Friday, January 18, 2013

Marabel

C'è il cuore, e c'è la croce. Ma non c'è la sconfitta. Da sempre Massimo Bubola attraversa la canzone italiana come una sorta di profondo pensatore, quasi un profeta dell'Antico testamento che scandaglia la condizione dell'uomo, inevitabilmente alle prese con una battaglia quotidiana tra la propria miseria e la cattiveria del mondo senza mai rinunciare a questa battaglia, forte della consapevolezza che la redenzione e la speranza sono possibili.

Attivo discograficamente fin dalla metà degli anni settanta, accolto artisticamente da Fabrizio De André che poco più che ventenne lo chiamò a comporre insieme a lui due tra i dischi più belli dello scomparso cantautore genovese, "Rimini" e "L'indiano", Bubola porta dentro di sé le radici forti del suo popolo, quello veneto, alle prese con le contraddizioni dell'epoca moderna, un'epoca che ha fatto di tutto per togliere dall'uomo il suo cuore.



Lo fa ancora in modo straordinariamente riuscito nel nuovo disco che sarà nei negozi a fine mese, dal titolo esemplificativo: "In alto i cuori". Come si fa a tenere in alto il proprio povero cuore tra l'aridità di un'epoca che celebra la falsità della televisione come modello di vita, che ammazza i bambini per strada, che affossa le famiglie sotto il peso delle tasse? Tutte cose che nel disco vengono raccontate in musica (Hanno sparato a un angelo, dedicata alla bambina cinese uccisa in braccio al proprio padre per le strade di Roma esattamente un anno fa), con un amalgama di sonorità rock come solo Bubola sa fare in Italia.

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