Tuesday, February 28, 2012

Disattenzione

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,

senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo
l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per
un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché-
e da dove è saltato fuori uno così-
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in
superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter
d’occhio.

Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.


Wislawa Szymborska

(grazie I.)

Monday, February 27, 2012

The voice

Per un momento, cercate di lasciare perdere tutte le polemiche, i gossip, le esagerazioni mediatiche che il nome di Sinéad O'Connor inevitabilmente porta con sé. Non che la cantante irlandese non ne abbia fatte e dette di tutti i colori, cosa che peraltro continua a fare. Ma dimenticatele, per favore. Ascoltate invece la sua voce, quando canta. Come diceva qualcuno, bisognerebbe avere un cuore di pietra per non commuoversi al suono di una delle voci più belle ed emozionanti che la musica moderna abbia mai espresso. In una carriera che si ricorda solo per gli scandali, musicalmente anche i dischi della O'Connor hanno, tranne rare eccezioni (il primo disco, "The lion and the Cobra", il mini cd "Goaspel Oak", "Sean-Nós Nua" dedicato alla musica irlandese tradizionale) poco da farsi ricordare.


Le sono sempre mancati infatti un produttore e un repertorio all'altezza. Certo, Nothing Compares to U, scritta per lei da Prince ai suoi esordi, rimane ancora oggi una delle incisioni più intense degli ultimi venticinque anni, ma spesso la sua straordinaria capacità vocale è andata dispersa in registrazioni appunto non all'altezza. La voce di Sinéad merita ben altro. È capace di esprimere una gamma di emozioni potentissime: il suo sussurrato, le improvvise devastazioni, le aperture celestiali sono il racconto vocale di un'intensità che ha pochissimi paragoni fra le cantanti bianche di ogni tempo.

CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE LA RECENSIONE DEL NUVO DISCO DI SINEAD O'CONNOR

Wednesday, February 22, 2012

The dream is over?

La popolarità di Bruce Springsteen, negli Stati Uniti, è talmente debordante che realmente se decidesse di presentarsi alla corsa per la Casa Bianca avrebbe serie probabilità di vittoria. Certamente potrebbe diventare Governatore del suo natio New Jersey senza neanche bisogno di fare campagna elettorale. Non ci sono casi analoghi nella storia della musica rock (a parte Elvis, ovviamente, ma il suo caso era idolatria pura) di un musicista che abbia saputo inserirsi dentro il tessuto sociale e popolare di una nazione. Non stiamo infatti parlando solo di riscontro commerciale (che Springsteen, seppure oggi meno di un tempo a livello di vendite discografiche – ma chi li vende oggi i dischi? –, è comunque capace di riempire anche per giorni consecutivi gli stadi di tutta America nello stesso tempo che io e voi ci beviamo un bicchiere di “all american Coca Cola”): stiamo parlando di capacità di interpretare il sentimento del suo popolo, ma anche di essere percepito dal suo popolo come il rappresentante del proprio sentimento.


È un caso che merita riflessioni sociologiche più che musicali. Basti pensare a un disco come “The Rising”, espressamente richiestogli per parlare alla nazione dopo la tragedia degli attentati dell'11 settembre 2001: gli americani infatti per placare il proprio dolore avevano bisogno della sua parola, non di quella di qualche politico o commentatore televisivo. Questa autorità acquisita permette e giustifica Bruce Springsteen nel rilasciarsi a dischi che esprimono pareri, commenti, indicazioni, anche incazzature sulla vita politica e sociale del suo Paese: di fatto, è l'unico artista rock che può permettessi tale lusso, là dove chiunque altro verrebbe criticato da una parte piuttosto che da un'altra. Anzi: le diverse fazioni politiche, dai tempi di “Born in the Usa”, ma anche prima, da quelli di “Nebraska” se lo contendono a spron battuto perché capiscono quanto sia forte la sua influenza sugli elettori e quanto lui sappia esprimere meglio di loro un pensiero che colpisca la nazione.


CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE LA RECENSIONE DEL NUOVO DISCO DI BRUCE SPRINGSTEEN

Tuesday, February 07, 2012

Glory days (chiuso per noia, schifo e disgusto)

All’anima fa bene un po’ di nostalgia, l’amore è come un ladro ch’è stato derubato. Non te ne sei accorto e adesso che ci siamo, tu già te ne vai via è forse per questo che non ho ancora imparato a dirti: tu per me sei importante anche se non ci sei. Ecco perché ho ancora un sentimento dentro che non mi fa morire, ma neanche vivere
(Teatro degli Orrori, Nostalgia)

Ci ho messo quasi tre anni per riprenderne in mano uno. Erano sempre stati lì, davanti ai miei occhi, ma solo il pensiero mi dava disgusto e fastidio. Adesso che sono riusciti a sfogliarli di nuovo, scopro che le pagine si stanno rapidamente ingiallendo. Come un cadavere va in decomposizione, anche tutta la fatica che c'era dietro ogni singolo numero di quella rivista se ne va a farsi fottere. Rido e sorrido a rileggere qualche articolo, scopro che Glen Hansard venen alla Casa 139 e non solo non ci andai, ma mandai a intervistarlo qualcun altro. Quante cose mi perdevo ed è proprio il colmo visto che vivevo solo di musica. Poi leggo certe cose che scrivevo e mi domando se ero davvero io a scriverle o un altro che si era impossessato di me. Caerte cose erano davvero straordinariamente belle, non tutte, ma alcune sì. Oggi non saprei e non potrei scriverle più. E mi domando: a che cazzo è servito scriverle? Non sono diventato ricco, non riesco manco quasi a pagare il mutuo. Una faccia da pirla mi diceva sempre, magari non potrai fare le vacanze in Messico (come se le faceva lui) ma sempre meglio che dover timbrare il cartellino in banca. Genio. Non ho cambiato il mondo. Non ho neanche cambiato il quartiere, come diceva invece Rick Danko. Non ho insegnato a nessuno a scrivere di musica a giudicare da quello che si legge intorno. Mi hanno buttato per la strada con un calcio nel culo. A nessuno è fregato un cazzo tanto ci sarebbe sempre stato un altro a prendere il mio posto. Penso che butterò via tutte quelle riviste, la vita ha già buttato via me. Leggo David Foster Wallace e mi rendo conto che a 24 anni scriveva cose che a cinquant'anni non sono ancora riuscito a immaginare. Tutto è vanità.

- Non ti ricordi di me?
- No, il tuo nome e la tua faccia non mi dicono niente.
- Eppure mi avevi baciato, una volta, forse due.
- Ma sono passati più di trent'anni come si fa a ricordarsi.
- Non lo so, io non dimentico nulla, soprattutto un bacio. In quei tre secondi mi hai fatto sentire voluto bene. Come si fa a dimenticare qualcuno a cui si è voluto bene?
- Ci sono un sacco di cose belle a cui dedicarsi, nella vita. Accontentati.
- Non posso, non ci riesco.
- Alla fine sarai felice come tuti gli altri. Solo, sarai l'ultimo a saperlo.
- Siamo impegnati in un gioco in cui non possiamo vincere. Alcuni fallimenti sono migliori di altri. Questo è tutto. Addio.
- Addio. Mi mancherai.
- Non è vero. Nessuno manca a nessuno, in realtà. E' solo un problema di abitudini.



I miei dischi sono come piccoli crocefissi di plastica. Risplendono nel buio, alcuni di più, altri di meno, certi sono macchiati di sangue. Ognuno ha una sua storia da raccontare, la mia storia. Forse per quello ci giro attorno ed evito accuratamente di prenderli in mano. Poi succede che per un motivo li devi andare a toccare. Te ne finisce in mano uno e c'è dentro un mondo. E poi, cazzo, che bello che è. Come ho fatto per quas dieci anni a non riascoltarlo più. E' uno di quei cd che sanguinano. Smile, when you're down and out. Sorridi quando sei giù e a terra. Non sono mai riuscito a sorridere neanche quando sono allegro, figuriamoci quando sono giù. Ma questa musica è così straordinariamente bella, consolatoria e purificatrice. I primi tre pezzi in sequenza ne fanno un classico di ogni tempo: Smile; I'm Gonna Make You Love Me; What led Me To This Town. Il disco perfetto. Sangue nei solchi, sangue dalla plastica di un cazzo di cd. Ricordo quella mattina piena di sole che entrai nella saletta dad aspettare che arrivassero loro, i Jaywhaks. Entrarono come figure mitologiche, come un ritorno al futuro. Erano diventati una grande, grandissima pop band come non se ne trovavano più in giro. Mi ero dimenticato di averli incontrati, di persona. Uomini d'America, big stars cadute per sbaglio a Milano. Negli uffici della Piera. Che ne sapete voi di chi era la Piera. In quegli uffici passai del tempo anche con Michelle Shocked, i suoi occhi profondi e segnati di dolore. Mi ero dimenticato anche di questo. Ormai il cervello si disfa pezzetto per pezzetto. O semplicemente quello era un altro, io è un altro. Ecco il sangue. Tornati dalle ferie un giorno, letto che la Piera era morta. "Vites vaffanculo vieni qui a fare l'intervista" e quando la Piera chiamava non avevi il coraggio di dirle di no, gentile come era sempre con tutti e ciascuno. Nel suo armadio, come uno scrigno dei tesori, tutti pescavano cd e musica gratis, da lei ce n'era sempre. Adesso anche i Jayhawks sono spariti come la Piera. E Michelle Shocked. Le porte si chiudono dietro di loro e quello che ero io. Baby, baby, baby.



I made shoes for everyone even you while I still go barefoot

Monday, February 06, 2012

Amnesty Bob International Dylan

Un vecchio slogan pubblicitario della Columbia Records, negli anni Sessanta, proclamava: "Nobody sings Dylan like Dylan does". Cioè: nessuno canta le canzoni di Bob Dylan come lo fa Bob Dylan. Il fatto era che sin dall'inizio il successo commerciale del cantautore americano era stato dato non da una sua interpretazione di un proprio brano, ma da quella di altri artisti. Nella fattispecie, la canzone Blowin' in the Wind portata al numero uno delle classifiche dalle angeliche voci del trio Peter, Paul and Mary. Negli anni il fenomeno avrebbe aggiunto proporzioni ancor più vistose, complice prima la sua ex fidanzata Joan Baez, che nel 1968 incise un intero doppio ellepì di soli brani di Dylan e ancor più in modo evidente dal numero uno in classifica della cover di Mr. Tambourine Man dei Byrds, destinata a diventare un successo mondiale.


Negli anni, Bob Dylan, al pari dei Beatles, sarebbe diventato uno degli artisti più "coverizzati" cioè inciso da altri, della storia. Non solo le incisioni singole apparse qua e là nei dischi di artisti vari, ma dozzine sono le raccolte interamente dedicate alle sue canzoni. Chi scrive, nel 1991, in occasione dei 50 anni dell'artista, realizzò una di queste raccolte per la stessa Columbia Records, ottenendo in esclusiva una incisione mai pubblicata prima da Bruce Springsteen, tanto per dirne una ("United Artists for the Poet"). E questo non solo per la bontà oggettiva delle sue canzoni, ma anche perché la sua voce non è mai piaciuta alle masse. Pochissimi infatti i successi da lui portati nella top five nel corso di una carriera ultra decennale.

CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE LA RECENSIONE

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

I più letti