Ci sono momenti, eventi, singole giornate che impattano sulla vita di tutti quanti, a qualunque latitudine. Il Natale è certamente l'evento che più impatta sulla vita di belli e brutti, credenti o non credenti. Ognuno poi vi risponde come vuole, ma nessuno può evitare di averci a che fare. Impatta, e tanto, anche su chi nella vita si dedica alla produzione dei dischi. Il mercato dei dischi natalizi, una tradizione americana incrollabile tanto quanto il tacchino il giorno del ringraziamento, è ancora piuttosto fiorente in un paese che da tempo ha sostituito il Natale con il più politically correct “stagione delle feste”, la holidays season per non urtare i credenti di altre religioni o i non credenti. Abitudine che sta prendendo piede anche da noi.
Resta il fatto che il Natale è il compimento di una attesa a cui ognuno consapevole o no guarda e per questo ci sono dischi di Natale che sembrano fatti per placare questa attesa. Per qui pochi minuti che può durare una canzone, l'attesa può trovare una risposta, trovare soddisfazione, evocare un oltre che supera di schianto la nostra fragile intemperanza. Sentimentalismo? No, a quello ci pensano i dischi di Natale di Mariah Carey o di Kenny G. La mia vita per ora è solo un’attesa, sembrano dire invece ben altre canzoni. L'attesa che avvenga. Cosa? Che quaklcuno ci venga incontro a dirci che la nostra sofferenza è finita. Solo chi ha molto sofferto attende.
Perché ad esempio uno come Mark Lanegan sente il bisogno di fare un disco di Natale? Le domande ovvie con lui non hanno risposte ovvie.
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Monday, December 24, 2012
Friday, November 25, 2011
Natale il 31 gennaio

Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, help me roll away the stone
Show me the place, I can’t move this thing alone
Show me the place where the word became a man
Show me the place where the suffering began
The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains, a lot of chains Like a spade
Show me the place, where you want your slave to go
Show me the place, I’ve forgotten I don’t know
Show me the place where my head is bend and low
Show me the place, where you want your slave to go
The troubles came I saved what I could save
A shred of light, a particle away
But there were chains so I hastened to the hay
There were chains so I loved you like a slave
(Leonard Cohen, Show me the Place)
Salvate i soldini a Natale se i nuovi padroni dell'Europa Sarkozy e Merkel ve ne lasciano ancora qualcuno. I due regali-regaloni da fare-farsi quest'anno arrivano più di un mese dopo Christmas time. In contemporanea. Lo stesso giorno infatti escono due dischi di cui uno, ovvio, è imperdibile e non si accettano scuse per lasciarlo lì, sugli scaffali virtuali del vostro negozio online. Almeno a giudicare dalle premesse. Dovrebbe cioè essere molto differente dall'ultimo suo lavoro, quel Dear Heather che aveva scontentato anche me che adoro quasi ogni secondo della musica di Leonard Cohen. Old Ideas a giudicare dal primo brano messo in Rete sembra avere parecchio di più.
Dice la sua casa discografica che questo "è identificabile come il più apertamente spirituale tra gli album pubblicati fino ad oggi". Per uno che ha fatto della spiritualità la sua musa, direi che suona stuzzicante. E ancora: "Le dieci canzoni del nuovo disco affrontano con linguaggio poetico alcuni dei più profondi dilemmi dell’umana esistenza: la relazione con un essere trascendente, l’amore, la sessualità, la perdita e la morte". Ci vado a nozze, soprattutto con la perdita. Come il titolo del suo libro, infatti, io sono un "beatiuful loser": beautiful magari poco, perdente tantissimo. E' tutta la vita che perdo. Ma attenzione, perché parla anche Cohen: “Maturando ho capito le istruzioni per l’uso che accompagnavano la mia voce. E queste istruzioni prevedono di non lamentarsi mai in modo casuale. Se proprio bisogna esprimere la grande, inevitabile sconfitta che attende ognuno di noi, bisogna almeno farlo rimanendo entro gli stretti confini della dignità e della bellezza”. Agli ordini Fieldcommander Cohen: la sconfitta quotidiana è il nostro mestiere.

L'altro acquisto invece sarà solo per gli hard core fan, ma sembra promettere assai. Un quadruplo cd che raccoglie ben 73 pezzi quasi tutti incisi per l'occasione: pensate che c'è anche Mark Knopfler che fa Restless Farewell. Wow. Si tratta di Chimes of Freedom: Songs of Bob Dylan Honoring 50 Years of Amnesty International, per festeggiare i 50 anni di Amnesty International. Detro, personaggini per tutti, ma proprio tutti i gusti: Adele, Patti Smith, Pete Townsend, Ke$ha, The Gaslight Anthem, Sting, Jackson Browne, Elvis Costello, Sinead O’Connor, Kris Kristofferson, Bad Religion, Marianne Faithfull, My Chemical Romance, Bryan Ferry, Pete Seeger. Dicono i tipi di Amnesty: “La musica di Bob Dylan è eterna perché cattura in modo unico il nostro struggimento, la nostra gioia, la nostra fragilità e il nostro coraggio. Pochi artisti come lui riescono ad avere una tale profondità nei testi, ispirandoci così tanto e arrivando sempre a superare le nostre aspettative. Noi di Amnesty International siamo immensamente grati nei suoi confronti e nei confronti di tutti gli artisti che hanno contribuito a questo progetto”. Salvate i soldini, se ve ne rimangono ancora. Questi sono (fucking) hard times.
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