Monday, February 29, 2016

La mia corona di spine

"Indosso questa corona di spine sopra alla mia seggiola da bugiardo, pieno di ricordi spezzati che non riesco a riparare… Che cosa sono diventato, mio amico più caro, tutti quelli che conoscevo alla fine se ne sono andati, puoi averlo tutto il mio impero del male, ti deluderò, ti farò soffrire". 
Il video di David Bowie, Lazarus, ha impressionato tutto il mondo per il crudo realismo di un uomo malato che sta morendo che si fa riprendere su suo letto di morte. Più di dieci anni prima c'era però stato un precedente, probabilmente ancor più impressionante e coinvolgente, che ha ridotto in lacrime tutti quelli che lo hanno visto. Gente grande e grossa e che di dolore se ne intendeva, non ragazzine: Rick Rubin, ad esempio, produttore musicale tra i più scafati della scena: "Guardando quel video non potevo trattenere le lacrime" ha raccontato. "Se una tale emozione esce fuori durante un film che dura due ore, è un buon risultato. Ma se ti viene da piangere guardando un video che dura quattro minuti, è scioccante". 




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Monday, February 08, 2016

La fede e la grazia

Fede e grazia. La cantante le invoca con la voce che sembra una lenta litania. Fede e grazia. Parole che non si sentono più dire da nessuno. Perché implicano l'ammissione del nostro bisogno. Faith and Grace è la canzone che chiude il doppio, doloroso, ma incredibilmente bello, ultimo disco di Lucinda Williams, "The Ghosts of Highway 20", dodici minuti interminabili che ti lasciano inchiodato sul posto a bocca aperta.

Le sue origini profondamente sudiste, ambientate fra le paludi fangose abitate da spiriti dolenti della Louisiana, le pesche dolci amare della Georgia, la solitudine abbacinante dell'Alabama, le luci al neon di Nashville l'hanno resa la Flannery O'Connor del rock. Gothic rock. Predicatori che hanno venduto l'anima al diavolo, la schiena di Parker sanguinante del volto di Cristo inciso nella pelle, la malinconia della vita che si spegne nell'ansia delle possibilità perdute, la magnificenza di una catapecchia ai bordi dei campi di cotone.


"The Ghosts of Highway 20" è un disco di fantasmi, è una lunga riflessione sulla morte, una manciata di canzoni sfregiate dal tempo, che non chiedono perdono eppure potenti.

In realtà il concetto di canzone comunemente conosciuto è fatto a pezzi in questo disco. Ogni brano è come una improvvisazione, una declamazione poetica che serve da motivazione per andare oltre, in una dimensione trascendentale che paradossalmente porta allo spasimo estremo la canzone stessa. Per fare ciò, Lucinda Williams si è messa accanto due musicisti straordinari, il meglio sulle corde dell'America contemporanea, il polistrumentista Greg Leisz e il chitarrista jazz Bill Frisell. A loro lascia campo totale, le loro chitarre, le slide, gli effetti sonori straripanti di colori autunnali strazianti si intersecano e si elevano ad altitudini immense, portando ogni brano del disco a superare abbondantemente i cinque minuti, dodici nel caso del brano conclusivo. Non sentirete altre chitarre del genere in nessun altro disco quest'anno.



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Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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