Friday, October 23, 2015

La chiave dell'anima

C'è una zona franca nelle nostre esistenze, dove nessuno può entrare, neanche i violenti e i dittatori. "È qualcosa che sfugge ai leader, che il potere non può controllare, una delle pochissime. Nessun dittatore può imbrigliarla. È zona franca, l’unica che ci resta" ha detto poco tempo fa Keith Richards nel corso di una intervista parlando della musica rock e delle canzoni.
Ho sempre vissuto una esperienza similare quando ho ascoltato una canzone, sin dalle primissime volte, quando ero un ragazzino. Nel momento stesso in cui le prime note si spargono nell'aria, è come se un muro si ergesse tra me e il mondo, tra me e gli altri. Una forza più grande di me mi trascina, mi trasporta e mi conduce altrove. In quella zona franca di cui parla Keith Richards. Lì, nessuno può entrare, tantomeno il male del mondo, i potenti, i violenti, i dittatori. Il mio stesso male rimane fuori. E' una forma di autismo probabilmente, ma è salvifico. A me ha salvato la vita.
E soprattutto non sono stato io a creare questi muri. Non è stata una costruzione auto imposta. E' accaduto. Una liberazione immensa, qualcosa di più grande di me e di misterioso. Succede continuamente, anche quando accendo la radio in macchina, qualcosa si sovrappone al rumore fastidioso, alle chiacchiere inutili e banali. A volte mi sono dovuto fermare e accostare la macchina al ciglio della strada per non perdere un istante di una canzone che stava passando improvvisamente. A volte una frase rivoltami mentre ascoltavo una canzone mi ha fatto male come uno schiaffone in faccia, perché ha interrotto quel mio viaggio meraviglioso.
Non è che necessariamente l'ascolto di una canzone mi faccia stare meglio o peggio, semplicemente mi tira fuori da me, spalanca il mio io a un Io più grande. A volte mentre ascolto un disco sto galleggiando sopra il mio corpo disteso là, sopra il divano. Lo guardo affascinato e sono in trance.
"Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima" ha detto ancora Richards. Neanche io ho mai fatto una esperienza più liberante, solo in quei momenti sono in contatto con la mia anima, il mio io più profondo e troppo spesso trascurato dalla vita.

Naturalmente questo tipo di esperienza non è sufficiente per condurre una esistenza "liberata". Il fatto stesso che la canzone dopo tre o quattro minuti finisca è un brutale ritorno alla realtà, una realtà che va comunque affrontata. Ma quello che ho vissuto in quei pochi minuti in quella zona franca, lascia una sorta di eco che riverbera dentro di me, suggerendomi che la vita è qualcosa che va oltre e verso quell'oltre io posso e devo guardare.
Se oggi le canzoni rock hanno perso in gran parte quella carica propulsiva e immaginifica che possedevano, c'è abbastanza materiale in cinquant'anni di storia per attingervi continuamente. Qualcosa che è sempre stato trascurato, qualcosa definito un passatempo, una distrazione, qualcosa che non ha mai avuto una dignità culturale, almeno in Italia.



Nei paesi angloamericani le canzoni rock sono state recepite come quello che sono state per davvero, il più grande esperimento innovatore culturale e sociale del novecento. Una esplosione di libertà, di porte abbattute, di connessione dell'anima con il grande spirito che muove l'universo. Presidenti della Repubblica, primi ministri, scienziati, scrittori e registi citano continuamente canzoni rock, attingono a quella carica per giudicare il presente. C'è una mole immensa di giudizi storici e politici, ma soprattutto umani, nelle canzoni rock. Nessun altra forma di comunicazione degli ultimi cinquanta, sessant'anni ha espresso in maniera talmente profonda il contenuto del cuore dell'uomo: bisogno di felicità, di giustizia, di amore, di significato, il grido dell'uomo in poche parole.
Ci sono dischi come Highway 61 Revisited di Bob Dylan che descrivono meglio di qualunque trattato socio politico che cosa succedeva nell'America degli anni 60 e ci sono canzoni come Stairway to Heaven dei Led Zeppelin che descrivono tutto il mistero che inabita nell'uomo e oltre l'uomo.
Ma in Italia tutto questo non è mai stato recepito. E' un peccato. Continuiamo ad assistere a dibattici politici che usano formule appartenenti a un passato naufragato, che non hanno più nulla da dire all'uomo di oggi, linguaggi che si rifanno a ideologie marxiste, liberal che non parlano più a una umanità che intanto è andata da un'altra parte. Professori universitari e insegnati scolastici insistono in linguaggi codificati che non dicono nulla ai giovani, non sanno suscitare alcun interesse, censurando la ricchezza del loro io. Eppure c'è un patrimonio là fuori, in centinaia di dischi, che sa dire tanto.

Immaginate di tornare a casa ogni sera e trovare cucinato da vostra moglie lo stesso menu. Un piatto di pastasciutta al sugo rosso e una bistecca. Così ogni sera della vita. Poi una volta per caso entrate in cucina e trovate ogni ben di dio, carni, pesce, condimenti succulenti, piatti di ogni tipo. Vostra moglie è lì che se li sta godendo. Voi ne assaggiate qualcuno, vi incuriosite, ma poi tornate alla sicurezza della pastasciutta. Così accade con le canzoni rock, lasciate in cucina per pochi.

Le trasmissioni televisive italiane hanno imposto da tempo un blackout cerebrale. Il modo di intervistare i musicisti, sempre con le solite domande a base di luoghi comuni. Ma, più in generale, il fatto è che c'è poca o nessuna preparazione e si tirano fuori sempre le stesse cose: la droga, lo spirito ribelle, il sesso e la trasgressione. 
Bob Dylan è il menestrello di Duluth e il cantore del '68, Bruce Springsteen è quello di Born in the Usa. Patti Smith è la sacerdotessa del punk.
In generale il rock trattato sempre come una cosa da ribelli, da alternativi, come una curiosità zoologica. 
Un importante quotidiano a proposito del film su Janis Joplin, ha scritto: Jonis e i Bog Brothers.

Nella sua intervista Keith Richards lascia intuire che le canzoni rock hanno un linguaggio che va oltre e aiuta a capire cosa succede. "Solo più tardi avrei capito che in quelle cose che chiamavamo americane di America non c’era niente. Il paese è un miscuglio di razze. Questo e solo questo mi affascina degli Stati Uniti: al contrario dell’Europa, ne riconosci l’identità attraverso la musica più che attraverso la letteratura o la pittura".
Va bene citare i soliti noti, da Leopardi a Cesare Pavese, soprattutto perché è facile, scontato e non costa fatica, ma quanta ricchezza si potrebbe comunicare ai giovani parlando loro di Nick Cave o Leonard Cohen. Non è esterofilia: ci ripetono tutti i giorni che viviamo in un mondo globalizzato, ma vale solo per le strategie economiche. E la cultura?
Va bene leggere I promessi sposi, ma chissà cosa scatterebbe nei giovani se si leggessero Il libro del desiderio di Leonard Cohen, le poesie di Patti Smith o I diari del campo di basket di Jim Carroll.

"Per me il rock and roll è sempre stato per tutti, fin dall’inizio. Avvertivo qualcosa di profondissimo, di sconvolgente in quel ritmo. Mai pensato che fosse musica usa e getta. Non ho mai trovato un duplicato di quella chiave che apre l’anima". Chi quella chiave l'ha trovata, ringrazia.

4 comments:

Laura said...

bentornato. mi mancavi.

jesus's inferno said...

Io ringrazio ogni di ciao bellissime parole

b o s c o p a r l a n t e said...

E 'una chiave antica, anzi fuori dal tempo. Apre al Volo ed anche all'Abisso. E' la chiave di un mondo di mezzo, pericoloso ed illusorio. Ma sempre il cielo, sopra … ed anche sotto. Come la Musica, un Ponte, dentro di noi adulti-adolescenti.bambini, avanti indietro avanti indietro , dentro di noi sempre, e qualche volta anche fuori, fra noi … Grazie :-)

Anonymous said...

Caro Paolo, non mi stanco mai di leggerti, mi arricchisci sempre, un abbraccio, Marcello

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