Wednesday, October 27, 2010

Photographs & memories # 5



Main Point, 1973

Secondo un post che ho trovato da qualche parte, questa straordinariamente bella ragazza è colei per la quale Springsteen ha scritto canzoni come Sandy e Rosalita. E' la Crazy Janey di Spirit in the Night, è anche Terry di Backstreets. Infine, anche l'ispiratrice di For You e Thundercrack.

La domanda è: come si fa a vivere sapendo di aver ispirato alcune delle più belle canzoni della storia del rock? Ma anche: dove è e che cosa fa oggi questa donna e ascolterà ancora le canzoni di Springsteen?

Una cosa è sicura: era di una bellezza assoluta e giudicando dalla foto, sembra anche di una profondità altrettanto assoluta. Prova che dietro ogni grande canzone rock c'è una ragazza speciale.

Saturday, October 23, 2010

The bitch is back

Ci ha provato sin dal 2001, con il buon Songs from the West Coast, a far dimenticare l’orrido personaggino che infestava le notti di Mtv, ma anche le mattinate e i pomeriggi, durante gli anni 80 e 90. Adesso si è finalmente ricordato di essere stato uno dei migliori autori di canzoni degli anni 70, e per farlo ha dovuto chiamare con sé in studio un altro fantasma di quegli anni straordinari, Leon Russell, visto per l’ultima volta sul palco del Concert for Bangladesh. Insieme hanno fatto un disco pregno di nostalgia per quei tempi là: inutile fingere, sono due anziani signorotti, uno dei quali per poco non ci lasciava le penne (Leon), ma il sentimento c’è tutto.

Quello per l’America profonda, quella America che The Band cantava orgogliosa (Elton un giorno dedicò una canzone al batterista di quel gruppo, intitolandola semplicemente Levon, e di The Band si è sempre professato ammiratore indefesso). Gone to Shiloh, d’altro canto – in cui appare al canto anche Neil Young - potrebbe essere la nuova The Night They Drove Old Dixie Down, mentre altri messaggi di una mappa nascosta appaiono qua e là. Ad esempio quando Elton canta "I hear you singing 'I Shall Be Released' like a chainsaw running through a masterpiece" e il riferimento evidente qui è allo scomparso Richard Manuel,scomparso pianista di The Band, oppure in un’altra occasione, quando cita “the winter of our discontent” che è sì William Shakespeare, ma anche l’ultima novella scritta da John Steinbeck. Un disco pieno di sentimenti, dunque, e forte come una quercia del Tennessee. Da ascoltare a notte, con una bottiglia di rosso sanguigno e un sigaro fumante, che l’inverno è alle porte e abbiamo bisogno di coperte calde per non lasciare che il cuore si raffreddi. Non vogliamo che sia un altro "winter of our discontent".


qua la recensione approfondita del disco


Wednesday, October 20, 2010

Bob Dylan wants you to embrace mono!

I'm stickin' with mono! Are you stickin' with mono?

Straordinario video clip pubblicitario delle ristampe in mono dei dischi di Bob Dylan

Ps: chi me lo regala per Natale? E' gradita anche colletta dei fedeli lettori di questo blog...

Saturday, October 16, 2010

Murder Ballads



«Sono stato con Dio e con il diavolo.
Hanno litigato per avermi.
Dio ha vinto, io ho preso la sua mano, la migliore.
Non ha mai vacillato la mia certezza che Dio mi avrebbe tirato fuori»

Mario Sepulveda, secondo minatore estratto dalla miniera di San José

Nick Cave ne avrebbe potute scrivere, di “murder ballads”, con tutto quello che sta succedendo in Italia nelle ultime settimane. O meglio, non ne avrebbe scritte ma avrebbe aspettato un po’, che la gente avesse raccolto in forma canzone quelle cose orribili che succedevano intorno a loro e se le sarebbero tramandate. Ma che dico. Oggi c’è la televisione, le canzoni non servono più. E nessuno scrive più “murder ballads”. L’horror reality show cui abbiamo assistito in queste settimane è davvero l’inizio di un’era di morte in diretta televisiva. Ho scritto parecchio anch’io nelle ultime settimane sul caso di Sarah Scazzi e mentre il mio collega aveva capito tutto sin dagli inizi, io no. Perché a certi orrori non si vuole mai credere fino in fondo. L’altro giorno ad esempio ho dovuto scrivere un pezzo sul suicidio in diretta webcam di un ragazzo svedese. Mentre cercavo le fonti per il pezzo, mi sono imbattuto nel video che lui stesso aveva messo online e che nessuna polizia postale tre giorni dopo il fatto si era preoccupata di rimuovere. Non ho resistito e l’ho guardato. Bella roba. Sono stato male ovviamente anche se facevo fatica a capire che stavo guardando un ragazzo di 21 anni che stava morendo o una fiction tv. Whats real and what is not, come si chiedeva il Grande Bardo secoli fa.

Più di ogni altra cosa mi stupisce il disgusto di plastica su questa (e quella della donna romena uccisa con un pugno e quella del tassista milanese mandato in coma dopo un pestaggio) vicenda. Come se il male non esistesse da sempre. Come se l’uomo non fosse cattivo, da sempre. La possibilità di fare il male è di tutti, compresi quelli che su certi giornali hanno invocato “il ritorno della bontà”. Bontà de che? Ma per favore. Come si fa a essere "buoni"? Mi metto di impegno e sarò buono. Per 5 minuti, probabilmente. Il male lo facciamo tutti, ogni istante, in modi diversi.

Ma certo, è vero che la bontà è possibile. Non possiamo farlo da soli con le nostre mani cattive, il bene. Ci vuole qualcuno che ci liberi dal male. Non più in questa epoca moderna, questi modern times che hanno fatto fuori l’unica possibilità di non fare il male. Perché oggi tutto ci è possibile. Siamo liberi. Abbiamo la libertà. Ci siamo liberati di qualunque costrizione morale, nessuno ci deve dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Bastiamo a noi stessi. Abbiamo la libertà. Quella di fare il male.

Le murder ballads ci sono sempre state. Oggi nessuno le scrive più, ma le murder ballads si cantano ancora. Nel nostro cuore, un cuore che desidera il bene, ma fa il male.

Dimenticavo. Tra gli horror reality shows di queste settimane, c'è stato anche qualcosa di straordinariamente bello. Qualcghe imbecille l'ha definito "i minatori cileni escono dalla casa del grande fratello". E stato un reality anche quello è vero, ma incredibilmente commovente. Un popolo li ha sostenuti, e li ha accompagnati all'uscita del loro inferno, 700 metri sotto terra. Sono tornati a rivedere il sole, come diceva il Sommo Poeta, o a rivedere le stelle, cioè. Segno che una speranza c'è sempre, quando il cuore reclama la giustizia e qualcuno sa aspettare, affidandosi a una preghiera. Che come diceva Patti Smith, è la cosa più intelligente che possiamo fare.

Saturday, October 09, 2010

A rainy night in Soho

Le canzoni rock dicono la verità (copyright by Paolo Vites). Le canzoni folk la dicono di più (copyright sempre di me). Ma le canzoni, qualunque canzone - certe canzoni non tutte le canzoni - dicono la verità di noi stessi, esprimono l'inesprimibile che ci portiamo dentro da quando siamo stati concepiti.

In una fredda, maledettamente piovigginosa notte di febbraio di molti anni fa mi trovavo a vagare solo soletto per le strade di Soho, a Londra. Ero stato su con la solita compagnia di giornalistuccoli italiani (missione Lauryn Hill), ma adesso se ne erano tornati tutti a casa. Io avevo agganciato qualche giorno in più per rimanere a Londra. E non c'è niente che alzi il livello di tristitudine (copyright by the Mighty Diana) come trovarsi da soli in una città straniera un milione di miglia da casa tua, con ad aspettarti nessuno se non una squallida stanzetta d'albergo. Volevo trovare un "locale folk", quella notte, lo volevo a tutti i costi. Ogni volta che sono a Soho, d'altro canto, vado a cercare il fantasma di Nick Drake. E di tanti altri come lui. Per quanto me la tiri, ancor prima che sapessi che esistevano le chitarre elettriche, io sono nato alla musica con il fingerpicking acustico di un milione di anime belle di folksinger, da ogni lato dell'Oceano Atlantico. Alla fine ne trovai uno, quando ero ormai bagnato fradicio, una cantina in un vicolo assurdo, dove c'era una banale band di folk albionico, il locale pieno zeppo e buio e nessuno che scambiasse due chiacchiere con me. Presi la mia tristitudine e me ne tornai per le strade di SoHo, sotto la pioggia.

Il "locale folk" che cercavo l'ho trovato ieri notte a Varese. E' il Twiggy, così deliziosamente psichedelico nella sala dei concerti. E sul palco ieri notte ho ritrovato reincarnati quel milione di anime belle dei folksinger della mia adolescenza, tutti nelle sembianze adorabile della straordinaria Emma Tricca, una ragazza italiana che, probabilmente, anche lei in cerca del fantasma di Nick Drake, un giorno se n'è andata a vivere a Londra e si è messa a fare dischi inctantevoli. L'ultimo dei quali, Minor White, è appena uscito. Quel fingerpicking che ha cullato i miei anni più irrequieti e appassionanti, era tutto lì, che usciva dalle sue dita. E le canzoni. E la voce, la voce purissima e piena di intensità al calor bianco. Non un minor white in realtà, ma un bianco accecante, splendente, stordente. E la sua bella figura sul palco. Penso che la chiamerò Buffy St. Marie d'ora in avanti, se lei non si offenderà, ma non credo, se tanto mi dà tanto dopo averla sentita ieri notte.



Stamattina è una giornata uggiosa a Milano. Fra poco devo andare in redazione, ho il turno del weekend. Ho messo su Minor White mentre mi preparo un caffè. Ogni cosa sembra risplendere di gioiosa innocenza, adesso. Anche il tigro che mia figlia più piccola ha lasciato sul divano come al solito e che come al solito mi ritrovo sotto al culo mentre mi siedo non mi fa imbestialire ma anzi sorridere. Sono canzoni capaci di trasfigurare la realtà le canzoni che hanno un senso e che rimangono. Proprio com equelle che sto ascoltando stamattina, quelle di Minor White, quelle di Emma Tricca. E i fantasmi di un milione di anime belle di folksinger sono tutti qui stamattina, hanno lasciato la pioggia di Soho per sedersi anche loro ad ascoltare. E' capace di sposendere il tempo, Emma Tricca, con le sue canzoni, in una purezza sonica che non ritrovavo più da quando avevo 15 anni. God bless you Emma.

Wednesday, October 06, 2010

Il tunnel degli alberi



Crescendo, dimentichiamo cosa significa essere bambini (…)

(…) ero ritornato (…) a un momento proustiano di richiamo alla memoria, quando il suono degli alberi fuori dalla casa di mia zia era vivido nella mia testa, come se quarant’anni si fossero ridotti a pochi istanti (…)

(…) il profumo del faggio, il mistero del campo di O’Rourke oltre il fosso, lo stupore della distanza dalla strada principale, più di un miglio a valle, il suono dell’espressione – “l’incrocio” – usata per descrivere l’intersezione fra la strada di mia zia e la strada principale che andava da Roscommon a Boyle,la luce esatta di quei molti giorni d’estate che io e Marian, la mia sorella maggiore, passavamo da bambini in quel paradiso (…)

(…) Lì la notte era fatta di morbido fresco, di piccoli colpetti d’aria che occasionalmente sorgevano dal buio. Foglia su foglia. Fil di ferro su legno. Acqua su ferro zincato.



Ricordo il “tunnel degli alberi” appena più in là della casa di mia zia e che c’era qualcosa di rituale nel passarci in mezzo correndo verso il punto in cui abitava Jimmy, che all’epoca era il fidanzato di mia zia (…)

Più avanti, in lontananza, dove la strada curva in salita in direzione dei campi di grano e del sole, sta il povero cancello della casa dove vivono i due Padian. La casetta si erge nella sua fiabesca grandezza profilata contro il cielo occidentale, che per un attimo si rischiara prima di capitolare all’oscurità, il sole fa una macchia rossastra che sembra filtrare attraverso la casa come una mano contro una lampadina.



Quelle settimane passate da zia Teresa erano le più intense della nostra infanzia e quando finivano le vacanze ci dovevano trascinare, urlanti, nel camioncino di papà, per riportarci a Castlerea. Adesso, quarant’anni dopo, mi rendevo conto che da bambino avevo avuto come tutti i bambini, un’intensissima esperienza della religione. Avevo incontrato la realtà e ne ero stato sopraffatto, sopraffatto dalla sua meraviglia e dalla sua intensità. Avevo, istante per istante, sperimentato un senso profondo della realtà religiosa, ma nessuno mi aveva mai detto che si chiamava così.

* John Waters, estratto da Lapsed Agnostic, da profugo a pellegrino

Saturday, October 02, 2010

Americana Made in Italy


Chi mi conosce sa che sono un talebano (del rock). Italiani che suonano il blues? Ma per favore. Manco Eric Clapton ha mai fatto del blues (ha fatto grandissima musica, ma era la musica di Eric Clapton). Giapponesi che fanno rock'n'roll? Uh. Il problema non è una capacità tecnica, o un comune sentire del cuore e dell'anima. Il problema è che per fare una certa musica, si deve essere cresciuti nel contesto culturale e sociale in cui detta musica è nata. L'ho già detto, ma se un simpatico cittadino del Nebraska facesse un disco di cori degli alpini, gli direi bravo perché i canti degli alpini sono bellissimi, ma andrei a recuperare un disco della SAT. Anche se questa estate ho sentito dei ragazzi dell'Uganda cantare straordinariamente bene dei canti alpini. Vabbè. Ne riparleremo.

Il fatto è che sto ascoltando un disco che mi piace moltissimo. Musicisti italiani che fanno le canzoni di Bruce Springsteen. Ricordo anni fa una recensione sul Mucchio Selvaggio di Tunnel of Love, forse scritta dallo stesso Ermanno Labianca, che cominciava più o meno con un "Eravamo venuti per ballare e lui - Springsteen - ci ha rimandati a casa". Era il primo disco di Bruce dopo i bombardamenti "bombastici" tutti muscoli e Cadillac ranch che era stato il periodo Born in the Usa, e questo se ne usciva con un disco di canzoni tristi e sussurrate. Insomma, Springsteen insinuava l'idea che sì, forse eravamo nati per correre, ma non per vincere. Crisi fu, per i fan, ai tempi. E' un po' quello che mi viene in mente ascoltando For You 2 - A tribute to Bruce Springsteen, un doppio cd di cantanti e band italiane che fanno pezzi di Springsteen, prodotto dal sempre geniale Ermanno Labianca (a cui va un plauso speciale: in un periodo storico in cui le case discografiche chiudono per fallimento e i dischi non li compra più nessuno, lui che fa? Apre una casa discografica, la Route 61 Music, e pubblica dei cd. Uào, congrats, che coraggio). I più attenti ricorderanno il primo volume di questa serie, uscito nell'ormai lontano 1995.

For You è un disco, come viene definito sulla cover, di "Americana made in Italy", altra genialata di Ermanno, perché mi costringe a fare a pugni con la mia idea di musica, come dicevo in apertura. Comunque, se ravate venuti per ballare con le note travolgenti di Born to Run, ve ne tornerete invece a casa con note malinconiche per poche chitarre acustiche, molto pianoforte e voci in perfetta "tristitudine" come la chiamo io. I tempi sono cambiati, e gli italiani devoti a Bruce lo hanno capito: ecco un disco tributo nella chiave di Tom Joad e di Devils & Dust. E' il risultato è davvero affascinante.

C'è veramente della gran bella musica qua dentro. Qualcuno va sopra le righe, vabbè è naturale, e non starò a dire chi. Starò a dire invece che sono colpito dalla bellissima versione solo voce, pianoforte e chitarra elettrica di Radio Nowhere di Daniele Groff - lo intervistai una quindicina d'anni fa quando uscì il suo primo disco e poi ne ho perso le tracce, bello ritrovarlo qua. Una versione veramente da paura, che rende tangibile, addirittura più dell'originale, quell'american night e la sua disperante solitudine di cui si cantava nel pezzo originale. Mi diverto un casino con i rumori sonici delle chitarre di tale PJ Faraglia (chi sarà mai?) che rilegge strumentalmente State Trooper e Cadillac Ranch. Mi commuovo con uno dei miei springsteeniani favoriti di sempre, Lorenzo Bertocchini, alle prese con una struggente Be True e una altrettanto malinconica Sherry Darling. Mi si apre il cuore con un Luigi Mariano che giganteggia con una versione in italiano di Matamoros Banks - e qui sì che canti degli alpini e canzone americana potrebbero diventare una cosa sola. Mi sorprendo con Brando che rifà in vena rockabilly-dark Johnny Bye Bye. E tanto altro ancora, da Francesco Lucarelli con Tomorrow Never Knows che diventa uno scintillante bluegrass, alla straordinariamente bella Land of Hopes and Dreams dei Mardi Gras. Un sacco di belle canzoni e un sacco di buona musica. Lunga vita alla Route 61 Music. Che sia solo l'inizio.

Per ogni info su Route 61 Music, questo cd e altri, andate qui: http://www.foryouspringsteen.com/

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

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