E' una giornata di sole oggi a Los Angeles. D'altro canto a Los Angeles c'è sempre il sole. L'anziano signore, sempre elegantemente vestito, sobrio ma con cura, si gode quei raggi caldi nel piccolo giardino della sua modesta abitazione. Il lusso e quel genere di cose non l'hanno mai interessato più di tanto.
Era cresciuto sì in una grande e bella casa del quartiere ebraico, uno dei più signorili di Montreal in Canada, ma nella vita si era abituato sempre allo stretto necessario. Fin da quando poco più che ventenne aveva vissuto in una stanzetta fredda e minuscola a Londra, per scrivere il suo primo romanzo.
Oggi a Los Angeles è una bella giornata, ma lui sente una inquietudine strana, un dolore sconosciuto. Non si preoccupa più di tanto. Ha sempre convissuto con il dolore, la malinconia e la tristezza e alla fine ha capito che sono le cose che danno gusto alla vita: "C'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che passa la luce". La sofferenza per troppo amore. Ogni tanto sorseggia una tazza di caffè nero, si accende anche una sigaretta. Quando aveva smesso di fumare, più di vent'anni fa, con una battuta aveva detto: "Ricomincerò a 80 anni". Era il suo classico umorismo ebraico, in realtà voleva dire che a 80 anni non ci sarebbe mai arrivato. Aveva sempre aspettato la morte nel corso della sua vita. Aveva flirtato con lei, l'aveva derisa e l'aveva implorata, specie quando la depressione si era fatta forte e devastante tanto che i suoi musicisti lo avevano soprannominato "Capitan Mandrax", dall'anti depressivo che prendeva a dosi massicce quando era in tour, per darsi la forza di salire sul palco e cantare, lui uomo discreto, riservato e umile. Una volta, in Israele, mentre cantava So Long Marianne era scoppiato in lacrime e aveva interrotto il concerto. Poi gli era venuta una idea assurda: un intero tour negli ospedali psichiatrici, qualcosa che nessuno aveva e avrebbe mai fatto. Non sapeva più come era venuta fuori quell'idea, forse perché lui con quella gente si trovava in sintonia più che con quelli che stavano fuori dei manicomi.
"Ho visto il futuro del rock'n'roll e il suo nome non è Leonard Cohen" aveva scherzato quando era stato celebrato alla Rock'n'roll Hall of Fame qualche anno prima, davanti a quel Jon Landau che con quelle parole aveva lanciato un vero rocker, Bruce Springsteen. Già, lui non era mai stato parte di quel circo, pensava.
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Saturday, November 12, 2016
Friday, October 23, 2015
La chiave dell'anima
C'è una zona franca nelle nostre esistenze, dove nessuno può entrare, neanche i violenti e i dittatori. "È qualcosa che sfugge ai leader, che il potere non può controllare, una delle pochissime. Nessun dittatore può imbrigliarla. È zona franca, l’unica che ci resta" ha detto poco tempo fa Keith Richards nel corso di una intervista parlando della musica rock e delle canzoni.
Ho sempre vissuto una esperienza similare quando ho ascoltato una canzone, sin dalle primissime volte, quando ero un ragazzino. Nel momento stesso in cui le prime note si spargono nell'aria, è come se un muro si ergesse tra me e il mondo, tra me e gli altri. Una forza più grande di me mi trascina, mi trasporta e mi conduce altrove. In quella zona franca di cui parla Keith Richards. Lì, nessuno può entrare, tantomeno il male del mondo, i potenti, i violenti, i dittatori. Il mio stesso male rimane fuori. E' una forma di autismo probabilmente, ma è salvifico. A me ha salvato la vita.
E soprattutto non sono stato io a creare questi muri. Non è stata una costruzione auto imposta. E' accaduto. Una liberazione immensa, qualcosa di più grande di me e di misterioso. Succede continuamente, anche quando accendo la radio in macchina, qualcosa si sovrappone al rumore fastidioso, alle chiacchiere inutili e banali. A volte mi sono dovuto fermare e accostare la macchina al ciglio della strada per non perdere un istante di una canzone che stava passando improvvisamente. A volte una frase rivoltami mentre ascoltavo una canzone mi ha fatto male come uno schiaffone in faccia, perché ha interrotto quel mio viaggio meraviglioso.
Non è che necessariamente l'ascolto di una canzone mi faccia stare meglio o peggio, semplicemente mi tira fuori da me, spalanca il mio io a un Io più grande. A volte mentre ascolto un disco sto galleggiando sopra il mio corpo disteso là, sopra il divano. Lo guardo affascinato e sono in trance.
"Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima" ha detto ancora Richards. Neanche io ho mai fatto una esperienza più liberante, solo in quei momenti sono in contatto con la mia anima, il mio io più profondo e troppo spesso trascurato dalla vita.
Naturalmente questo tipo di esperienza non è sufficiente per condurre una esistenza "liberata". Il fatto stesso che la canzone dopo tre o quattro minuti finisca è un brutale ritorno alla realtà, una realtà che va comunque affrontata. Ma quello che ho vissuto in quei pochi minuti in quella zona franca, lascia una sorta di eco che riverbera dentro di me, suggerendomi che la vita è qualcosa che va oltre e verso quell'oltre io posso e devo guardare.
Se oggi le canzoni rock hanno perso in gran parte quella carica propulsiva e immaginifica che possedevano, c'è abbastanza materiale in cinquant'anni di storia per attingervi continuamente. Qualcosa che è sempre stato trascurato, qualcosa definito un passatempo, una distrazione, qualcosa che non ha mai avuto una dignità culturale, almeno in Italia.
Nei paesi angloamericani le canzoni rock sono state recepite come quello che sono state per davvero, il più grande esperimento innovatore culturale e sociale del novecento. Una esplosione di libertà, di porte abbattute, di connessione dell'anima con il grande spirito che muove l'universo. Presidenti della Repubblica, primi ministri, scienziati, scrittori e registi citano continuamente canzoni rock, attingono a quella carica per giudicare il presente. C'è una mole immensa di giudizi storici e politici, ma soprattutto umani, nelle canzoni rock. Nessun altra forma di comunicazione degli ultimi cinquanta, sessant'anni ha espresso in maniera talmente profonda il contenuto del cuore dell'uomo: bisogno di felicità, di giustizia, di amore, di significato, il grido dell'uomo in poche parole.
Ci sono dischi come Highway 61 Revisited di Bob Dylan che descrivono meglio di qualunque trattato socio politico che cosa succedeva nell'America degli anni 60 e ci sono canzoni come Stairway to Heaven dei Led Zeppelin che descrivono tutto il mistero che inabita nell'uomo e oltre l'uomo.
Ma in Italia tutto questo non è mai stato recepito. E' un peccato. Continuiamo ad assistere a dibattici politici che usano formule appartenenti a un passato naufragato, che non hanno più nulla da dire all'uomo di oggi, linguaggi che si rifanno a ideologie marxiste, liberal che non parlano più a una umanità che intanto è andata da un'altra parte. Professori universitari e insegnati scolastici insistono in linguaggi codificati che non dicono nulla ai giovani, non sanno suscitare alcun interesse, censurando la ricchezza del loro io. Eppure c'è un patrimonio là fuori, in centinaia di dischi, che sa dire tanto.
Immaginate di tornare a casa ogni sera e trovare cucinato da vostra moglie lo stesso menu. Un piatto di pastasciutta al sugo rosso e una bistecca. Così ogni sera della vita. Poi una volta per caso entrate in cucina e trovate ogni ben di dio, carni, pesce, condimenti succulenti, piatti di ogni tipo. Vostra moglie è lì che se li sta godendo. Voi ne assaggiate qualcuno, vi incuriosite, ma poi tornate alla sicurezza della pastasciutta. Così accade con le canzoni rock, lasciate in cucina per pochi.
Le trasmissioni televisive italiane hanno imposto da tempo un blackout cerebrale. Il modo di intervistare i musicisti, sempre con le solite domande a base di luoghi comuni. Ma, più in generale, il fatto è che c'è poca o nessuna preparazione e si tirano fuori sempre le stesse cose: la droga, lo spirito ribelle, il sesso e la trasgressione.
Bob Dylan è il menestrello di Duluth e il cantore del '68, Bruce Springsteen è quello di Born in the Usa. Patti Smith è la sacerdotessa del punk.
In generale il rock trattato sempre come una cosa da ribelli, da alternativi, come una curiosità zoologica.
Un importante quotidiano a proposito del film su Janis Joplin, ha scritto: Jonis e i Bog Brothers.
Nella sua intervista Keith Richards lascia intuire che le canzoni rock hanno un linguaggio che va oltre e aiuta a capire cosa succede. "Solo più tardi avrei capito che in quelle cose che chiamavamo americane di America non c’era niente. Il paese è un miscuglio di razze. Questo e solo questo mi affascina degli Stati Uniti: al contrario dell’Europa, ne riconosci l’identità attraverso la musica più che attraverso la letteratura o la pittura".
Va bene citare i soliti noti, da Leopardi a Cesare Pavese, soprattutto perché è facile, scontato e non costa fatica, ma quanta ricchezza si potrebbe comunicare ai giovani parlando loro di Nick Cave o Leonard Cohen. Non è esterofilia: ci ripetono tutti i giorni che viviamo in un mondo globalizzato, ma vale solo per le strategie economiche. E la cultura?
Va bene leggere I promessi sposi, ma chissà cosa scatterebbe nei giovani se si leggessero Il libro del desiderio di Leonard Cohen, le poesie di Patti Smith o I diari del campo di basket di Jim Carroll.
"Per me il rock and roll è sempre stato per tutti, fin dall’inizio. Avvertivo qualcosa di profondissimo, di sconvolgente in quel ritmo. Mai pensato che fosse musica usa e getta. Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima". Chi quella chiave l'ha trovata, ringrazia.
Ho sempre vissuto una esperienza similare quando ho ascoltato una canzone, sin dalle primissime volte, quando ero un ragazzino. Nel momento stesso in cui le prime note si spargono nell'aria, è come se un muro si ergesse tra me e il mondo, tra me e gli altri. Una forza più grande di me mi trascina, mi trasporta e mi conduce altrove. In quella zona franca di cui parla Keith Richards. Lì, nessuno può entrare, tantomeno il male del mondo, i potenti, i violenti, i dittatori. Il mio stesso male rimane fuori. E' una forma di autismo probabilmente, ma è salvifico. A me ha salvato la vita.
E soprattutto non sono stato io a creare questi muri. Non è stata una costruzione auto imposta. E' accaduto. Una liberazione immensa, qualcosa di più grande di me e di misterioso. Succede continuamente, anche quando accendo la radio in macchina, qualcosa si sovrappone al rumore fastidioso, alle chiacchiere inutili e banali. A volte mi sono dovuto fermare e accostare la macchina al ciglio della strada per non perdere un istante di una canzone che stava passando improvvisamente. A volte una frase rivoltami mentre ascoltavo una canzone mi ha fatto male come uno schiaffone in faccia, perché ha interrotto quel mio viaggio meraviglioso.
Non è che necessariamente l'ascolto di una canzone mi faccia stare meglio o peggio, semplicemente mi tira fuori da me, spalanca il mio io a un Io più grande. A volte mentre ascolto un disco sto galleggiando sopra il mio corpo disteso là, sopra il divano. Lo guardo affascinato e sono in trance.
"Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima" ha detto ancora Richards. Neanche io ho mai fatto una esperienza più liberante, solo in quei momenti sono in contatto con la mia anima, il mio io più profondo e troppo spesso trascurato dalla vita.
Naturalmente questo tipo di esperienza non è sufficiente per condurre una esistenza "liberata". Il fatto stesso che la canzone dopo tre o quattro minuti finisca è un brutale ritorno alla realtà, una realtà che va comunque affrontata. Ma quello che ho vissuto in quei pochi minuti in quella zona franca, lascia una sorta di eco che riverbera dentro di me, suggerendomi che la vita è qualcosa che va oltre e verso quell'oltre io posso e devo guardare.
Se oggi le canzoni rock hanno perso in gran parte quella carica propulsiva e immaginifica che possedevano, c'è abbastanza materiale in cinquant'anni di storia per attingervi continuamente. Qualcosa che è sempre stato trascurato, qualcosa definito un passatempo, una distrazione, qualcosa che non ha mai avuto una dignità culturale, almeno in Italia.
Nei paesi angloamericani le canzoni rock sono state recepite come quello che sono state per davvero, il più grande esperimento innovatore culturale e sociale del novecento. Una esplosione di libertà, di porte abbattute, di connessione dell'anima con il grande spirito che muove l'universo. Presidenti della Repubblica, primi ministri, scienziati, scrittori e registi citano continuamente canzoni rock, attingono a quella carica per giudicare il presente. C'è una mole immensa di giudizi storici e politici, ma soprattutto umani, nelle canzoni rock. Nessun altra forma di comunicazione degli ultimi cinquanta, sessant'anni ha espresso in maniera talmente profonda il contenuto del cuore dell'uomo: bisogno di felicità, di giustizia, di amore, di significato, il grido dell'uomo in poche parole.
Ci sono dischi come Highway 61 Revisited di Bob Dylan che descrivono meglio di qualunque trattato socio politico che cosa succedeva nell'America degli anni 60 e ci sono canzoni come Stairway to Heaven dei Led Zeppelin che descrivono tutto il mistero che inabita nell'uomo e oltre l'uomo.
Ma in Italia tutto questo non è mai stato recepito. E' un peccato. Continuiamo ad assistere a dibattici politici che usano formule appartenenti a un passato naufragato, che non hanno più nulla da dire all'uomo di oggi, linguaggi che si rifanno a ideologie marxiste, liberal che non parlano più a una umanità che intanto è andata da un'altra parte. Professori universitari e insegnati scolastici insistono in linguaggi codificati che non dicono nulla ai giovani, non sanno suscitare alcun interesse, censurando la ricchezza del loro io. Eppure c'è un patrimonio là fuori, in centinaia di dischi, che sa dire tanto.
Immaginate di tornare a casa ogni sera e trovare cucinato da vostra moglie lo stesso menu. Un piatto di pastasciutta al sugo rosso e una bistecca. Così ogni sera della vita. Poi una volta per caso entrate in cucina e trovate ogni ben di dio, carni, pesce, condimenti succulenti, piatti di ogni tipo. Vostra moglie è lì che se li sta godendo. Voi ne assaggiate qualcuno, vi incuriosite, ma poi tornate alla sicurezza della pastasciutta. Così accade con le canzoni rock, lasciate in cucina per pochi.
Le trasmissioni televisive italiane hanno imposto da tempo un blackout cerebrale. Il modo di intervistare i musicisti, sempre con le solite domande a base di luoghi comuni. Ma, più in generale, il fatto è che c'è poca o nessuna preparazione e si tirano fuori sempre le stesse cose: la droga, lo spirito ribelle, il sesso e la trasgressione.
Bob Dylan è il menestrello di Duluth e il cantore del '68, Bruce Springsteen è quello di Born in the Usa. Patti Smith è la sacerdotessa del punk.
In generale il rock trattato sempre come una cosa da ribelli, da alternativi, come una curiosità zoologica.
Un importante quotidiano a proposito del film su Janis Joplin, ha scritto: Jonis e i Bog Brothers.
Nella sua intervista Keith Richards lascia intuire che le canzoni rock hanno un linguaggio che va oltre e aiuta a capire cosa succede. "Solo più tardi avrei capito che in quelle cose che chiamavamo americane di America non c’era niente. Il paese è un miscuglio di razze. Questo e solo questo mi affascina degli Stati Uniti: al contrario dell’Europa, ne riconosci l’identità attraverso la musica più che attraverso la letteratura o la pittura".
Va bene citare i soliti noti, da Leopardi a Cesare Pavese, soprattutto perché è facile, scontato e non costa fatica, ma quanta ricchezza si potrebbe comunicare ai giovani parlando loro di Nick Cave o Leonard Cohen. Non è esterofilia: ci ripetono tutti i giorni che viviamo in un mondo globalizzato, ma vale solo per le strategie economiche. E la cultura?
Va bene leggere I promessi sposi, ma chissà cosa scatterebbe nei giovani se si leggessero Il libro del desiderio di Leonard Cohen, le poesie di Patti Smith o I diari del campo di basket di Jim Carroll.
"Per me il rock and roll è sempre stato per tutti, fin dall’inizio. Avvertivo qualcosa di profondissimo, di sconvolgente in quel ritmo. Mai pensato che fosse musica usa e getta. Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima". Chi quella chiave l'ha trovata, ringrazia.
Friday, December 26, 2014
Il giorno dopo Natale
You got me singing
Like a prisoner in a jail
You got me singing
Like my pardon's in the mail
Ieri ho visto un uomo anziano piangere. Un uomo anziano che piange destabilizza sempre più che il pianto di chiunque altro. Improvvisamente il volto dell’uomo anziano si contrae e si trasforma in quello di un bambino piccolo. Passato, presente e futuro si sciolgono insieme nelle lacrime. Ci stava raccontando della sua infanzia e si è commosso.
Più passa il tempo della vita e quei momenti, certi momenti dell’infanzia, diventano quei momenti della felicità più piena, quei momenti che si rimpiangono di più. Rimpiangere, piangere di nuovo e ancora.
Quei momenti in cui ogni cosa era perfetta e la vita serena. Con il passare del tempo quei momenti si restringono sempre di più fino in molti casi a scomparire. Restano amarezza, dolore, sofferenza, rabbia. Restano piccole oasi di felicità sempre più piccole, mille punti di felicità che a fatica si riesce a unire con una retta, dispersi in migliaia di ore e di giorni e di notti di dolore e paura. La vita diventa un ricordare, ma a stento. Restano le mille maschere del compromesso a cui la vita ti sottopone per riuscire soltanto ad andare avanti. Il prezzo che ognuno paga è enorme e spropositato, ingiusto.
Non resta che restare attaccati a quei momenti che più diventi vecchio più diventano la commozione e la gratitudine di averli vissuti.
In attesa che tutto si compia e si torni per l’eternità a quei momenti. Quei momenti in cui qualcosa o qualcuno ci ha fatto cantare, cantare l’alleuja. Anche se siamo stati prigionieri per tutto il resto della vita.
Like a prisoner in a jail
You got me singing
Like my pardon's in the mail
Ieri ho visto un uomo anziano piangere. Un uomo anziano che piange destabilizza sempre più che il pianto di chiunque altro. Improvvisamente il volto dell’uomo anziano si contrae e si trasforma in quello di un bambino piccolo. Passato, presente e futuro si sciolgono insieme nelle lacrime. Ci stava raccontando della sua infanzia e si è commosso.
Più passa il tempo della vita e quei momenti, certi momenti dell’infanzia, diventano quei momenti della felicità più piena, quei momenti che si rimpiangono di più. Rimpiangere, piangere di nuovo e ancora.
Quei momenti in cui ogni cosa era perfetta e la vita serena. Con il passare del tempo quei momenti si restringono sempre di più fino in molti casi a scomparire. Restano amarezza, dolore, sofferenza, rabbia. Restano piccole oasi di felicità sempre più piccole, mille punti di felicità che a fatica si riesce a unire con una retta, dispersi in migliaia di ore e di giorni e di notti di dolore e paura. La vita diventa un ricordare, ma a stento. Restano le mille maschere del compromesso a cui la vita ti sottopone per riuscire soltanto ad andare avanti. Il prezzo che ognuno paga è enorme e spropositato, ingiusto.
Non resta che restare attaccati a quei momenti che più diventi vecchio più diventano la commozione e la gratitudine di averli vissuti.
In attesa che tutto si compia e si torni per l’eternità a quei momenti. Quei momenti in cui qualcosa o qualcuno ci ha fatto cantare, cantare l’alleuja. Anche se siamo stati prigionieri per tutto il resto della vita.
Monday, September 22, 2014
Dacci oggi il nostro problema popolare
E' bello diventare vecchi. Ce lo dice Leonard Cohen, 80 anni appena compiuti e un disco nuovo nuovo che esce in questi giorni, "Popular Problems". Un disco che fa venir voglia di ridere. Non un riso beota come quello a cui siamo abituati, ma un riso di gioia, come quello di un bambino. Vecchio e bambino in fondo è la stessa cosa, entrambi hanno una innocenza che si perde nella strada di mezzo, anche se questo nostro mondo moderno ci fa credere che essere anziani è una cosa brutta e allora meglio soluzioni facili come l'eutanasia legalizzata per evitare il problema.
No, c'è un modo di diventare vecchi, che è davvero bello. Certo, dipende da come si è vissuta la vita. Se la si è sprecata in sogni, ideologie, simboli fasulli, superficialità, quelli di cui ci inondano le pubblicità televisive, diventare vecchi sarà un incubo. Se la vita la si è spesa alla ricerca della Bellezza, essere vecchi porterà al disvelarsi di questa ricerca.
Non che il nuovo disco del poeta canadese sia così gioioso, almeno per quanto riguarda le liriche, che tratteggiano invece un mondo infernale dove la violenza, lo stupro, la guerra, le ingiustizie sono cibo quotidiano (Ho visto gente morire di fame / Eccidi, stupri / I villaggi bruciati / E loro in fuga / Non potevo incontrare i loro sguardi / Fissavo le mie scarpe / Era acido, era tragico / Quasi come il blues). Ma è il modo con cui Cohen affronta questi "problemi popolari", perché ce li hanno tutti anche se fanno finta di non vedere, che è illuminante e rasserenante.
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No, c'è un modo di diventare vecchi, che è davvero bello. Certo, dipende da come si è vissuta la vita. Se la si è sprecata in sogni, ideologie, simboli fasulli, superficialità, quelli di cui ci inondano le pubblicità televisive, diventare vecchi sarà un incubo. Se la vita la si è spesa alla ricerca della Bellezza, essere vecchi porterà al disvelarsi di questa ricerca.
Non che il nuovo disco del poeta canadese sia così gioioso, almeno per quanto riguarda le liriche, che tratteggiano invece un mondo infernale dove la violenza, lo stupro, la guerra, le ingiustizie sono cibo quotidiano (Ho visto gente morire di fame / Eccidi, stupri / I villaggi bruciati / E loro in fuga / Non potevo incontrare i loro sguardi / Fissavo le mie scarpe / Era acido, era tragico / Quasi come il blues). Ma è il modo con cui Cohen affronta questi "problemi popolari", perché ce li hanno tutti anche se fanno finta di non vedere, che è illuminante e rasserenante.
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Monday, March 24, 2014
She is with the band
Un giorno di metà anni settanta, salì su un aereo e da Londra, dov'era nata, andò fino a Los Angeles. Aveva vent'anni, Sylvie Simmons, e in quel modo incosciente realizzò il suo sogno più grande, vivere la sua vita dentro alla musica. Oggi vive a San Francisco ed è una delle più quotate scrittrici rock del mondo, una delle pochissime donne ad aver fatto breccia in un ambiente fortemente maschilista, quello del giornalismo musicale. Il suo ultimo libro, la biografia di Leonard Cohen, "I'm Your Man" (pubblicato anche in Italia da Caissa Italia Editore), è un best-seller mondiale tradotto in oltre dieci lingue. Dopo aver collaborato con le maggiori riviste musicali degli anni 70 e 80, come Cream e Sound, scrive oggi sin dal primo numero per quella che è la miglior rivista musicale del mondo, Mojo, per la quale ha realizzato dozzine di interviste straordinarie, come quei cinque giorni passati insieme a Johnny Cash a casa sua pochi mesi prima che questi morisse.Con lei abbiamo parlato di "quel piccolo sciocco pezzo di musica che si ama così tanto da stare male".
Nel film di Cameron Crowe, "Almost Famous/Quasi famosi" c'è una frase detta da una delle protagoniste a un musicista: "Non riuscite a capire cosa significhi amare così tanto un piccolo, sciocco pezzo di musica o una band, da starci male": E' davvero possibile stare male per una canzone?
Assolutamente, credo profondamente che la musica possa suscitare una passione così forte come l'amore per un uomo, una donna, un bambino, un animale. Sin da quando ero una bambina, ero ossessionata con la musica in tutte le sue forme, ho sempre desiderato una vita nella musica, ma non ero sicura di come poter fare. Deve essere un percorso che segui per conto tuo, la mia passione per la musica batte ogni altro tipo di passione.
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Nel film di Cameron Crowe, "Almost Famous/Quasi famosi" c'è una frase detta da una delle protagoniste a un musicista: "Non riuscite a capire cosa significhi amare così tanto un piccolo, sciocco pezzo di musica o una band, da starci male": E' davvero possibile stare male per una canzone?
Assolutamente, credo profondamente che la musica possa suscitare una passione così forte come l'amore per un uomo, una donna, un bambino, un animale. Sin da quando ero una bambina, ero ossessionata con la musica in tutte le sue forme, ho sempre desiderato una vita nella musica, ma non ero sicura di come poter fare. Deve essere un percorso che segui per conto tuo, la mia passione per la musica batte ogni altro tipo di passione.
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Tuesday, July 30, 2013
Book of mercy
Blessed is the covenant of love, the covenant of mercy, useless light behind the terror, deathless song in the house of night
(Leonard Cohen)
Attraversava il parcheggio dell’autogrill affascinato da quella luce innaturale. Innaturale perché troppo, esageratamente rilucente. Il caldo era intollerabile, in un’altra occasione sarebbe stato schifosamente intollerabile anche per lui che odiava anche le temperature primaverili. Ma quel giorno, quel pomeriggio? Non sapeva dire che ore fossero realmente, la luce intensa non gli faceva sentire neanche il caldo. Alcuni uomini, forse lavoratori dell’autostrada, gli venivano incontro parlando a voce alta, pregustando la pausa dentro al bar una birra gelata e poi via verso casa investiti anche loro da quel sole sfolgorante. Risplendevano in quella luce e sembravano brave persone. Non sapeva perché era lì non sapeva dove era ma per qualche istante provò una pace infinita. Si accese una sigaretta sotto a un pino ombroso. Si guardò le mani e le vide sporche di sangue, dalle dita gocciolavano copiosi gettiti rosso scuro. Che cosa aveva fatto? Non lo sapeva. Ma sentiva il peso del male e quello della morte schiantarsi adesso su di lui., la tenerezza di poco prima era già stata ingoiata altrove. Ma poco importava. C’era ben poco che importava ormai nella sua vita.
Se era lui l’assassino, se era lui il colpevole, non lo avrebbe saputo mai, ma in ogni caso era destinato a convivere con il male. Lontano da quella piazzola incantata baciata da un sole innaturale, tutto riprendeva i contorni indefiniti del male, il male che ogni giorno si stringeva sempre più addosso a lui. Il mondo steso era incarnazione del male. Oh la menzogna, la bugia come stile di vita. Non lui, o forse sì anche lui naturalmente. Il velo squarciato sulla pochezza la pacchianità dell’esistenza gli aveva mostrato il volto della menzogna: impossibile sfuggirne. Troppo troppo tardi. Ogni faccia, ogni ghigno, ogni pacca sulla spalla: menzogna menzogna menzogna.
Alla fine in qualche modo arrivò a casa o quella che credeva essere ancora casa sua. Abbandonata, come ben sapeva ancor prima di entrarci. La casa abbandonata piange le sue vittime da ogni finestra aperta sul nulla la casa sbattuta dal vento le stanze raggelate e raggelanti le presenze non più presenti. Il vuoto. Il silente silenzio. Non aveva senso restare lì ma ci rimase. Non aspettava più nessuno, doveva solo decidersi a farlo. Lo avrebbe fatto o la casa glielo avrebbe fatto fare. Canzone senza morte nella casa della notte?
“Quando uno si ritrova incapace di funzionare, l’unica possibilità è rivolgersi alla fonte assoluta delle cose. L’unica cosa che puoi fare è la preghiera” (Leonard Cohen)
(Leonard Cohen)
Attraversava il parcheggio dell’autogrill affascinato da quella luce innaturale. Innaturale perché troppo, esageratamente rilucente. Il caldo era intollerabile, in un’altra occasione sarebbe stato schifosamente intollerabile anche per lui che odiava anche le temperature primaverili. Ma quel giorno, quel pomeriggio? Non sapeva dire che ore fossero realmente, la luce intensa non gli faceva sentire neanche il caldo. Alcuni uomini, forse lavoratori dell’autostrada, gli venivano incontro parlando a voce alta, pregustando la pausa dentro al bar una birra gelata e poi via verso casa investiti anche loro da quel sole sfolgorante. Risplendevano in quella luce e sembravano brave persone. Non sapeva perché era lì non sapeva dove era ma per qualche istante provò una pace infinita. Si accese una sigaretta sotto a un pino ombroso. Si guardò le mani e le vide sporche di sangue, dalle dita gocciolavano copiosi gettiti rosso scuro. Che cosa aveva fatto? Non lo sapeva. Ma sentiva il peso del male e quello della morte schiantarsi adesso su di lui., la tenerezza di poco prima era già stata ingoiata altrove. Ma poco importava. C’era ben poco che importava ormai nella sua vita.
Se era lui l’assassino, se era lui il colpevole, non lo avrebbe saputo mai, ma in ogni caso era destinato a convivere con il male. Lontano da quella piazzola incantata baciata da un sole innaturale, tutto riprendeva i contorni indefiniti del male, il male che ogni giorno si stringeva sempre più addosso a lui. Il mondo steso era incarnazione del male. Oh la menzogna, la bugia come stile di vita. Non lui, o forse sì anche lui naturalmente. Il velo squarciato sulla pochezza la pacchianità dell’esistenza gli aveva mostrato il volto della menzogna: impossibile sfuggirne. Troppo troppo tardi. Ogni faccia, ogni ghigno, ogni pacca sulla spalla: menzogna menzogna menzogna.
Alla fine in qualche modo arrivò a casa o quella che credeva essere ancora casa sua. Abbandonata, come ben sapeva ancor prima di entrarci. La casa abbandonata piange le sue vittime da ogni finestra aperta sul nulla la casa sbattuta dal vento le stanze raggelate e raggelanti le presenze non più presenti. Il vuoto. Il silente silenzio. Non aveva senso restare lì ma ci rimase. Non aspettava più nessuno, doveva solo decidersi a farlo. Lo avrebbe fatto o la casa glielo avrebbe fatto fare. Canzone senza morte nella casa della notte?
“Quando uno si ritrova incapace di funzionare, l’unica possibilità è rivolgersi alla fonte assoluta delle cose. L’unica cosa che puoi fare è la preghiera” (Leonard Cohen)
Wednesday, July 10, 2013
There is a crack. In everything
Il ragazzino prese uno dei papillon del padre morto, lo slegò e vi nascose all'interno un piccolo foglio di carta sui cui aveva scritto qualcosa. Il giorno seguente, con una piccola cerimonia intima, scavò una buca e vi mise dentro il papillon nel giardino sotto la neve. "Da allora Leonard (Cohen) ha descritto quel foglio come il suo primo scritto. Ha anche detto di non ricordare cosa vi fosse scritto e di aver 'scavato nel giardino per anni alla sua ricerca. Chissà, forse io non faccio altro che cercare quell'appunto'". Comincia probabilmente così la carriera del più grande poeta canadese del novecento e uno dei più grandi al mondo, Leonard Cohen, come lo racconta la bellissima biografia scritta dalla giornalista Sylvie Simmons e da poco pubblicata anche in Italia grazie all'interessamento della casa editrice Caissa Italia (tradotta ottimamente da Yuri Garrett), "I'm your man, vita di Leonard Cohen" - 478 pagine, 25 euro. La Simmons è una delle più quotate scrittrici rock e ha potuto godere della collaborazione dello stesso Cohen.
Quella ricerca inconscia di cosa fosse scritto in quel bigliettino, quando a 9 anni di età Cohen perde il padre, è quello che in fondo tutti facciamo, poeti o no: sono quegli anni, quelli dell'infanzia e dell'adolescenza, che ci segnano per il resto della vita, nel bene e nel male. La vita è solo portare a compimento, se ci si riesce naturalmente, quello che la vita stessa ti mette davanti. Per Cohen questo è successo con la parola, prima scritta poi cantata, ricercando quel bigliettino scritto per il padre morto.
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Quella ricerca inconscia di cosa fosse scritto in quel bigliettino, quando a 9 anni di età Cohen perde il padre, è quello che in fondo tutti facciamo, poeti o no: sono quegli anni, quelli dell'infanzia e dell'adolescenza, che ci segnano per il resto della vita, nel bene e nel male. La vita è solo portare a compimento, se ci si riesce naturalmente, quello che la vita stessa ti mette davanti. Per Cohen questo è successo con la parola, prima scritta poi cantata, ricercando quel bigliettino scritto per il padre morto.
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Tuesday, January 31, 2012
Dio, sesso e letteratura
«C'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che passa la luce». Avesse scritto anche solo questo verso nella sua ultraquarantennale carriera, Leonard Cohen si sarebbe meritato un posto eterno tra le grandi voci della letteratura di ogni tempo. Nella crepa, nella ferita del cuore e nel cuore, nell’accorgersi della ferita e nell'accettazione di essa, sta infatti un livello di consapevolezza che trova paragoni nelle pagine di un Dostoyevsky o di un Thomas Eliot.
Ma Leonard Cohen è anche un cantautore legato all'epopea della musica rock: così facendo, la eleva automaticamente nel contesto della grande letteratura. Qualcuno l'ha definito un "santo secolare". Prima poeta e romanziere, poi cantautore, il canadese Leonard Cohen è l'ebreo errante, il profeta biblico che guarda da sopra la voragine il mondo che va in frantumi proprio perché ha preteso chiudere quella ferita del cuore ostruendola con la vacua presunzione di farcela da solo, anestetizzandone il sangue. Nessun dolore, nessun problema.

Pochi come Cohen hanno saputo descrivere con tanta lucidità, con tanto commovente realismo tutto quello che è il cuore dell'uomo, in ogni epoca e in ogni latitudine: la lotta continua tra carne e spirito, tra desiderio e peccato, tra immanenza e trascendenza. "Tutto quello che metto in una canzone" ha detto recentemente "è la mia esperienza". Qualcun altro ha aggiunto brillantemente che l'opera di Cohen è quel punto dove Dio, il sesso e la letteratura si incontrano, cioè l’umanità stessa dell’uomo.
CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE LA RECENSIONE DI OLD IDEAS IL NUOVO DISCO DI LEONARD COHEN
Ma Leonard Cohen è anche un cantautore legato all'epopea della musica rock: così facendo, la eleva automaticamente nel contesto della grande letteratura. Qualcuno l'ha definito un "santo secolare". Prima poeta e romanziere, poi cantautore, il canadese Leonard Cohen è l'ebreo errante, il profeta biblico che guarda da sopra la voragine il mondo che va in frantumi proprio perché ha preteso chiudere quella ferita del cuore ostruendola con la vacua presunzione di farcela da solo, anestetizzandone il sangue. Nessun dolore, nessun problema.

Pochi come Cohen hanno saputo descrivere con tanta lucidità, con tanto commovente realismo tutto quello che è il cuore dell'uomo, in ogni epoca e in ogni latitudine: la lotta continua tra carne e spirito, tra desiderio e peccato, tra immanenza e trascendenza. "Tutto quello che metto in una canzone" ha detto recentemente "è la mia esperienza". Qualcun altro ha aggiunto brillantemente che l'opera di Cohen è quel punto dove Dio, il sesso e la letteratura si incontrano, cioè l’umanità stessa dell’uomo.
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Friday, November 25, 2011
Natale il 31 gennaio

Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, help me roll away the stone
Show me the place, I can’t move this thing alone
Show me the place where the word became a man
Show me the place where the suffering began
The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains, a lot of chains Like a spade
Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go
The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains so I loved you like a slave
(Leonard Cohen, Show me the Place)
Salvate i soldini a Natale se i nuovi padroni dell'Europa Sarkozy e Merkel ve ne lasciano ancora qualcuno. I due regali-regaloni da fare-farsi quest'anno arrivano più di un mese dopo Christmas time. In contemporanea. Lo stesso giorno infatti escono due dischi di cui uno, ovvio, è imperdibile e non si accettano scuse per lasciarlo lì, sugli scaffali virtuali del vostro negozio online. Almeno a giudicare dalle premesse. Dovrebbe cioè essere molto differente dall'ultimo suo lavoro, quel Dear Heather che aveva scontentato anche me che adoro quasi ogni secondo della musica di Leonard Cohen. Old Ideas a giudicare dal primo brano messo in Rete sembra avere parecchio di più.
Dice la sua casa discografica che questo "è identificabile come il più apertamente spirituale tra gli album pubblicati fino ad oggi". Per uno che ha fatto della spiritualità la sua musa, direi che suona stuzzicante. E ancora: "Le dieci canzoni del nuovo disco affrontano con linguaggio poetico alcuni dei più profondi dilemmi dell’umana esistenza: la relazione con un essere trascendente, l’amore, la sessualità, la perdita e la morte". Ci vado a nozze, soprattutto con la perdita. Come il titolo del suo libro, infatti, io sono un "beatiuful loser": beautiful magari poco, perdente tantissimo. E' tutta la vita che perdo. Ma attenzione, perché parla anche Cohen: “Maturando ho capito le istruzioni per l’uso che accompagnavano la mia voce. E queste istruzioni prevedono di non lamentarsi mai in modo casuale. Se proprio bisogna esprimere la grande, inevitabile sconfitta che attende ognuno di noi, bisogna almeno farlo rimanendo entro gli stretti confini della dignità e della bellezza”. Agli ordini Fieldcommander Cohen: la sconfitta quotidiana è il nostro mestiere.

L'altro acquisto invece sarà solo per gli hard core fan, ma sembra promettere assai. Un quadruplo cd che raccoglie ben 73 pezzi quasi tutti incisi per l'occasione: pensate che c'è anche Mark Knopfler che fa Restless Farewell. Wow. Si tratta di Chimes of Freedom: Songs of Bob Dylan Honoring 50 Years of Amnesty International, per festeggiare i 50 anni di Amnesty International. Detro, personaggini per tutti, ma proprio tutti i gusti: Adele, Patti Smith, Pete Townsend, Ke$ha, The Gaslight Anthem, Sting, Jackson Browne, Elvis Costello, Sinead O’Connor, Kris Kristofferson, Bad Religion, Marianne Faithfull, My Chemical Romance, Bryan Ferry, Pete Seeger. Dicono i tipi di Amnesty: “La musica di Bob Dylan è eterna perché cattura in modo unico il nostro struggimento, la nostra gioia, la nostra fragilità e il nostro coraggio. Pochi artisti come lui riescono ad avere una tale profondità nei testi, ispirandoci così tanto e arrivando sempre a superare le nostre aspettative. Noi di Amnesty International siamo immensamente grati nei suoi confronti e nei confronti di tutti gli artisti che hanno contribuito a questo progetto”. Salvate i soldini, se ve ne rimangono ancora. Questi sono (fucking) hard times.
Thursday, October 20, 2011
Se a piangere è Leonard Cohen
Non andartene docile in quella buona notte, vecchiaia dovrebbe ardere e infierire quando cade il giorno; infuria, infuria contro il morire della luce. Benché i saggi infine sappiano che la tenebra è giusta, poiché dalle parole loro non diramò alcun conforto, non se ne vanno docili in quella buona notte.
I buoni, che in preda all’ultima onda splendide proclamano le loro fioche imprese, avrebbero potuto danzare in una verde baia, e infuriano, infuriano contro il morire della luce. I selvaggi, che il sole al volo presero e cantarono, tardi apprendono come lo afflissero nella sua via, non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, vicini a morire, con cieca vista scorgono che i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillare ed esser gai; e infuriano Infuriano contro il morire della luce.
E te, padre mio, là sulla triste altura io prego, maledicimi, feriscimi con le tue fiere lacrime. Non andartene docile in quella buona notte. Infuria!, infuria! contro il morire della luce
(Dylan Thomas)

Alleluia Mr. Cohen, adesso Principe delle Asturie. Piangi Signor Cohen nel tuo impermeabile blu. Queste sono le cose belle della vita che spezzano il cuore. La poesia, la canzone, un libro malmesso, la bellezza che si impone in ogni dove, in ogni istante. Chiudete quel mondo cialtrone fuori della porta, spegnete quei televisori bugiardi, buttate via quelle radio furfanti. Avete Leonard Cohen, avete tanti come lui per farvi toccare il cuore davvero: non ci serve altro. Non andartene docile nella notte, resta ancora un po' con noi e raccontaci del tuo famoso impermeabile blu ancora una volta e di Marianne, Mr. Cohen, Principe delle Asturie. Resta ancora un po' e mostraci quella crepa che c'è in ogni cosa, e da dove passa la luce. Alleluia.

I buoni, che in preda all’ultima onda splendide proclamano le loro fioche imprese, avrebbero potuto danzare in una verde baia, e infuriano, infuriano contro il morire della luce. I selvaggi, che il sole al volo presero e cantarono, tardi apprendono come lo afflissero nella sua via, non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, vicini a morire, con cieca vista scorgono che i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillare ed esser gai; e infuriano Infuriano contro il morire della luce.
E te, padre mio, là sulla triste altura io prego, maledicimi, feriscimi con le tue fiere lacrime. Non andartene docile in quella buona notte. Infuria!, infuria! contro il morire della luce
(Dylan Thomas)

Alleluia Mr. Cohen, adesso Principe delle Asturie. Piangi Signor Cohen nel tuo impermeabile blu. Queste sono le cose belle della vita che spezzano il cuore. La poesia, la canzone, un libro malmesso, la bellezza che si impone in ogni dove, in ogni istante. Chiudete quel mondo cialtrone fuori della porta, spegnete quei televisori bugiardi, buttate via quelle radio furfanti. Avete Leonard Cohen, avete tanti come lui per farvi toccare il cuore davvero: non ci serve altro. Non andartene docile nella notte, resta ancora un po' con noi e raccontaci del tuo famoso impermeabile blu ancora una volta e di Marianne, Mr. Cohen, Principe delle Asturie. Resta ancora un po' e mostraci quella crepa che c'è in ogni cosa, e da dove passa la luce. Alleluia.


Thursday, February 10, 2011
Dance me. To the end of love
"Ansie, sogni, dolori,vigoria di aspra lotta, sconforti, palpiti di imprecisa bontà, ideali di luce, sete ardente d'amore, sono nelle poesie raccolte in questo libro così come nelle anime nostre: esso ti farà quindi affettuosa compagnia nella campagna solitaria nella quale tu vivi per sordida avarizia del destino.
Roma, 22 ottobre 1905"
Mio nonno a mia nonna, un secolo fa. Parole scoperte ieri notte su un vecchio libro di poesie che mi ha lasciato mia madre. Parole che ho pensato, pianto e scritto migliaia di volte in casi diversi. Siamo tutti un solo Cuore, che appartiene a un tempo immemorabile.
Dance me to the wedding now, dance me on and on
Dance me very tenderly and dance me very long
We're both of us beneath our love, we're both of us above
Dance me to the end of love
Roma, 22 ottobre 1905"
Mio nonno a mia nonna, un secolo fa. Parole scoperte ieri notte su un vecchio libro di poesie che mi ha lasciato mia madre. Parole che ho pensato, pianto e scritto migliaia di volte in casi diversi. Siamo tutti un solo Cuore, che appartiene a un tempo immemorabile.
Dance me to the wedding now, dance me on and on
Dance me very tenderly and dance me very long
We're both of us beneath our love, we're both of us above
Dance me to the end of love
Leonard Cohen - Dance Me to the End of Love from blog.memoonline.net on Vimeo.
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