Monday, August 29, 2011

Miss Hesitation

Si comprano i dischi anche per le foto di copertina (e del retro, nel caso in questione). Almeno ai tempi dei vinili, queste cosse succedevano. Io l'ho fatto, che mi ricordi, sicuramente con "Song for Juli", di Jesse Colin Young. Non che non sapessi del tutto chi era, in realtà. A quei tempi, divoravo il Mucchio Selvaggio e non avendo una lira per comprare i dischi mi accontentavo di discografie accurate e recensioni da leggere. Uno dei miei passatempo preferiti durante le ore di scuola era stilare discografie di gruppi immaginifici (solitamente modellati sull'epopea dei Jefferson Airplane) e costruirmi la loro storia musicale. Ovviamente sono stato bocciato un numero incalcolabile di volte, ma conosco a memoria la discografia dei Jeffersoni, come li chiamavamo. Da ispirazione, non so bene perché, era anche la discografia degli Young Bloods, il gruppo in cui militava Jesse Colin Young, quelli di Get Together, per intederci. Ed ecco perché, foto e discografia, comprai questo disco straordinario, in cui in copertina figurava il bel faccione un po' triste di Jesse con baffoni mitici, e sul retro la commovente foto del nostro con la figlioletta, Juli, abbracciata forte al papà. Ai tempi, la mitologia hippie di seconda mano che vivevamo non era più quella dei viaggi cosmici all'Lsd; era piuttosto quella che ci faceva sognare una casetta nei boschi con una famigliola tutta nostra che ci schiamazzava attorno. Tutto quello che era nei solchi di Song for Juli.





"Le mie tasse sono alte, ma non credo sia un peccato" canta JCY in Ridgetop. Un verso che qualcuno dovrebbe far sentire oggi ai calciatori, i miliardari che scioperano per quattro euro. Jesse rivendica il suo ruolo fortunato di ricca star e anche il suo ruolo civile, quello di pagare le tasse senza fuggire magari in Costa Azzurra come proprio in quell'anno - il disco è del 1973 - facevano gli Stones. Ma non solo: tutto il disco è una sorta di concept album che ritrae la condizione di vita di un musicista di successo di inizio anni 70: casa sulle montagne da favola nei boschi nei dintorni di San Francisco ("Il momento più bello della giornata è quando devo attraversare il Golden Gate Bridge" dice sempre in Ridgetop), una moglie, una figlia, "il mio lavoro è una figata" aggiunge poi. E ti credo. E poi le avventure on the road, con ragazze incontrate nei motel, ma "quello era prima, adesso torno nella mia casa sui monti".



Non è musica da fattoni hippie quella di questo disco. E' un robusto, swingante, purissimo jazz rock con debordante sezione fiati, pianoforte inclazante, belle chitarre in primo piano, una armonica blues che spazia in lungo e in largo. Ricorda il Van Morrison del periodo, ma la voce di Jesse è gentile e fluttuante. Un disco bello dall'inizio alla fine, ma che ha dei momenti topici in Ridgetop, sette minuti di jazz rock strabordante, degno di una notte afosa ad Harlem, nei sei minuti e rotti di Miss Hesitation, dove JCY si ricorda dei tempi in cui era un folksinger del Greenwich Village e infila una serie divertentissima di rime tute in "tation" e poi nel medley Lafayette Waltz / Jambalaya, irresistibile, da alzarsi in piedi e ballare sul tavolo della cucina. Jambalaya, per la cronaca di Hank Williams, e Lafayette di Clifton Chenier, il gran mago di New Orleans. Ma tutto il disco è straordinariamente bello. Da tempo JCY ha lasciato i monti boscosi di San Francisco e vive alle Hawaii. Beato lui. Ho visto un video recente, e mamma mia, è irriconoscibile rispetto alla foto di quel disco. Machissenefrega. Tanto i vinili chi li compra più.

Monday, August 22, 2011

L'ora del vespro

Le canzoni folk, le vere canzoni folk, mi hanno sempre fatto pensare e sentire emozioni. Molte volte trattano di storie di sconfitta, dolore, abbandono, gelosia, rabbia e desiderio, ma hanno sempre un sottofondo di speranza. La speranza deriva dalla percezione di quelle emozioni. Nella felicità non c'è speranza. Chi è contento non aspira. Sono persone che non sperano. Perché dovrebbero? Hanno già ottenuto ciò che la speranza rappresenta. La speranza è la volontà dello spirito umano di superare i periodi peggiori. Questo è ciò che fanno le canzoni folk; possono apparire tristi in superficie, ma una volta che scaviamo dentro di loro e le viviamo, esse si rivelano essere davvero preghiere di speranza.
(Leonard Mynx, da una intervista al sito Ondarock)

DISCLAIMER: LEONARD MYNX NON E' MORTO MA E' VIVO E LOTTA ANCORA INSIEME A NOI. E' SOLO MORTO QUEL NOME D'ARTE.

POST DISCLAIMER: come mi gira il cazzo scrivere obituari per niente.

POST POST DISCLAIMER: meglio così.

Boh. Immagino che sia così che funzioni, in questa era balorda di rapporti virtuali. Ci si imbatte in qualcuno in qualche modo, ci si "frequenta" virtualmente, ci si dicono anche belle cose, forti come una vigorosa stretta di mano e dense come uno sguardo nei reciproci occhi. Invece, in realtà, non ci si incontra mai fisicamente. Fino a quando un giorno riapri ancora una volta la diabolica macchinetta che ti "connette" con migliaia di vite mai viste e scopri che uno di questi è morto. Boh.

"Caro Paolo, ti ho inviato il link per ascoltare il mio nuovo disco. Ci tengo molto al tuo parere, Leonard". Era successo due, tre mesi fa, non ricordo. Leonard Mynx, songwriter di Portland, Usa, di cui, dopo aver recensito il suo primo disco Vesper ero diventato "amico" su Facebook, mi aveva scritto così per chiedermi gentilmente, come era sua natura, di ascoltare il suo nuovo lavoro. Non so perché ci tenesse davvero, a meno che qualche anima buona gli avesse tradotto in inglese la mia recensione di Vesper di cui in effetti parlavo piuttosto bene. Era un disco straordinariamente fascinoso, di aspre folk song dylaniane dedicate a tanti beautiful loser. Con qualche messaggio in codice probabilmente, che allora non captai. C'erano tombe, cimiteri, droga e solitudine angosciosa in quei solchi.



In effetti adesso che ci penso era un po' che non vedevo più suoi messaggi su FB. Lui postava parecchio: canzoni, annunci dei suoi concerti in qualche sperduto paesino della provincia, anche commenti di ordine politico. Sempre gentile, sempre vivace e curioso. Poi commentava spesso i miei post, ogni qualvolta mettevo su qulache canzone di Bob Dylan, e il commento era immancabile: "il più grande di tutti". Adesso capisco perché non vedevo più suoi post. La sua pagina su FB è stata cancellata.Leonard Mynx è morto. C'è scritto nella homepage del suo sito: "Il nostro amico Leonard Mynx ci ha lasciati per andare in un mondo nuovo". Ci mancherà, almeno per un po'. Ha lasciato indietro un paio di dischi e canzoni non pubblicate da quelle session che un giorno vedranno la luce del giorno. Siamo certi che vi vorrebeb ringraziare pe ril vostro sostegno nel passato e sulla strada che si apre davanti, adesso. I suoi dischi saranno ancora disponibili, condivideteli con coloro che amate. RIP Leonard Mynx". Sul suo sito, nello spazio intitolato "parole gentili" c'è anche un link al mio post che scrissi su questo blog su di lui.

Sul desk del mio computer al lavoro c'era sempre una sola cartella di file musicali, queli del suo ultimo disco: "Sono contento che ti sia piaciuto, spero di venire a suonare in Italia presto". Ho cancellato quella cartella quindici giorni fa prima di partire per le ferie, non so perché. E' stata lì per mesi. Forse avevo percepito che lui stava partendo per il grande Infinito e voleva riportarsi via con sé le sue canzoni. Chissà se c'è un modo di connettersi tra le persone più vero di questa diabolica macchinetta delle amicizie virtuali, tra il grande Infinito e il nostro misero mondo. Guardo la foto che hai messo dentro al tuo primo cd, Leonard. Un cd spartano, auto prodotto con pochi dollari. Ma chissà come eri fiero di quella foto con il tuo bel viso davanti a quel vaso di fiori rosa. Lo so, quando pubblico qualche cosa anche io sto attento a queste cose. Voglio dire a chi prenderà in mano un mio libro chi sono veramente, al di là delle parole. Guardo la tua bella faccia e penso che è una gran brutta cosa che tu sia andato via così presto. Grazie per avermi scritto amico, mi mancheranno i tuoi commenti e i tuoi post. Facebook di merda.

Una bellissima intervista a Leonard Mynx

Sunday, August 21, 2011

Hello, old friend

Link Wray was playing on a jukebox, I was paying
For the words I was saying, so misunderstood




Shangi La’s, bordello. Shangri La’s, casa della musica. Shangri La’s, nascondiglio dei fantasmi. Shangri L’as, paradiso qui e ora, tutto quello che abbiamo. A Shangri La’s le porte sbattono e si aprono, stanze invase da fumo, specchi e bottiglie. Subito fuori della porta schiamazza il carnevale e le risate, ma dura poco finché non ti sbattono di nuovo a passare del tempo nella galera della contea. Perché sei un peccatore e lì devi stare. Tutto il tempo che è passato, tutto il nostro tempo. Mica devi dirmi a che ora te ne andrai se è l’una e mezza o se sono le quattro del mattino. Non fa differenza, dove pensi di andare. Ma per favore, ricordati di non sbattere la porta.

E così allora entriamo e usciamo da Shangi La's, e salutiamo quel vecchio amico, è bello rivederlo di nuovo. Dicono che dormi in una tenda nel cortile e vieni dentro solo quando c’è da far casino, ma tutto quello che hai da dire è un linguaggio dei segni, mentre io sto mangiando un sandwich in un piccolo bar alle tre meno un quarto. Questa è la mia storia e sono ancora qui: ma lei lo sa che a me importa ancora? E sbattono e sbattono ancora queste maledette porte di Shangri La’, ci riportano fuori e dentro, fumo pestilenziale, ragazze dal volto sfatto, bottiglie che rotolano sul pavimento. Il dolore è doppio qua dentro, e mai un blues ebbe più senso di come lo stanno suonando qua dentro, a Shangri La’s. Pioggia sporca d’estate, tempi innocenti, per questa ultima notte a Shangri La’s. Shangi La’s, bordello. Shangri La’s, casa della musica. Shangri La’s, nascondiglio dei fantasmi. Shangri L’as, paradiso qui e ora, tutto quello che abbiamo.

No Reason To Cry è il disco che avrebbe potuto essere e non è diventato. Sulla carta, il massimo della musica di quegli anni, i 70: Eric Clapton, The Band, Bob Dylan, Ron Wood. Il risultato, una Shangri La’s (lo studio di The Band a L.A. dove venne registrato il disco) delle occasioni perdute. Ma nonostante questo un fascino che persiste, come solo le occasioni perdute sanno essere. Come quell’ultimo valzer che sarebbe andato in scena di lì a poco, degli eroi troppo stanchi mentre il fuoco si stava spegnendo. Eppure in quelle voci, in quegli accenni di grandi canzoni che non furono mai grandi canzoni, uno può cogliere tutta la promessa che è celata dietro ogni vita, dietro ogni cuore spezzato. E ogni volta, sentirsi invitati dentro a una Shangri La's del tempo che è inchiodato sulle sue lancette, come nel bar dell’Overlook Hotel, quello di Shining, dove i fantasmi sono condannati a ballare per l’eternità, e il cameriere, il volto ricoperto di sangue, ti dice: "E’ stata una gran bella festa, vero signore?”. Sì, lo è stata. In questo disco c’è tutto questo e molto di più. A volte si riesce a sentirlo, io ci ho messo trent’anni per riuscire a entrare dentro Shangri La’s. Adesso mi sa che mi ci fermerò, almeno per tutta la notte. Fuori, fa fin troppo caldo per riuscire a dormire. E di fantasmi ce ne sono anche fuori della porta, tanto.


Wednesday, August 17, 2011

Spirito gentile

Fino a quando non sono arrivato a un certo punto verso la fine del disco, mi stavo proprio incazzando. Poi mi sono spaventato e ho capito. Qualche cosa. Il brano chiave è stato Waters Down, per la cronaca. Il fatto è che la presentazione del tipo non giocava certo a suo favore. Nato nel 1974 nel North Carolina, è andato a vivere a Laurel Canyon nella seconda metà dei Duemila. Che ci è andato a fare, come quel pessimo film intitolato appunto Laurel Canyon? Non ci abita più nessuno a Laurel Canyon e le Signore del Canyon se ne sono andate da un pezzo. C'è andato a scrivere canzoni. Be', ha fatto quel che avrei fatto anche io se fossi mai stato capace di suonare una chitarra. Emulare, scopiazzare. Di Ben Harper è già pieno il mondo del rock moderno, pensavo. Fino a Waters Down.



A parte la voce, davvero povera cosa, la produzione del disco però mi era sembrata sin da subito superba. Di fatto, Jonathan Wilson ha fatto quasi sempre questo nella vita, produrre e arrangiare e scrivere per altri artisti. Produzione davvero superba, folk psichedelico tra Grateful Dead e Neil Young. La voce, però. E le canzoni, Waters Down apre uno squarcio che fa ripensare a tutto il disco. Ecco che c'è andato a fare Jonathan Wilson a Laurel Canyon. A evocare fantasmi. No, non a copiarli. A farli uscire dal buio, per il tempo che dura il suo disco. A invocare gli spriti, buoni, dannati, innocenti, malvagi. E li sa evocare benissimo. Anche questa voce ha un senso. L'apoteosi di questo sabba di una afosa notte ferragostana a Milano sono i dieci minuti e passa della conclusiva Valley of the Silver Moon. Qua tra questi palazzi indecenti non c'è una valle, ma c'è ancora un ultimo sprazzo di luna argentata.

Il senso di Gentle Spirit? Null'altro che mandare tutti i ventenni e i trentenni che sbaveranno per questo novello Fleet Foxes a recuperare quei dischi che lui evoca: Souvenirs di Dan Fogelberg, White Light e No Other di Gene Clark, Be True to You di Eric Andersen, Mud Slide Slim and the Blue Horizon di James Taylor, On the Beach di Neil Young, For Everyman di Jackson Browne. Gente che a Laurel Canyon ci viveva quando ancora le Signore dei Canyon avevano domicilio lì. E i cui dischi sono tutt'oggi un centinaio di spanne meglio di quelli di Jonathan Wilson, con buona pace del suo spirito gentile che comunque apprezziamo, amiamo e mettiamo al caldo per le notti di angoscia, che sono sempre tante.

Monday, August 08, 2011

Captain of dreams

From here to Venezuela
There's nothing more to see
Than a hundred thousand islands
flung like jewels upon the sea
For you and me


Dice l'Ansa che David Crosby insieme a CSN&Y è stato uno dei simboli della beat generation. Mah. Potere dell'informazione. Quantomeno la baggianaggine dell'agenzia di stampa mi è servita per ricordarmi che il 14 agosto anche Croz, dopo Dylan, compirà 70 anni. E per uno come lui, dato per morto una dozzina di volte almeno, non è un traguardo da poco. Lo intervistai nel luglio di esattamente dieci anni fa, chiedendogli se quando aveva cominciato la sua carriera avrebbe mai immaginato di trovarsi ancora a fare dischi e concerti a 60 anni. All'altro lato della linea telefonica Niguarda-California, lo sentii sorridere sotto i suoi baffoni. Chissà oggi cosa mi rispondrebbe.



Che David Crosby compia gli anni di agosto, e scrivere queste righe mentre sono al mare, ha perfettamente senso. Lui è il marinaio del rock. Canzoni come The Lee Shore, ascoltate per la prima volta 35 anni fa, hanno aperto di schianto le porte non solo della grande musica, ma di un oceano, quello vero, quello che lui già allora salpava hippie felice pieno di Lsd e erba magica alla guida del suo veliero. Quello immortalato poi nella copertina del secondo disco di CSN. Croz, come lo chiamano gli amici, è un figlio del mare, è quello che ha incarnato la più sincera utopia hippie fino all'estremo, che signifca fallmento: dai profumi dei giardini incantati della mente infatti è finito nell'orrore del crack e di una pistola nel cruscotto a guidare impazzito per Sunset Boulevard. Ci è voluto un anno di carcere ospite delle galere di zio Bush nel Texas più redneck per salvargli la vita, anche se quella volta che gli parlai al telefono potevo sentire boccate di gangia uscire dalla mia cornetta.



La voce di Crosby è sempre stata melodia della più purissima qualità, la voce più incantevole della storia del rock: un disco come If I Could Only Remember My Name l'ho divorato da ragazzo milionate di volte, sempre a cercare di carpirne i segreti. Resta tutt'oggi il momento più totale, più poetico, più drogato e più magico di tutta l'utopia West Coast, California state of mind e hippie generation (altre che beat generation). A Tamalpais High, poi, cantato in If I could only..., ci sono anche stato, vent'anni fa, quando ero a San Francisco. Ci misi un po' a raggiungere quel monte sopra la baia di San Francisco perché continuavo a sbagliare l'uscita dal Golden Gate, ma poi, al tramonto quando finalmente vi arrivai in cima e pure senza droga, ho capito come mai dal quella cità un giorno erano potuti sgorgare musica e sogni tanto profumati e straordinari. Addirittura l'ardire di Triad. E ancora oggi fa specie che un tale Che Guevara del rock abbia fatto parte dei Byrds, ma in fondo sì, ci sta. Come mi disse in quella conversazione, i Byrds sono come il primo amore, sarei pronto a tornare a suonare con loro anche adesso. Cioè allora, 10 anni fa, che adesso mi sa sia troppo tardi.

David Crosby di persona è sempre stato come le sue canzoni: pace e armonia. Nel 1992 mi infilai nel backstage del Palatrussardi prima di uno (splendido) concerto acustico di CSN. Mi ero portato la mia fanzine su Bob Dylan. Volevo fotografarlo con il giornalino in mano, sarebbe stato uno scoop promozionale da paura. Lo aspettai scendere dal palco dopo il soundcheck e lo avvicinai. Lui mi mise una mano davanti dicendo, se vuoi una intervista chiedi al manager. Io gli mostrai la mia fanzine e lui vedendo il nome del suo eroe Bob Dylan si illuminò sotto ai baffoni. Fotografarlo con in mano il giornaletto fu facilissimo. Un giorno "scannerò" quella foto.



E che dire di Almost Cut My Hair, la più cazzuta canzone dell'era Woodstock? Altro che fiori nei capelli. Lascerò sventolare la mia bandiera freak era più che una parola d'ordine, era un motto, era il senso della vita. Da allora, da quando ho la patente, guardo sempre nel mio specchietto retrovisore per controllare che non ci sia un'auto della polizia che mi segue. Paranoia power. Ma di moniti, messaggi cifrati, meditazioni zen, Croz ne ha lasciati a manciate nelle sue canzoni, e fortunato chi se li è appuntati e li tiene stretti con sé: Cause the blind are leading the blind And I am amazed at how they stumble, Homeward through the haze. E ancora oggi mi domando di quale libro dovrei andare a pagina 43, per trovare il segreto della vita, perché, diavolo d'un Croz, ti sei dimenticato di dirci di quale libro si trattava: Pass it round one more time, I think I'll have a swallow of wine, Life is fine, Even with the ups and downs,, And you should have a sip of it, Else you'll find, It's passed you by. O frse non c'è nessun libro, ma è la vita, la vita soltanto. Che tu hai celebrato nel.la sua bellezza più intensa. Auguri Croz, vecchio marinaio del rock.




Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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