Thursday, January 28, 2010

Il castello del cantante

I’m still a note that’s unplayed, ink on a page, I’m still, I’m still
I’m still a cry in the night, lonesome and high, I’m still, I’m still
I’m still tuned to an instrument of greater and unknown design
I’m still looking for direction, some kind of sign
I’m still tuning myself to the great key, I’m still, I’m still

(Still, Great Lake Swimmers)

Al confine tra Canada e Stati Uniti, c'è un dedalo di canali che permette la navigazione dall'Oceano Atlantico ai Grandi Laghi. Si chiama Saint Lawrence Seaway, e prende il nome dal fiume San Lorenzo, un grande corso d'acqua che attraversa Quebec e Ontario. La parte canadese di questa zona fluviale si chiama Regione delle Mille Isole e nella parte americana ce n'è una, di isola, denominata Dark Island. Qui sorge un antico castello ottocentesco, che in tempi recenti è stato battezzato curiosamente Singer Castle, il Castello del Cantante. Durante l'epoca del proibizionismo era usato per il traffico degli alcolici. Inutile dire che si tratta di posti meravigliosi, dove il silenzio è il battito del cuore, dell'uomo e della natura. E' qui, tra la regione delle Mille Isole e il Castello del Cantante, che una band canadese, dal nome degno dei luoghi in cui vive, ha registrato un disco di una bellezza esagerata. Loro sono i Great Lake Swimmers, e il disco è Lost Channels.Qualcuno li ha definiti "folk-pop". Sono essenzialmente la creatura del bravissimo Tony Dekker, tre album sulle spalle a partire dal 2003, una formula sonora minimale basata su chitarre acustiche, percussioni in evidenza, banjo e mandolino e armonie vocali forti e di intensità purissima. Sono canzoni dall'impatto forte, epiche in certi casi, che si aprono a una forza trascendentale quasi fossero piccole sinfonie della tristezza e della nostalgia. Palmistry, Concrete Heart, She Comes To Me in Dreams sono tra le più belle canzoni degli ultimi dieci anni. E Still, citata in apertura, che è una autentica dichiarazione di intenti per una band che ha fatto del viaggio al cuore del mistero la propria missione: "Sono ancora un lamento nella notte, solitario e alto... Sono ancora intonato a uno strumento di più grande e sconosciuto disegno".Si possono anche permettere, i Great Lake Swimmers, di registrare i battiti della campana della torre del Singer Castle, per far toccare conmano all'ascoltatore dove questa musica ha preso vita: ring them bells....
Questo disco va in loop a casa mia e nella mia macchina, da giorni. E anche nell'i-pod. Grazie a chi me li ha fatti conoscere.
Li vedremo mai in Italia? Io dico di no. Ovviamente. Ma un giorno andremo a sentire la campana che suona nella torre del Singer Castle, là nella regione delle Mille Isole.

Saturday, January 23, 2010

Ma dove vanno i marinai? A Nonantola!

"Ci vuole orecchio e pazienza
per questa piccola voce
muscoli e competenza
anche per portare la croce

(...)

Ci vuole tempo e pazienza
per imparare il dolore
lacrime e competenza
per impastare l'amore
su questo pezzo di strada
dove la notte è padrona
dove c'è un orso che balla
e una scimmia che suona
e ci sta sempre uno stupido che si ferma ad ascoltare
ma una canzone non basta e non basta
saper cantare"

(Non basta saper cantare, De Gregori - Dalla)

Che poi l'unico marinaio davvero a Nonantola (e non Novellara, come dice Lucio Dalla a un certo punto, dimostrando che la sindrome di Bruce Springsteen - dov'è che stiamo suonando stasera? - comincia a colpire un po' tutti i musicisti con tanti anni di strada sulle spalle) ero io.
Trent'anni fa ero un ragazzino di 17 anni che non capiva bene a cosa stava assistendo, nell'enorme catino dello stadio Marassi di Genova, trascinato a vedere (puntini lontani sul palco) Dalla & De Gregori, e ad ascoltare le loro canzoni, ognuno le sue a parte un paio insieme.
Stasera che di anni ne ho 47 ancora non so chi sono, ma ho la certezza di essere partecipe di un evento, nel catino ribollente del piccolo Vox di Nonantola, Modena. E non perché nell'area vip dove mi trovo vedo passarmi accanto Ligabue, Luca Carboni, Biagio Antonacci e il gotha del giornalismo musicale italiano (mio sms a De Gregori: "Sono qua! Insieme ai veri gionalisti!" - sms di De Gregori "Che culo!" - mio sms "Insomma...") con uno schieramento di telecamere e fotografi che sembra stiano per arrivare i Beatles.

No, l'evento è in quei due amici così diversi ("soprattutto fisicamente" scherza Lucio Dalla) ma così uguali nel loro amore totale e incondizionato per le canzoni. Che stasera, dopo aver cominciato con una deliziosa Over the Rainbow per armonica e clarino, tanto per dire che siamo pronti ad aprire il cuore alla magia, appare evidente nel suddividersi ognuno una strofa a testa, di ogni canzone, sorridendosi a vicenda, applaudendosi l'uno con l'altro, lasciando andare lunghi assoli di armonica o di sax. Mischiando le band: metà di quella di Lucio, e metà di quella di Francesco. Son cose che in Italia non si fanno, non si sanno fare.
E che canzoni: Come fanno i marinai, Tutta la vita, I matti, Canzone, Anna e Marco, L'agnello di Dio, Santa Lucia, L'anno che verrà, I muscoli del capitano, Come è profondo il mare, Buonanotte fiorellino, Viva l'Italia, Piazza Grande, la nuova straordinaria Non basta saper cantare (di De Gregori, anche se i due si firmano come Lennon & McCartney; adesso anche Dalla ne sta preparando una nuova, sua, per i prossimi concerti) e poi, rimasti soli sul palco, facendo un omaggio ai busker - che Dalla da ragazzo lo ha fatto per davvero, il musicista dei marciapiedi -, con Francesco che si tira su il cappuccio della felpa sulla testa, una commovente 4 marzo 1943 ("E sì, bestemmio ancora...").

Non è una reunion, è una rifondazione" scherzano incontrando i giornalisti dopo lo show. Lucio Dalla che sembra una sorta di Elton John, con tanto di pelliccia e bastone da passeggio, Francesco De Gregori per una sera senza l'usuale completo giacca e cravatta, ma cappellino di lana e felpa da centro sociale. Li guardi e pensi, che sfracello di canzoni hanno scritto questi due, ci sarà un motivo perché dopo di loro nessuno, o quasi. Trent'anni di finte star prodotte in televisione hanno ucciso la capacità di scrivere grandi canzoni. E grazie a Dio che questi due qua invece non hanno mai smesso, di scriverne.
"La vita ti mette davanti a certe cose per le quali neanche l'arte serve a consolare" dice De Gregori. Come canta nella nuova canzone: no non basta saper cantare, una canzone non basta. Perché la vita è più grande, ci sorpassa ogni secondo a destra e a sinistra. "Saper vivere non basta", e chi sa come si fa a vivere? Nessuno. Noi, stasera, ci affidiamo alle canzoni, anche se non basta saperle cantare. Ci affidiamo a qualcuno o qualcosa più grande di noi. Che ci prenda per mano e ci riporti a casa. In attesa di un nuovo concerto e di nuove canzoni. We believe in magic. Yes we do. Over the rainbow.
Che ce ne saranno altri cinque, di concerti di Dalla & De Gregori, a Milano, teatro degli Arcimboldi, dal 5 al 9 maggio, e poi altri cinque a Roma, dal 19 al 23.
E chissà le sorprese e chissà quante altre grandi canzoni.


Renaldo & Clara @ The Vox, Nonantola. Still on the road, heading for another joint

Friday, January 22, 2010

Morte di un dongiovanni

Don't go home with your hard-on
It will only drive you insane
You can't shake it (or break it) with your Motown
You can't melt it down in the rain


E' vero che le canzoni rock dicono la verità, ma a volte parlano di una realtà che non ci appartiene e in cui cerchiamo forzatamente di identificarci. Voglio dire: l'amore è sempre amore a tutte le latitudini e in tutte le situazioni, ma quello di cui cantavano ad esempio i Led Zeppelin o gli Stones era frutto di esperienze che solo i "gods of rock" potevano vivere. Non sono andato in tour con loro, ma qualcosa ho visto del rock'n'roll lifestyle e comunque ne ho letto.

Mi piace Leonard Cohen per tanti motivi, uno dei quali è che lui non ha mai fatto parte di quel lifestyle, anche se ci è passato abbastanza vicino per ovvi motivi di lavoro. Lui è però uno di noi, da tutti i punti di vista. Basterebbe il look, giacca e cravatta, per farlo sembrare uno che ha appena timbrato il cartellino ed è uscito dalla banca dove va a lavorare tutti i giorni. Le sue canzoni d'amore, praticamente tutte, parlano di un amore di ogni giorno, a volte fin troppo banale (vabbé, a parte quella sera al Chelsea Hotel con Janis Joplin...), amori consumati in fretta con una moglie o un marito che aspettano a casa, niente a che vedere con groupie disperate abbandonate in qualche memory motel.

C'è un suo disco, che è normalmente considerato il suo peggiore, che invece merita ben altri riconoscimenti. Si intitola in modo appropriato Death of a Ladies' Man, morte di un dongiovanni, ricorda un po' il Morte di un commesso viaggiatore credo non a caso, ed è solo apparentemente l'opposto di quanto detto prima. Prodotto (super prodotto!) dal genio di Phil Spector, contiene tutti gli eccessi musicali che solo Spector poteva permettersi: una valanga di strumenti e di idee pazze. E' il trionfo del kitsch ma è il trionfo di una epoca storica, gli anni 70, e montagne di polvere bianca si annidano ancora tra i solchi, ogni volta che lo suonate. Che ci azzecca il tranquillo e triste signor Cohen? Ci azzecca, ci azzecca... Come il commesso viaggiatore di Arthur Miller, questo dongiovanni è un borghese piccolo piccolo.

Da un punto di vista l'ironia di questa operazione è massima, dall'altro ascoltarlo è veramente infilarsi nei panni di un qualunque brav'uomo degli anni 70. Non so voi, ma io me li ricordo questi personaggi. Camicie collo d'elefante, orribili cravattone larghe e corte quasi al mento, completi gessati di tinta pacchiana.... e belle donne con vaporosi capelli e tacchi alti intorno. Dongiovanni del bar di periferia o del lungomare. Gente dalla vita banalissima che si truccava da quello che fingeva di essere e faceva, della libertà sessuale acquisita dalle rivoluzioni degli anni 60, il proprio privato e impietoso tornaconto. Ne paghiamo oggi le conseguenze. C'è un orribile e disgustoso programma televisivo, ad esempio, su un canale satellite che ne è lo specchio perfetto: un gruppo di uomini, attoruncoli, modelli, architetti di successo, conduttori radio, trend setters vari, si ritrova a tavola ad abbuffarsi intanto discutendo del modo migliore per farsi una ragazza, se davanti o di dietro e altre amenità del genere. Roba da vergognarsi di essere uomini: ma le femministe dove sono finite? (non che ne senta poi tanto la mancanza eh).

Non è un caso che, a livello lirico, questo sia il disco meno interessante di Cohen, di solito poeta massimo, qua descrittore quasi imbarazzato di vizi e noiose love story di terza mano. Con un momento di selvaggio umorismo, però: Don't Go Home with your Hard-on, in cui fanno capolino ai cori due altri geni di ebrei, un quartetto (includendo anche Spector), anzi un poker d'assi che sconquassa tutto quanto gli anni 70, nel loro aver voluto essere politically correct, non furono: Bob Dylan e Allen Ginsberg + Cohen ovviamente. Provate a tradurre il titolo di questa canzone in italiano: peggio di un brano di Elio e le storie tese... E Cohen, che di solito sussurra, non canta, qua canta a squarciagola, come non lo avete mai sentito, inebriato di tanto cazzeggio (è il caso di dirlo).

Gli arrangiamenti di Spector comunque sono bellissimi, e il risultato - ma ci vogliono parecchi ascolti e nessun pregiudizio in mente, per apprezzarlo - è unico e stordente, divertente ed esaltante. Questo disco è il romanzo degli anni 70, la dissacrazione dell'era del soft rock, del prog rock, del country rock e finanche della disco music. O la loro singola esaltazione in parti diverse scecherate insieme.
Dicono che Cohen e Spector quasi si presero a colpi di pistola durante queste registrazioni. Niente di più possibile, sapendo che fine ha fatto l'ex grande produttore (in galera per omicidio).
Io però sogno ancora un disco di Bruce Springsteen e uno di Bob Dylan prodotti da lui. Ve li immaginate Born to Run o Blonde on Blonde con il suo wall of sound? Da paura.

Wednesday, January 20, 2010

Amelia

L'altro giorno per strada ho visto i cartelloni pubblicitari di un nuovo film. Il protagonista è Richard Gere, che credo non abbia più fatto un film decente da prima di Pretty Woman. La protagonista però l'adoro, è Hilary Swank che sebbene sia alta un metro e un tappo credo sia bellissima e mi piacciono quasi tutti i film che fa (ricordo di averne visto uno, anni fa, mai più passato alla tv, ambientato a Nashville nel mondo della musica con alcune scene girate al leggendario Blue Bird Café e in cui se non sbaglio si vedono anche camei di Townes van Zandt e qualcun altro).
Il film è dedicato alla donna che, per prima, attraversò da sola l'Atlantico in aeroplano, Amelia Earhart. Allora mi è venuto in mente che a casa ho un disco di un gruppo scomparso come scomparì Amelia, nel nulla, un bellissimo disco dei primi anni 70. Il gruppo che lo incise erano i Plainsong, e il titolo dell'album In Search of Amelia Earhart...

I Plainsong erano una band inglese, il cui membro più famoso era Ian Matthews, già fondatore dei Fairport Convention e, nel 1972, con un paio di dischi solisti sulle spalle. Inizialmente al progetto doveva partecipare anche Richard Thompson. Il gruppo, sebbene inglese, se ne uscì con un disco incantevole che guardava direttamente alla California e al country-rock. Di fatto, In Search Of Amelia Earhart è il miglior disco che gli Eagles non hanno mai fatto. Arrangiamenti acustici purissimi, armonie vocali perfette, atmosfera malinconica e crepuscolare. E un paio di canzoni dedicate alla bella e coraggiosa Amelia.
Matthews sostiene ancora oggi che il disco non è un concept album, e in effetti i brani a tema sono appunto solo due, ma la copertina, le belle foto interne, il mood generale sono inevitabilmente tutti per lei, per Amelia (per una bizzarra coincidenza, i Plainsong incidevano per la casa discografica Elektra: l'aereo di Amelia si chiamava Electra...). Nel disco, Matthews sfiora la tesi che la donna non fosse morta per un incidente quando stava tentando di fare il giro in aereo dell'intero pianeta, ma fosse stata catturata dai giapponesi mentre, con la scusa del volo, effettuava spionaggio per conto del governo americano. E' una delle tante tesi sulla fine misteriosa di Amelia, scomparsa nel 1937 sopra una isola del Pacifico. Chissà cosa sosterrà il film...

Il disco in questione è stato ristampato qualche anno fa in un doppio cd contenente anche il secondo album della band, Now We Are 3, meno bello ma comunque discreto. Entrambi i cd hanno una manciata di brani tratti da session radiofoniche o live, tra cui una cover della straordinaria Spanish Guitar di Gene Clark.
Dopo, i Plainsong si sarebbero sciolti con Matthews che fnalmente coronava il suo sogno, quello di volare, come Amelia, in California a tentare una carriera solista. Gli altri, a parte Andy Roberts che avrebbe suonato con tanti musicisti e scritto colonne sonore, tornavano alle loro vite ordinarie. Rimane un disco dedicato a una donna coraggiosa e una manciata di bellissime canzoni scritte e interpretate da un gruppo di ragazzi inglesi dai lunghi capelli che sognavano la California... E un mistero, quello di Amelia Earhart...

Saturday, January 16, 2010

The Armadillo Man e il serpente la croce e la corona

I, I wanna live on the stage,
I wanna play the guitar,
And I wanna get paid.
But no, responsibilities please.
I wanna do what I want,
And I wanna get paid

(The Snake The Cross The Crown, Cakewalk)

"direttore ma il tuo cd non funziona. mi legge una unica traccia e poi non suona"
"sei ancora ubriaco?"
"pirla... no mi è successo già altre volte con cd duplicati come il tuo. forse le mie apparecchiature sono obsolete"
"è la prima volta, anche il PC non lo legge?"
"uh... sul PC lo legge... Ehi bastardo.. ci hai messo dentro anche i Great Lake Swimmers senza dirmelo... lo sai che non li posso ascoltare"
"te li ho fatti sentire ieri sera e mi hai detto tu di metterli"
"allora ero davvero ubriaco"

Sì, mi rendo conto che questo scambio di battute possa sembrare una conversazione del tipo, fra Scemo e più Scemo. In realtà si tratta di due delle menti più brillanti della vostra generazione. Alessandro Ciciuxs Paramount Maggiori - detto anche The Armadillo Man - è un eroe, il mio eroe (quello che non riesce a suonare il cd sono io, il vostro idiota tecnologico). Uno che era fra i soli dieci giornalisti al mondo invitati a incontrare personalmente Johnny Cash (Austin, Texas, 1994) non può che essere il mio eroe. Ma mica solo per quello. Uno che riesce a vomitare sul volante mentre sta guidando a 180 all'ora in autostrada senza capottarsi fuori, dopo una notte passata a bere, non può che essere il mio eroe. Roba che neanche Neal Cassady. In realtà è il mio eroe perché ha un cuore grande così, come si deduce dai messaggi di auguri che mi ha inviato la notte di capodanno, gli unici che ho conservato e che ovviamente tengo per me. E poi dovevo smetterla di dedicare post del mio blog a ragazze.

Johnny Cash - foto di Alessandro C.P. Maggiori

A casa sua c'è un antro nascosto, che è un piccolo pezzo di Texas a Milano, con tanto di bandiera del Lone Star appesa al muro. Armadilli imbalsamati che stringono bottiglie di vino e un sacco di grandi dischi. Peccato per quel cazzo di labrador che mi ringhia contro ogni volta. Il labrador non è imbalsamato.
L'altra sera mi ha invitato a una proiezione privata, che nell'antro texano c'ha uno schermo da cinema. Quasi. Una ottima bottiglia di Rosso di Montalcino 2006, cantina Il Paradiso di Manfredi, ci scaldava il cuore (a me ottenebrava anche il cervello, ma mi ci vuole poco alla mia età).
In anteprima nazionale (eh no, di questi nessuno in Italia ha mai parlato) mi ha mostrato il bellissimo film di una delle migliori rock band americane - unico difetto: si sono già sciolti -, i The Snake The Cross The Crown, nome che non è un riferimento religioso, ma è la traduzione di ciò che contiene il logo dell'Alfa Romeo, che il padre di uno di loro aveva una officina dell'Alfa Romeo.

Erano dell'Alabama, giovanissimi, ma suonavano da dio e cantavano benissimo, che come ogni buon americano hanno imparato ad armonizzare in chiesa. Il sound ricorda un po' i Wilco (specie nelle esplosioni soniche di grande impatto) e The Band (per le radici folk), qualche riferimento ai Beatles naturalmente. Nel film qualcuno li definisce "country Pink Floyd" per quell'attitudine pazzoide a partire per jam cosmiche tipo il periodo Syd Barrett. Il film è un'epopea di una band in cerca della gloria, certi che non è il successo a dar la gloria, ma l'intima consapevolezza che la musica è la chiave verso la Bellezza.
Così consapevoli da osar confessare la verità che tutti sanno, ma nessuno ammette: "Oggi tutti fanno dischi. Ci sono più musicisti in giro che gente disposta ad ascoltarli". Il problema è che pochi meritano di fare dischi.
E' girato in modo strepitoso, il film, con landscape mozzafiato del sud degli States, della California, di concerti in piccoli club (esilarante la scena in cui, già annunciati dallo speaker, non riescono a trovare la strada che dai camerini porta al palco, perdendosi tra gabinetti e stanzini vari), di notti tempestose, di viaggi in un piccolo furgone. E' il loro ultimo valzer, di una band che nessuno ha mai conosciuto e già non c'è più. Il dvd si può acquistare sul loro sito e, credetemi, è il miglior film rock da anni a questa parte.
Poi The Armadillo Man ha generosamente voluto mettermi su cd un po' delle circa 70mila canzoni che ha nel Mac. Dentro ci ha infilato una tonnellata di bella roba, tipo gli Snake, i Great Lake Swimmers, i Weepies, gli Shearwater (che verranno a suonare alla Casa 139 a breve), Megafaun e probabilmente anche qualcun altro. Tutte grand band, che sanno mischiare attitudine pop alle loro radici folk, che sanno cantare malinconia e bellezza. Che sanno suonare. No, non ci sono band altrettanto valide nelle terre bagnate dal mar Mediterraneo.
E' stata una grande serata. Labrador a parte, ci devo tornare nell'antro texano. God bless you, Ale. Ps: non staremo mica diventando due indie kids con 'sta musica che ascoltiamo? Eh?

Con l'Armadillo Man. In persona. We believe in magic, yes we do

Friday, January 15, 2010

Oh mercy


"Quando cala l'oscurità, tutto quello che si sente sono i canti e le preghiere: alleluia, alleluia"
Testimonianza di un sopravvissuto al terremoto di Haiti

Tuesday, January 12, 2010

The mixtape girl

Diana vive agli antipodi. I miei, che io sto a Milano e lei a Catania. Diana ha 21 anni, ma ne sa della vita. Diana ha coniato una delle frasi che amo di più, "I'm always listening to some music, wherever I am, whatever I am suppose to be doing. I love to go out while listening to my i-pod. It feels like I'm living in a movie". Diana è diventata da un po' la mia spacciatrice ufficiale di buona musica. Da quando non lavoro più in una rivista musicale, sto scoprendo universi di canzoni che avevo snobbato, ignorato, by passato, dimenticato. Per fortuna c'è Diana, che dimostra quanto le riviste musicali siano inutili.

Qualche volta a notte fonda ci raccontiamo le nostre tristezze, che a Catania come a Milano sono uguali. L'altra sera mi ha spedito per via cosmica (sì, la Rete, ci siamo capiti) il Desperation Mixtape, come l'ha chiamato lei, che l'altra sera eravamo tutti e due più o meno di quell'umore. Dentro c'era una bonanza di bellissime canzoni. Ho cominciato ad apprezzare gente che avevo sempre disprezzato, come Sufjan Stevens e Bon Iver e anche Paolo Nutini. E poi gente mai sentita prima, Nels Andrews, Ethan Daniel Davidson, Lisa Hannigan, Polly Paulusma, Seasick Steve. Tutti bravissimi. Naturalmente c'era dentro anche Josh Ritter, che lei è "Josh Ritter addicted". E poi i National, che sono stati i più apprezzati. Adesso sto ascoltando il loro disco del 2005, Alligator, che è bello un casino. Andrò a recuperare gli altri, e fra poco dovrebbe uscire il loro nuovo album.
Diana ha una sorella, Giulia, che è cool come lei. Una volta Giulia, su FB, ha scritto questa cosa: "Giulia ha letto "Bob Dylan - 40 anni di canzoni" e si è innamorata di Paolo Vites". Per fortuna mia moglie non va su FB. Però è stato il commento più bello che ho mai ricevuto per un mio libro. Anche se, dopo aver letto un libro del genere, mi aspettavo che una ragazza si innamorasse di Bob Dylan.
Ok, torno ai National e a tutti gli altri. Thanx, D. And G., of course. Keep rockin' girls.

Friday, January 08, 2010

I believe in Elvis Presley


Che oggi compie 75 anni. BP Fallon forse altrettanti, per fortuna fa ancora video come questo. Jack White produce, Bob Dylan ispira.

Wednesday, January 06, 2010

Juliet, naked

La notizia è con i controcazzi, ed è degna di aprire quella che si prefigura come una grande annata: "Arriva la pillola Amorex. E che promette davvero miracoli. Insomma, basta pene d'amore, addio cuori infranti e sofferenze senza fine: una pillola e via, passa tutto. Vale per uomini e donne, nessuno escluso, a qualsiasi età. Almeno così dicono, in stile Se mi lasci ti cancello. Ma sarà vero?". Ma anche no. Non funzionava nel (bellissimo) film citato, dovrebbe funzonare nel mondo reale? Ma soprattutto: a me in realtà spaventa se dovesse funzionare. Immaginate Leonard Cohen, Van Morrison e Bob Dylan, Nick Cave e anche Tiziano Ferro. Di cosa si metterebbero a cantare? E funzionerebbe in retrospettiva? Cioè tutto quello che ha scritto William Shakespeare sarebbe "cancellato"? Un mondo sempre più anestetizzato. Che pena.

Io intanto, visto che fare il disoccupato a Milano è lo stesso che farlo altrove, mi sono trasferito in riva al mare. Dopo due gorni che ero lì, ha cominciato però a fare un freddo porco, un belin di freddo, per usare lo slang dei nativi, che sono dovuto fuggire con la scopa della befana con una influenza da paura. Ha anche nevicato. E devo dire che camminare sulla spiaggia con una temperatura tipo pista da sci e con la neve a poche centinaia di metri era davvero surreale. Notare la faccia incazzata di quello che avrebbe potuto essere un perfetto nostromo della capitaneria di porto quando scopre che il mare è diventato ghiaccio. Global warming anyone? Appena sgela un attimino e mi si decongestiona il naso ci torno, comunque.

Intanto che ero lì, mmentre facevo la quotidiana passeggiata in carruggio trascinandomi da una rivendita di focaccia normale a una di focaccia col formaggio, ho comprato due belle cose. Un disco che non trovavo neanche su Internet e che invece era lì che mi aspettava chissà da quando, la colonna sonora di un film che adoro, Streets of Fire di Walter Hill, che in realtà fa abbastanza cagare - la colonna sonora, non il film - anche se è a cura di Ry Cooder e ci suonano anche i Blasters. Però c'è una delle mie canzoni preferite in assoluto, dritta nella mia Top Ten di tutti i tempi, Tonight Is What It Means to Be Young, quasi otto minuti di romanticismo totale. Cacciata a forza nell'i-pod e adesso in replay continuativo.

Ho comprato anche il nuovo libro di Nick Hornby. Da grande voglio sposare Nick Hornby. Non voglio diventare come Nick Hornby, perché lo sono già. Tutti quelli che leggono questo blog lo sono. Insomma, uno che continua a ripetere che i più grandi sono Leonard Cohen, Bob Dylan e Bruce Springsteen (meglio di quest'ultimo sarebbe Nick Cave, eh) come farei a non volerlo sposare e a essere già io?
In italiano ha un titolo orribile (Tutta un'altra musica), l'originale è Juliet, naked. Mi ci sono ritrovato troppo, e mi sono anche abbastanza inquietato: ma noi musicofili siamo così deficienti? Però si parla anche di amore - soprattutto - e Hornby ha sempre un taglio preciso: in High Fidelity, in About a Boy e anche qui si ragiona sulla realtà. Altro che pillole anti-sofferenza. E i figli giocano sempre un ruolo decisivo. E si parla di ciò che è dietro un'opera d'arte (ogni riferimento a Blood on the Tracks non è casuale, è fottutamente voluto): "Sì, sei un pessimo uomo. Sei stato un padre incapace per quattro dei tuoi cinque figli, un marito incapace per tutte le tue mogli e uno schifo di compagno per tutte le tue ragazze. E Juliet(il disco che ha nciso il protagonista del libro, nda) rimane sempre stupendo".
L'ho divorato in un giorno e mezzo, metre nevicava sul mare.

Ok, non vedo l'ora di tornare alla mia finestra con vista sul campanile, giù al mare. Ho un libro da finire, il mio Chronicles. E un sacco di focaccia da mangiare. Ehi amici, con che canzone avete cominciato l'anno nuovo? E' importante, sapete. Io la mattina del primo gennaio 2010 ho acceso il mio i-pod in funzione random ed è partita Ring Them Bells di Bob Dylan. Non potevo essere più felice. Benedetto da Bob e da Dio. Can't help it if I'm lucky. God bless ya all, too.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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