Monday, March 29, 2010

Hey hey my my folk music will never die

Back in the old folky days
The air was magic when we played.
The riverboat was rockin'
in the rain
Midnight was the time
for the raid

(Ambulance Blues, Neil Young)



Leggo nei commenti a un post su (B)Ryan Adams, sul blog dell'amico Pratelli, "che cos'altro c'è in giro oggigiorno", musicalmente parlando. Un sacco di roba dico io. E lo dico io che dico da anni che di musica buona non c'è ne è più in giro. Il fatto è che ho avuto un flash. Alla London Bush Hall ho visto The Tallest Man on Earth e "ho visto la luce". Da Londra sono anche tornato con due dischi dei Midlake, The Trails of Van Occupanther e il nuovo The Courage of Others e da allora non ascolto altro. Che meraviglia. Grande & bianca. E così ho ritrovato me stesso. I'm back to the old folky days. Ho capito perché mi sono lamentato per anni. Che vado scrivendo che il rock'n'roll è come il calcio. Morti entrambi. Il che può esser vero nella seconda ipotesi, José Mourinho a parte che è l'allenatore più rock'n'roll che la storia ricordi, ma non lo è nella prima. Mi sono ricordato di cosa ascoltavo a manetta quand'ero ragazzino. Folksongs. Folk music. Storytellers. Da Woody Guthrie in giù. Certe mattine "saltavamo" la scuola, prendevamo il treno da Chiavari fino a Parma e ci imbucavamo in un negozietto di dischi a far scorta di vinili. Voce e chitarra acustica e tanto bastava.

Don't get me wrong. Ho bisogno della mia dose di rock'n'roll. Più bastardo è, suonato male e violento è, meglio. Datemi un disco dei Brian Jonestown Massacre al giorno e starò bene. Uno dei concerti a cui ho più goduto in vita mia furono i Sonic Youth, al Rolling Stone di Milano, 1991. Con un mio amico incazzato a morte perché lo avevo portato a sentire del "rumore" e non della musica. Feedback rules. Però poi bisogna sempre tornare alle "canzoni". Il mio problema con il rock'n'roll degli ultimi vent'anni è che nessuno o quasi sa scrivere canzoni. Bravi musicisti, yes, che suonano da dio, riempiono i Palacosi di Milano, sfornano dischi ultra cooltrendy. Ma le canzoni.

Folk music oggi è un termine relativo. Contaminazione è meglio. Folk music oggi è un'attitudine. Del cuore e dello spirito. Da mesi ormai sto provando quello che diceva Greil Marcus del periodo 1967-1969 e 1977-1979, quando cioè avevi paura di entrare in un negozio di dischi perché non sapevi quanti soldi avresti speso. Folk music oggi è contaminata e sfocia allegramente nelle mille strade del rock'n'roll, soprattutto punk, noise, alternative, perché è da lì che arrivano - giustamente - le ultime generazioni. Solo che poi fanno il percorso inverso e riscoprono le canzoni. La nuda voce. La voce che spacca. O le armonie di tante voci, come quelle cosmiche di gruppi come Midlake, Great Lake Swimmers, Fleet Foxes. La musica della gente, the folk. Storie di vita quotidiana. Storie di come è dura farcela un altro giorno. Storie gotiche di oscuri presagi che solo anime elette (o particolarmente sfigate) sanno leggere nella realtà che ci circonda. Storie di volti occhi bocche capelli. Che Internet non saprà raccontare mai. Storie di cuori che anelano all'infinito. My only witness is the sky. Struggimento e melodie. Autentiche melodie perse nella notte dei tempi che ritrovano una strada in questa era senza padri né madri. Roba già sentita, dice qualcuno. Certo. Come la vita. Che è sempre la stessa, da quando il primo uomo sbucò sulla terra. E' così che deve essere. Folk songs are typically about a community of people, and the issues they feel are important to them. Ecco. Sono le canzoni di una comunità, di un popolo. Tutto quello che oggi non esiste più. Il musicista rock è l'espressione di una drammatica solitudine (Bob Dylan anyone? "L'unico posto in cui riesco a essere solo con me stesso è il palcoscenico" ha detto una volta) che tenta di comunicarsi agli altri, o nella maggior parte dei casi di ritirarsi davanti agli altri (è l'impressione che mi ha sempre fatto un Mick Jagger ad esempio). I musicisti folk, e intendo anche i folkers contemporanei come quelli che cito dopo, rappresentano sul palco un'ideale estesnione del pubblico. Non ci sono barriere. E' la rappresentazione di una unità perduta, che viene magicamente rinnovata. In ambito rock, gli unici validi paragoni che mi vengono in mente in questo momento sono i Wilco e Patti Smith, non a caso artisti che hanno detto più volte che fare musica per loro è come essere in una chiesa. La chiesa del rock.

"Che cos'altro c'è in giro oggigiorno". Butto giù qualche nome, ma proprio qualcuno soltanto. Dischi di cui oggi non saprei fare a meno. Che vanno dalla chitarra acustica e una voce - la voce - e basta fino a sfociare nel rock più spesso. Ma sempre folk music è. Fleet Foxes, Midlake, Great Lake Swimmers, gli O'Death, i Felice Brothers, Monsters of Folk, Swell Season, Megafaun, Shearwater, Decemberists, The Avett Brothers, The Cave Singers, Ravenna Woods, Dave Rawlings Machine, Mumford & Sons, Lost in the Woods, The Snake The Cross The Crown, Bon Iver, Josh Ritter, Barzin, Tallest Man, The Rodeo.

Oh God, ce ne sono molti altri di più in giro. Sì, questa è proprio una bella stagione. C'è un sacco di grande musica là fuori, ma non aspettatevi che ve la consegnino a casa. Dovete scoprirla da soli. Andarla a cercare. Che lo spirito di Harry Smith sia con voi.


The Avett Brothers

Ps: per la cronaca. Neil Young ha annunciato un tour negli States in coppia con Bert Jansch, lo straordinario folksinger inglese che tanto influenzò generazioni di sognwriters di ogni era, Young compreso. Che a Jansch si ispirò per Ambulance Blues. Back to the old foky days.. innit?

Friday, March 26, 2010

Time out of mind

I'm not sure where this river goes
but we have no choice but to follow

(Midlake, It Cover The Hillsides)

Cerco sempre di tornare indietro a un qualche posto immaginario. La mia vita è stata tutta un lungo desiderio. Quando noi si era nati al tempo. Ma non c'è tempo per pensare. Non c'è tempo. Non si può perdere tempo.

Stasera vorrei spaccare gli orologi, però il tempo non è molto ed è dal tempo che si dipende. Ma se il domani non fosse lontano nel tempo.



E tutto nella vita diventa niente, è destinato a diventar niente, perché ciò che abbiamo vissuto nel passato, di ciò che abbiamo vissuto fino a un'ora fa, fino a cinque minuti fa, non esiste più niente di formato, di costruito non esiste più niente. Tutto si corrompe, tutte le cose è come se corressero via l'una dall'altra. Questo è tragico, ma la vita non è tragica, la vita è dramma: il tempo non ci appartiene, il tempo ci è dato.

"Il mio cuore è nelle Highlands allo sbocciare del giorno" pensò. "Oltre le colline e molto lontano. C'è un modo per arrivarci e un giorno lo troverò. Ma nella mia mente sono già lì e questo è abbastanza per adesso. Se solo potessi portare indietro l'orologio al tempo in cui lei e Dio nacquero".

Stumblin' onto the heart of Saturday night


Tuesday, March 23, 2010

Photographs & memories # 2



Che hai fatto della tua vita, ragazza? Ricordi ancora questo sguardo? Sapevi che stava sucedendo quella sera, in quella cantina puzzolente? Hai mai più incrociato il suo sguardo? Dove finisce il tempo, e dove gli sguardi.

Che ne hai fatto della tua vita, ragazza?

Friday, March 19, 2010

Rock'n'Roll is here to stay

Won’t you let me walk you home from school
Won’t you let me meet you at the pool
Maybe Friday I can
get tickets for the dance
and I’ll take you
Won’t you tell your dad, “Get off my back”
Tell him what we said ‘bout ‘Paint It Black’
Rock ‘n Roll is here to stay
Come inside where it’s okay
And I’ll shake you.
Won’t you tell me what you’re thinking of
Would you be an outlaw for my love
If it’s so, well, let me know
If it’s “no”, well, I can go
I won’t make you

(Thirteen, Big Star)



"The great Alex Chilton is gone — folk troubadour, blues shouter, master singer, songwriter and guitarist. Someone should write a tune about him. Then again, nah, that would be impossible. Or just plain stupid"
(Paul Westerberg)

Sono stato abbastanza fortunato da vederlo, almeno una volta, seppur per una sola canzone. Alex Chilton era parte di quel gran bel cast (Marianne Faithfull, Beth Orton, Jarvis Cocker, Badly Drawn Boy, Russel Mael degli Sparks, Peter Murphy, Robyn Hitchcock e i Residents) che tre anni fa, nell'orrida cornice della Fiera di Rho a Milano, pagò tributo a Sgt Peppers dei Beatles nel quarantennale della sua pubblicazione. Non fu un gran concerto, a parte la divina Beth - ma io sono di parte - e anche Alex Chilton fu appena passabile, nel tentativo di far sua Fixing a Hole.
Che è un titolo, adesso che Alex Chilton se n'è andato, stroncato due giorni fa da un infarto a New Orleans dove viveva, inquietante e indicativo. Erano anni che il geniale leader dei Box Tops e poi degli straordinari Big Star si stava preparando un buco nero. Quello del suo mal di vivere. Adesso Alex Chilton è davvero quella "big star" che splende nel firmamento del rock'n'roll, dove ambiva di essere con la sua musica. Eh no, rock ‘n Roll is here to stay non l'ha inventato Neil Young.



Tre dischi, con quella band, di cui uno uscito praticamente a gruppo già disciolto. Tre dischi ai tempi passati inosservati, un po' come quelli dei Velvet Underground, ma che come i dischi dei Velvet Underground nei decenni a seguire hanno influenzato quasi ogni gruppo rock che è andato a formarsi. Basti pensare ai primi R.E.M. o ai Replacements o anche Jesus and Mary Chain.
I Big Star stessi erano un anello di congiunzione fra band gloriose come i Byrds, i Beatles e il rock delgi anni 70. Canzoni che ti fanno veramente chiedere "do you believe in magic?" e a cui puoi rispondere, mentre le ascolti, "hell yes, I believe in magic". Una magia che era tutta nella mente geniale di Alex Chilton, eppure dolcissima e incantevole. Una volta che ero a Londra, tempo fa, un amico mi fece ascoltare un disco solista di Chilton dei primi anni 80. Pazzia pura. Come se Syd Barrett si fosse rimesso a fare canzoni. Fixing a hole.

Adesso, se solo riuscissi a trovare dove sono i miei dischi dei Big Star. Li impilerei di corsa nel mio ipod che perché diavolo non l'ho fatto prima. Ma forse si stanno nascondendo apposta.

Addio Big Star. Come cantavi tu, thank you, friend. Keep shinin' in the bright blue sky. Now stop fixin' a hole.

Tuesday, March 16, 2010

Pictures of Lily


(Questa fto l'ho messa solo per l'amico Pratelli)

Brixton, zona sud di Londra, dove dicono è meglio non girare quando è buio. Brixton, dove Paul Simonon dei Clash è nato e cresciuto e sparava ai piccioni. Brixton, dove una bella fetta della gente è di colore, sembra Harlem, e dove anni fa scoppiavano incidenti e dimostrazioni di continuo. Brixton, che la chiamano la capitale non ufficiale della comunità afro-caraibica inglese.


(Aspettando Mary Poppins)

A Brixton c'ero già stato una decina di anni fa, alla leggendaria Brixton Academy, per vedere un bel concerto della bravissima Lauryn Hill. Eravamo gli unici tre bianchi in mezzo a un migliaio di neri, tre giornalisti nerd arrivati apposta dall'Italia. Dopo ci portarono a un after show party in un asilo (sì, un asilo: il disco di Lauryn si intitolava The Miseducation of Lauryn Hill, e pensarono di ambientare il tutto in un asilo...) poco distante. Anche lì tre sfigati bianchi in mezzo a ragazze meravigliose e neri che sembravano usciti da un gangsta video.

A Brixton può anche capitare di incontrare Mary Poppins. Perché Mary Poppins esiste davvero. E io ho sempre voluto conoscere Mary Poppins. Il film che più ho visto nella ma vita. Che adoro tutt'oggi. Che ogni domenica pomeriggio, se piove, dico alle mie figlie: "E' domenica. Piove. Che si fa?". E loro già sanno la risposta: "Guardiamo Mary Poppins!". Un capolavoro di film sull'inaspettato, l'imprevisto che squarcia l'esistenza banale quotidiana e fa guardare in alto, da dove arriva lei. Poi se ne va, ma sappiamo tutti che Mary Poppins tornerà. La Mary Poppins di Brixton però invece di volare fra le nuvole o a ballare sui tetti insieme agli spazzacamini ti porta in giro per Londra a bordo di una vespa nera. Il che fa molto mod, anzi mod rocker, meglio mocker come diceva John Lennon. E in ogni caso girare Londra in vespa è una figata pazzesca.


(Non ha più il fisico per girare in vespa)

E' così che ho potuto vedere posti che in tanti anni di fughe a Londra non avevo mai visto. Appena arrivato sabato sera il mio amico James mi ha portato al Windmill, un club di Brixton, a pochi metri da un pub abbandonato che, mi spiega James, è dove Joe Strummer suonò per la prima volta con gli 101ers, era pre-Clash. Il Windmill è un club garage totale, e questa sera ci suonano tre ragazzini, gli Spivs, che ovviamente visto che siamo a Brixton suonano come i Clash del 1977. Non sono male, e quando vai a vedere una band di sconosciuti a Londra ti viene sempre da pensare: fra un paio di anni potrebbero essere in cima a qualche classifica, the next big thing? Poi ho visto la tomba di William Blake. Un cimitero di fine Settecento completamente abbandonato nel cuore della city. Bizzarro, inquietante. Dove Patti Smith, dicono, ogni volta che è a Londra va a visitare, a trovare l'amico poeta. Ci sono potenti vibrazioni lì intorno. Un posto dove tornarci a notte fonda.


Oppure a bere un caffè alla Rough Trade, negozio di dischi straordinario della leggendaria etichetta indie, dove trovi vinili e cd rari a quintalate. Io ho preso i Midlake, e attenti che prossimamente saranno un tormentone di questo blog... Bravissimi. Per poi uscire fuori nel casino della notte londinese e al diavolo i caffè. C'è anche del buon vino rosso e quant'altro, per inseguire i fantasmi di Nick Drake e John Martyn. Mentre Mary Poppins aspetta sulla sua vespa nera.


Che mi ha portato, Mary, anche a omaggiare gli studi di Abbey Road che mica mi hanno fatto poi tanta impressione, sembra la palazzina del gommista vicino casa mia. E ovviamente ho dovuto attraversare le strisce pedonali.
Naturalmente sono andato anche a vedere la mostra dei dipinti di Bob Dylan.


Ero l'unico visitatore. Mi sono piaciuti un sacco. Visti in realtà sono molto meglio di quanto sembra dalle fotografie. Mi ha colpito l'uso gioioso dei colori. Il sentimento di serenità che traspare da ognuno di essi. La rappresentazione della realtà infinitesimale, ma costante. Il tutto nel particolare, sembra suggerire il vecchio Bob.


Ma a Londra ci sono andato principalmente per vedere un grande artista. Che in Italia a suonare non ci viene (ancora). A Londra invece ha riempito di giovani universitari la elegante London Bush Hall, tra candelabri e pareti decorate che sembrava di essere all'Ultimo Valzer. E' stato bravo? No, bravissimo.


The Tallest Man on Earth ha una presenza scenica da paura, si muove a lunghi passi felpati mentre non perde una battuta del suo fingerpicking indemoniato; si sposta in lungo e in largo per tutto il palco all'improvviso pestando i piedi con gran fracasso a sottolineare i passaggi ritmici; ogni tanto si blocca, si ferma a fissare quelli delle prime file sempre senza smettere di suonare, come a dire: non c'è palco non c'è the wall stasera, è la musica, la musica folk, che appartiene a me e a te.


La gente, cioè il folk. Che questa è folk music, magari anche indie, ma come suona questo ragazzone svedese. Accordature di chitarra impossibili che lui cambia con nonchalance mentre già sta attaccando il pezzo successivo. E canta. Canta, sì. Quella voce in punta di Bob Dylan e l'eco della solitudine di qualche foresta svedese da dove lui viene. Ascoltare una via l'altra The Wild Hunt, I Won't Be Found, Pistol Dreams, Where Do My Bluebird Fly, King of Spain (con deliziosa citazione dylaniana all'interno), A Lion's Heart, e insomma praticamente tutti e due i suoi dischi, Shallow Grave del 2008 e quello che uscirà fra un mese, The Wild Hunt, è magia pura.


In sala non vola una mosca mentre lui canta, l'estasi è totale. Potrebbe veramente salire sul palco, fra pochi minuti, Nick Drake. O il suo fantasma. Che alla London Bush Hall, piena di ragazzi universitari molto cool, abbiamo assistito a una testimonianza. Che certa musica non è moda, arriva, se ne va, sparisce da qualche parte, poi tornerà sempre. La musica della gente.


Folk music power. Svezia, Catskills Mountains, Londra. Non c'è barriera. E' un sentimento globale. Perché il cuore è un cuore ovunque e dovunque.


Fuori Mary Poppins aspetta impaziente. Ha lasciato la vespa a Brixton stasera, ma la notte di Londra è ancora lunga. I won't be found... almeno fino alle luci dell'alba. Quando mi scontrerò con la Battery dei Pink Floyd. Urgh. Risveglio da paura. La botta, come dice Mary.

(Tutte le foto di The Tallest Man on Earth sono state scattate alla London Bush Hall, la sera del 15 marzo 2010. Copyright by Pictures of Lily)

Thursday, March 11, 2010

San Patricio!


We are the San Patricios, a brave and gallant band. We’ve disappeared from history like footprints in the sand but our song is in the tumbleweeds and our love is in this land but if in the desert moonlight you see a ghostly band We are the men who died for freedom across the Rio Grande
(March to the Battle)

Per un talebano del rock come me, che se un disco non ha le chitarre elettriche, possibilmente in fuzz e ben distorte, non è un disco, innamorarsi di un cd che contiene antiche canzoni messicane, reels irlandesi, bolero cantati da donne di 92 anni, attori che recitano su marce militari... vuol dire che questo disco è proprio bello: Ry Cooder e i Chieftains insieme pagano tributo a un manipolo di coraggiosi, combattenti della libertà che pagarono con la vita la loro lotta globale e senza fine contro gli invasori, da questa e da quella parte dell'Atlantico. Cattolici con cattolici, irlandesi con messicani. Contro lo yankee invasore. In attesa di fare altrettanto contro l'invasore di Sua Maestà.

A questo link la recensione e la storia compelta di San Patricio:
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=71829

E qui Ry Cooder e Paddy Moloney che spiegano il loro San Patricio:

Monday, March 08, 2010

And the winner is

"Yeah. Well, you know. That's just like your opinion, man"
(The Dude)

Scusate, ho realizzato solo pochi minuti fa, vedendo una replica della serata degli Oscar. E' che lavorare a un quotidiano, per di più online, ha dei tempi a dir poco frenetici rispetto a quelli di un mensile a cui mi sono abituato per anni. Sommerso da tonnellate di news e aggiornamenti, avevo capito che l'immenso The Dude (come lo chiamiamo noi, che ci siamo anche fatti crescere una sorta di pizzo per cercare di assomigliargli, anche se lui i capelli ce li ha ancora tutti, e che citiamo The Big Lebowski come nostra Bibbia personale) - Jeff Bridges per tutti gli altri - aveva vinto l'Oscar come miglior attore per quello che sembra proprio sia uno sballo di film. Cioè Crazy Heart. E per di più ha vinto battendo quella faccia di gomma di George Clooney.


Film che sapevo, perché me lo aveva raccontato lui in una nostra conversazione un tot di tempo fa, Ryan Bingham aveva scritto, insieme a T-Bone Burnett la canzone guida, The Weary Kind. Ed ecco qua. La sua The Weary Kind ha vinto l'Oscar come miglior canzone da film. Wow.


E' la prima volta che un musicista rock che ho conosciuto, bevuto dei drink insieme, cazzeggiato e - perché no - anche intervistato, vince un Oscar. Uno che fino ad oggi l'hanno preso in considerazione ben pochi. Uno che fino a qualche anno fa era già un miracolo fosse ancora vivo. Uno che ancor prima di vederlo in persona, avevo definito - ehm, scuz Jon Landau - il futuro del rock'n'roll. Di solito quando dico cose del genere di un musicista o di una band, la band si scioglie e il musicista si suicida. Uno che adesso, invece, cioè da ieri notte, il video dove interpetra questa canzone vincitrice ha già totalizzato su Youtube un bel 258,821 visite. Be' sono proprio contento. Come diceva Tom Petty, even the losers get lucky sometime. Chissà se adesso ruscirò ancora a parlarci insieme, bere un drink e - perché no - intervistarlo. Intanto rispolvero una foto di un paio di anni fa, insieme a Cowboy Annie. E Ryan Bingham. Che adesso ha vinto un Oscar. God bless you, bro'. Long may you run. Southside of heaven.


Ps: abbiamo parlato di Ryan Bingham qui:
http://gamblin--ramblin.blogspot.com/2007/10/just-across-borderline.html

e qui:
http://gamblin--ramblin.blogspot.com/2008/01/road-goes-on-forever-and-party-never.html

e anche qui:
http://gamblin--ramblin.blogspot.com/2008/07/welcome-back-to-italy-mr-bingham.html

Thursday, March 04, 2010

Songs of light & darkness

Deep in the dust forgotten gathered
I grow a diamond in my chest
I make reflections as the moon shines on
Turn to a villain as I rest

Well if I ever get to slumber
Just like a mole deep in the ground
Hell, I won’t be found

I know there is a hollow
I need to fill it with a draft
Of all the words that I wont way
And with a quiet whisper
I send a curse upon the day
That never used the sun to see
The light

(I Won't Be Found, Tallest Man on Earth)

Il mio amico Alessandro dice, "Guarda suona anche a Istanbul e in Italia no". Avranno qualcuno di meglio da far suonare in Italia, gli dico io. Portiamolo noi, aggiungo. Ma va. Intanto vedo che il 15 marzo suona a Londra, in un posto mica male, il Bush Empire, ma è già bello che esaurito. Ovvio, a Londra sanno chi val la pena far suonare. Anche a Istanbul. In Italia? Hanno di meglio da far suonare. E mi maledico per non aver controllato prima le sue date, che un giro a Londra vale sempre la pena.

Allora mando in replay continuato il nuovo disco dell'uomo più alto del mondo, uno svedese che si fa chiamare The Tallest Man on Earth. Mi accontento, perché The Wild Hunt è un disco straordinario, come lo era il precedente Shallow Grave. Quanti, oggigiorno, possono fare un disco solo voce e chitarra acustica e tenerti inchiodato dall'inzio alla fine. Voce che taglia, voce che implora, voce dal cuore per il cuore. Voce di fantasmi, voce delle foreste, voce della nostra quotidiana inquietudine. Chitarra che freme ossessiva come una lama contro la pelle, sangue che schizza sulla parete, e il male diventa bene.

Finché le note di un pianoforte scassato, registrato come se fosse nell'altra stanza, chiudono questo percorso tra squarci di luce e densa oscurità. La voce invece è qua, la voce. Non ci sono molti cantanti che possono permettersi una voce. Non c'è strumento più perfetto, ed emozionante, della voce dell'uomo. Non a tutti è dato avere una voce. A lui sì. E l'ultima canzone. Kids on the Run, nel suo magnifico mistero, continua a galleggiare nell'aria anche quando il player è spento. Sono note che rimandano a una promessa. La promessa permane. Di catturare il silenzio nel momento stesso in cui il silenzio comincia a cantare. C'è un vuoto da riempire, lo faremo. Con un diamante cresciuto in seno. E così fanno le canzoni di questo uomo alto, ma anche grande grande.

Lui è the tallest man on earth.

Tuesday, March 02, 2010

Eroina

When the smack begins to flow
Then I really don't care anymore
About all the Jim-Jims in this town
And everybody putting everybody else down
And all of the politicians makin' crazy sounds
All the dead bodies piled up in mounds, yeah

(Heroin, Lou Reed)


"L'effetto delle droghe e la cultura della droga permea la storia della musica popolare. Questo è probabilmente molto evidente nel caso della musica jazz. La storia degli scrittori dipendenti dalle droghe è interessante, ma la storia del musicisti jazz dipendenti dalla droge è la storia del jazz: Charlie Parker, John Coltrane, Miles Davis, Charles Mingus e Billie Holiday erano tutti eroinomani; Louis Armstrong e Dizzy Gillespie fumavano marijuana e questa è solo una lista superficiale. Non è, probabilmente, un caso che il tipo di droga scelto da un musicista jazz abbia influenzato la precezione di tempo e ritmo. I fan della musica jazz spesso dicono di essere in grado di capire la differenza tra un disco registrato sotto gli effetti della marijuana e quella dell'eroina. Una volta mi hanno detto che se avessi mai voluto sapere cosa si prova a farsi di eroina, tutto quello che dovevo fare era ascoltare il disco Kind of Blue di Miles Davis".
(The New Yorker, 2003)



Sarebbe interessante ripetere il giochetto che fanno i fan del jazz con i dischi rock. Sapere dire cioè quale disco rock è stato registrato sotto gli effetti di quale droga. L'anfetamina è certamente nei solchi di Blonde on Blonde. L'LSD in quelli di Pet Sounds, If I Could Only Remember My Name di David Crosby e almeno un paio di album dei Jefferson Airplane, dei Byrds e dei Grateful Dead. Layla di Eric Clapton, a scuoterlo ancora oggi, lascia cadere dosi abbonandanti di cocaina. In Exile On Main Street degli Stones probabilmente ci sono tutti i tipi di droghe al tempo disponibili, mentre il debutto degli Stones Roses con il disco omonimo è un buon viatico alle droghe sintetiche pre-ecstasy. Menzione per l'alcol, con Tonight's The Night di Neil Young, il festival della Tequila (qualità José Cuervo).

Non riesco a pensare a nessun disco italiano inciso sotto gli effetti della droga, e probabilmente non è un caso. A parte Bollicine di Vasco Rossi. E' vero: la droga non giova all'arte.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

I più letti