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Friday, December 26, 2014

Il giorno dopo Natale

You got me singing
Like a prisoner in a jail
You got me singing
Like my pardon's in the mail


Ieri ho visto un uomo anziano piangere. Un uomo anziano che piange destabilizza sempre più che il pianto di chiunque altro. Improvvisamente il volto dell’uomo anziano si contrae e si trasforma in quello di un bambino piccolo. Passato, presente e futuro si sciolgono insieme nelle lacrime. Ci stava raccontando della sua infanzia e si è commosso.
Più passa il tempo della vita e quei momenti, certi momenti dell’infanzia, diventano quei momenti della felicità più piena, quei momenti che si rimpiangono di più. Rimpiangere, piangere di nuovo e ancora.
Quei momenti in cui ogni cosa era perfetta e la vita serena. Con il passare del tempo quei momenti si restringono sempre di più fino in molti casi a scomparire. Restano amarezza, dolore, sofferenza, rabbia. Restano piccole oasi di felicità sempre più piccole, mille punti di felicità che a fatica si riesce a unire con una retta, dispersi in migliaia di ore e di giorni e di notti di dolore e paura. La vita diventa un ricordare, ma a stento. Restano le mille maschere del compromesso a cui la vita ti sottopone per riuscire soltanto ad andare avanti. Il prezzo che ognuno paga è enorme e spropositato, ingiusto.



Non resta che restare attaccati a quei momenti che più diventi vecchio più diventano la commozione e la gratitudine di averli vissuti.
In attesa che tutto si compia e si torni per l’eternità a quei momenti. Quei momenti in cui qualcosa o qualcuno ci ha fatto cantare, cantare l’alleuja. Anche se siamo stati prigionieri per tutto il resto della vita.



Wednesday, December 24, 2014

Notte Santa

"Spiritualmente, bisognerebbe essere capaci di elevarci da soli. Si può essere ispirati da una canzone rock, ma la spiritualità è qualcosa di innato. Qualcuno può farti sentire bene o sentire felice, ma il quadro reale della spiritualità è dentro di noi". Così dice Patti Smith. L'annunciato, tra mille polemiche, concerto di Natale in Vaticano con la presenza, tra gli altri, anche della cantante americana si è poi svolto senza alcun problema. Nessun anatema, nessuna blasfemia. Nessun papa presente peraltro, come si sapeva comunque anche se tutti dicevano il contrario.
Si è svolto anche senza alcun problema il concerto nella basilica napoletana di San Giovanni Maggiore, anche questo atteso tra altrettante polemiche e scomuniche da parte di qualcuno che temeva che la presenza di Patti Smith declassasse e infangasse il luogo sacro.



Anzi, l'autrice della temuta canzone che comincia con i versi incriminati di "Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non per i miei" ha eseguito in quella occasione un brano inedito dedicato alla Vergine Maria.
Al concerto di Natale Patti Smith ha cantato O notte Santa, l'antico canto natalizio composto nel 1847 da Adolphe Adam per la musica e da Placide Cappeau per quanto riguarda le parole, titolo originale Minuit, chrétiens, considerato anche probabilmente il primo brano musicale mai trasmesso alla radio, insieme ad Alessandra Amoroso, Dolcenera e Chiara. Lo stesso brano Patti Smith aveva cantato anche lo scorso anno nel medesimo luogo, ma allora si era esibita da sola accompagnata dall'orchestra vaticana. Con le tre cantanti italiane a fianco, l'esecuzione di quest'anno è apparsa più contenuta, slavata, perdendo in gran parte la profondità e la bellezza di una delle più straordinarie canzoni appartenenti al repertorio natalizio. Non fu così l'anno scorso.

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Tuesday, December 24, 2013

Heart and soul

Questa canzone non è una canzone di Natale, ma è anche una canzone di Natale. Qualcuno, su questo giornale, giorni fa scriveva che “ciò che serve al Natale è un desiderio, il desiderio magari lancinante che qualcuno venga, che qualcosa accada”. Se il Natale si attende - perché lo attendono tutti, belli e brutti anche chi non lo vuole ammettere - questa canzone parla di questo. Nel buio della notte più profonda, nella solitudine dell’abitacolo di una macchina, nell’incertezza che qualcuno ti stia veramente aspettando, con a fianco un regalo banale come un paio di scarpe nuove, un uomo attese qualcosa.



Probabilmente è ancora una attesa insicura e incerta quella che viene cantata, ma d’altro canto la vita stessa è una attesa che aspetta di compiersi tra mille dubbi, attraverso i segni, attraverso il desiderio del cuore, che più di ogni altra cosa grida un desiderio implacabile: che la nostra vita si compia nel suo significato, che cioè il nostro desiderio non sia solo un insieme di apparenze, ma uno incontenibile. Quando questo compiersi potrà accadere definitivamente, non è compito nostro saperlo. Compito nostro è semmai cogliere i segni di questo compimento giorno dopo giorno, e in mezzo ecco il Natale il segno più clamoroso ed evidente del compiersi dell’attesa.
Quando Bruce Springsteen incide Drive All Night, per alcuni un riempitivo, per altri un capolavoro, per molti una delle canzoni passate maggiormente inosservate su un disco scoppiettante di grandi e maestose canzoni (“The River”, uscito nel 1980) ha appena compiuto trent’anni, sta passando all’età adulta ed è pieno di incertezze e paure. Ha ottenuto un buon successo in madrepatria, ma è in quel punto di svolta dove potrebbe perdere tutto o diventare una star mondiale (succederà la seconda cosa, come tutti sanno).

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Monday, December 24, 2012

Dark Christmas (must be tonight)

Ci sono momenti, eventi, singole giornate che impattano sulla vita di tutti quanti, a qualunque latitudine. Il Natale è certamente l'evento che più impatta sulla vita di belli e brutti, credenti o non credenti. Ognuno poi vi risponde come vuole, ma nessuno può evitare di averci a che fare. Impatta, e tanto, anche su chi nella vita si dedica alla produzione dei dischi. Il mercato dei dischi natalizi, una tradizione americana incrollabile tanto quanto il tacchino il giorno del ringraziamento, è ancora piuttosto fiorente in un paese che da tempo ha sostituito il Natale con il più politically correct “stagione delle feste”, la holidays season per non urtare i credenti di altre religioni o i non credenti. Abitudine che sta prendendo piede anche da noi.



Resta il fatto che il Natale è il compimento di una attesa a cui ognuno consapevole o no guarda e per questo ci sono dischi di Natale che sembrano fatti per placare questa attesa. Per qui pochi minuti che può durare una canzone, l'attesa può trovare una risposta, trovare soddisfazione, evocare un oltre che supera di schianto la nostra fragile intemperanza. Sentimentalismo? No, a quello ci pensano i dischi di Natale di Mariah Carey o di Kenny G. La mia vita per ora è solo un’attesa, sembrano dire invece ben altre canzoni. L'attesa che avvenga. Cosa? Che quaklcuno ci venga incontro a dirci che la nostra sofferenza è finita. Solo chi ha molto sofferto attende.

Perché ad esempio uno come Mark Lanegan sente il bisogno di fare un disco di Natale? Le domande ovvie con lui non hanno risposte ovvie.


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Friday, December 14, 2012

Merry Christmas you scumbag!

FAIRYTALE OF NEW YORK – The Pogues, album: “If I Should Fall from Grace with God”; anno di pubblicazione: 1987 - C'è chi l'ha definita la più bella canzone di Natale di tutti i tempi. Potrebbe essere vero, dipende da cosa si intende per Natale, ma anche cosa si intende della vita intera. Se la vita è una lotta, una battaglia quotidiana per rimanere a galla davanti alla nostra e altrui meschinità e se il Natale è quel momento in cui appare possibile che un bene trionfi sul male di vivere, allora questa canzone è senz'altro la più bella canzone di Natale mai scritta. Tra l'altro il brano, ripubblicato proprio in questo ultimo scorcio dell'anno in occasione del 25esimo anniversario dall'uscita originaria, sta salendo le classifiche in molti paesi, segno di quanto sia ancora oggi apprezzato dagli ascoltatori.



Fairytale of New York infatti è sì una bella favola, come suggerisce il titolo, ma è anche quanto di più realistico si possa ascoltare in una canzone. Realismo e spavalderia tutte irlandesi ovviamente, seppur di irlandesi che vivono a New York come tantissimi di loro. E' in questo brano che il genio trasgressivo di Shane McGowan raggiunge il vertice di quanto scritto per il suo gruppo di sempre, i Pogues, o anche nei pochi suoi dischi solisti. Shane McGowan, un maledetto del rock, dimostra tutto il suo grande cuore in questa canzone. Qualche anno fa, dopo aver rivisto i Pogues in concerto dopo quasi vent'anni dalla prima volta, parlai con l'amico John Waters (che in un'altra conversazione mi aveva detto di considerare McGowan "un genio") di quali condizioni miserabili fosse ridotto il cantante. Per tutto il concerto infatti, alla fine di ogni brano, doveva sparire per alcuni minuti dal palco: il motivo non si sa, ma l'ipotesi poteva essere una sola, cercare di recuperare con qualche sostanza medica, o non, le forze, visto che sul palco sembrava un derelitto alcolizzato con poco tempo rimastogli da vivere.

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Friday, November 25, 2011

Natale il 31 gennaio



Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go

Show me the place, help me roll away the stone
Show me the place, I can’t move this thing alone
Show me the place where the word became a man
Show me the place where the suffering began

The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains, a lot of chains Like a spade

Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go

The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains so I loved you like a slave

(Leonard Cohen, Show me the Place)

Salvate i soldini a Natale se i nuovi padroni dell'Europa Sarkozy e Merkel ve ne lasciano ancora qualcuno. I due regali-regaloni da fare-farsi quest'anno arrivano più di un mese dopo Christmas time. In contemporanea. Lo stesso giorno infatti escono due dischi di cui uno, ovvio, è imperdibile e non si accettano scuse per lasciarlo lì, sugli scaffali virtuali del vostro negozio online. Almeno a giudicare dalle premesse. Dovrebbe cioè essere molto differente dall'ultimo suo lavoro, quel Dear Heather che aveva scontentato anche me che adoro quasi ogni secondo della musica di Leonard Cohen. Old Ideas a giudicare dal primo brano messo in Rete sembra avere parecchio di più.




Dice la sua casa discografica che questo "è identificabile come il più apertamente spirituale tra gli album pubblicati fino ad oggi". Per uno che ha fatto della spiritualità la sua musa, direi che suona stuzzicante. E ancora: "Le dieci canzoni del nuovo disco affrontano con linguaggio poetico alcuni dei più profondi dilemmi dell’umana esistenza: la relazione con un essere trascendente, l’amore, la sessualità, la perdita e la morte". Ci vado a nozze, soprattutto con la perdita. Come il titolo del suo libro, infatti, io sono un "beatiuful loser": beautiful magari poco, perdente tantissimo. E' tutta la vita che perdo. Ma attenzione, perché parla anche Cohen: “Maturando ho capito le istruzioni per l’uso che accompagnavano la mia voce. E queste istruzioni prevedono di non lamentarsi mai in modo casuale. Se proprio bisogna esprimere la grande, inevitabile sconfitta che attende ognuno di noi, bisogna almeno farlo rimanendo entro gli stretti confini della dignità e della bellezza”. Agli ordini Fieldcommander Cohen: la sconfitta quotidiana è il nostro mestiere.



L'altro acquisto invece sarà solo per gli hard core fan, ma sembra promettere assai. Un quadruplo cd che raccoglie ben 73 pezzi quasi tutti incisi per l'occasione: pensate che c'è anche Mark Knopfler che fa Restless Farewell. Wow. Si tratta di Chimes of Freedom: Songs of Bob Dylan Honoring 50 Years of Amnesty International, per festeggiare i 50 anni di Amnesty International. Detro, personaggini per tutti, ma proprio tutti i gusti: Adele, Patti Smith, Pete Townsend, Ke$ha, The Gaslight Anthem, Sting, Jackson Browne, Elvis Costello, Sinead O’Connor, Kris Kristofferson, Bad Religion, Marianne Faithfull, My Chemical Romance, Bryan Ferry, Pete Seeger. Dicono i tipi di Amnesty: “La musica di Bob Dylan è eterna perché cattura in modo unico il nostro struggimento, la nostra gioia, la nostra fragilità e il nostro coraggio. Pochi artisti come lui riescono ad avere una tale profondità nei testi, ispirandoci così tanto e arrivando sempre a superare le nostre aspettative. Noi di Amnesty International siamo immensamente grati nei suoi confronti e nei confronti di tutti gli artisti che hanno contribuito a questo progetto”. Salvate i soldini, se ve ne rimangono ancora. Questi sono (fucking) hard times.

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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