogni volta che c'è una punk band nuova il rock'n'roll rinasce più vivo e bello che mai. Aveva ragione Joe Strummer quando mi diceva: sono il protettore di ogni gruppo punk del mondo, guai a parlare male dei gruppi punk davanti a me.




Mi avevano venduto i Dropkick Murphys come l'ennesima versione aggiornata dei Pogues, irish rock o irish punk che dir si voglia. Sono andato a vederli con supponenza del tipo, che palle un'altra irish band, tanto come i Pogues non ci sarà mai nessun altro. Invece i Murphys sono 99% punk e 1% irish. E' stato un concerto splendido, esaltante e divertente: per una volta essere il più vecchio a un concerto non mi ha fatto sentire a disagio. Ero lì, a vedere un pubblico tracimante ed entusiasmante lui stesso, come quelli sul palco, perché il punk capisci che esiste davvero quando tra musicisti e spettatori non c'è alcuna differenza, nessuna star, nessun trip di ego. Sono andato a vedere il mistero del rock'n'roll rinnovarsi e rinascere ancora una volta. E come Joe Strummer posso dire: non toccate i gruppi punk, sono loro che ci salvano il culo. E la domanda all'uscita era una sola: ci sarà un motivo perché in Italia non c'è mai stato un autentico gruppo punk, e non c'è neanche oggi.

(In quel gran casino sul palco c'era anche mia figlia. Cose che ti rendono a proud punk daddy)



Tuesday, February 05, 2013

Bob Dylan, the Milano Series

Devo dire che sapere che Bob Dylan era a dieci minuti a piedi dal mio ufficio è stata una sensazione abbastanza orgasmica. Oddio non orgasmica come quella che il sindaco di Milano sembra trapelare dalle foto, ma insomma. Questa volta poi ci avevo davvero creduto. Avevo i miei informatori, gli insider giusti, che da settimane me lo dicevano: ci sarà ci sarà. Pare proprio che ci sarà. Ma quando? Alla conferenza stampa.


Ecco. Per uno che era stato lasciato fuori dagli unici due eventi promozionali che Dylan ha mai fatto in Europa da quando esercito la onesta professione, e cioè la conferenza stampa di presentazione di Time out of mind a Londra nel 1997 e quella di Love and theft a Roma (! Roma cazzo Roma!, ma io sono un giornalista mica di serie A, forse della Prima divisione, non sono come il mio amico Wilko) finalmente eccomi invitato a una conferenza stampa dove "lui" ci sarà. Mi sono anche emozionato, ansiolizzato al punto giusto che mentre salivo le scale di Palazzo Reale pensavo di crollare giù di sotto. E non mi ero neanche drogato. Che volete farci, dentro nonostante la veneranda età sono ancora un bambino.




Ovviamente alla conferenza stampa non si è presentato. Ma altri insider mi dicevano che si sarebbe materializzato al pomeriggio. Non ci sono andato e poi ci voleva l'invito e a me non invita mai - o quasi - nessuno. Comunque sono contento per il sindaco, sembra genuinamente eccitato come lo sarei stato io e poi vi immaginate se ci fosse stata la Moratti? No non è il caso.
La mostra poi non è male, Dylan è migliorato parecchio rispetto alle precedenti che avevo visto a Londra e per ognuno di questi quadri c'è una canzone giusta. Quelle di Oh Mercy naturalmente.


Comunque non demordo e anche se ieri notte ero un po' rintristito e incazzato e ammosciato e sfanculato, sono convinto che ci sarà prima o poi la conferenza stampa dove apriranno i cancelli anche per me con apposito invito, e ci sarà "lui" ad aspettarmi. I cancelli del paradiso naturalmente.

Intanto mi sono fatto fotoshoppare: proposta shock, il prossimo sindaco di Milano.



Siccome questa è un po' una "series of dreams in Milano" e dunque sembra destinata a durare ancora, ecco un aggiornamento dell'ultima ora. Bob Dylan si è materializzato ieri sera al Castello Sforzesco dove ha visitato la Pietà Rondanini di Michelangelo. Se il poeta della bellezza incontra la Bellezza... Adesso lo aspettiamo in tribuna a San Siro, ovviamente per una partita dell'Inter




Friday, February 01, 2013

Pino Scotto, Maria De Filippi e cosa rimane del cuore dei giovani

Pino Scotto è un personaggio cult della televisione via satellite. Da anni tiene un programma su Rock Tv che potrebbe essere definito trash per il linguaggio che usa, ma in fondo Pino è un napoletano verace, impulsivo e istintivo, animo da metallaro doc. Musicista e cantante con una lunga carriera alle spalle (ha superato i 60 di età ma mantiene una invidiabile chioma stile indiano comanche) è sempre stato lontano da qualunque carrozzone commerciale, con una fedeltà alla sua musica davvero invidiabile e tutt'oggi si esibisce con dignità in ogni localino che lo ospita, dalla provincia di Trasimeno fino a Pizzo Calabro.
Un programma, il suo, dove manda in onda video dei suoi gruppi e artisti preferiti, con competenza di scelte (i grandi dell'hard rock soprattutto, ma non solo) e poi risponde alle domande dei fan. E' proprio questo spazio che è diventato di culto in televisione ma anche su youtube dove i suoi interventi vengono ripresi e visti da migliaia di persone. Pino Scotto usa certamente un linguaggio volgare, infarcito come è di parolacce e insulti assortiti, ma neanche tanto diverso da quello che può usare un pizzaiolo o un parcheggiatore della sua città quando si arrabbiano. Perché Pino Scotto ce l'ha a morte con talent show, reality show, festival di Sanremo e quant'altro, con tutto quello che secondo lui uccide la passione per la musica. E' divertente fino al parossismo, ma ogni tanto però gli scappano anche perle di saggezza che dimostrano una capacità di giudizio che pochi oggi hanno, in televisione o nella musica. "Il rock è morto il giorno in cui quelle m… del business hanno capito la fragilità dei giovani", ha detto ad esempio qualche sera fa, aggiungendo epiteti coloriti su programmi come quelli della De Filippi, esperta di talent show.



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Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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