Wednesday, August 03, 2016

Hey mr. deejay woncha hear my last prayer

"I can't say that I'm sorry for the things that we done at least for a little while, sir me and her we had us some fun", non posse dire che mi dispiace di quell che abbiamo fatto, almeno per un po', signore, io e lei ci siamo divertiti.
Una grande canzone è quella che è in grado di superare la collocazione temporale del momento in cui viene scritta e pubblicata. Restare attuale cioè anche se l'argomento è circoscritto a un particolare episodio. Quasi mai l'autore è consapevole che una determinata canzone potrà avere questo risultato, essa nasce come particolare esigenza di un preciso sentimento vissuto dal suo autore che, quando è onesto verso il suo lavoro, diventa solo lo strumento espressivo di qualcosa che si impone per essere comunicato. Nel suo caso Springsteen lo ha descritto perfettamente: "Le mie canzoni conoscono me più di quanto io conosca me stesso".
Di fronte alla strage continua e apparentemente senza senso che accompagna questo luglio rosso (di sangue) Nebraska di Bruce Springsteen chiede di emergere dagli anfratti del tempo e con autorità si impone come chiave interpretativa di quel qualcosa che è il "male". Come sempre nel caso di un grande disco, esso verrà a bussare nel momento che esso lo ritiene più opportuno. Un ascolto antico, quasi rimosso, nello scaffale delle cose scontate improvvisamente cadrà da quello scaffale per farsi raccogliere d irti, anche più di trent'anni dopo: ascoltami, io sono qui per essere ascoltato.



E' impossibile, leggendo e ascoltando quei versi messi a inizio di questo articolo, non vedere davanti a noi le facce dei ragazzini che stanno insanguinando l'Europa: "Io e lei ce ne andammo a fare un giro, signore, e dieci persone innocenti sono morte (…) ho ucciso ogni cosa che ho incontrato". A questo livello, l'altro, l'alterità e la sua morte sono un fastidio da togliersi di dosso come una zanzara nella calura estiva. Ma procura anche "divertimento" di fronte all'assenza di significato che la vita è diventata. Non si è più nemmeno in grado di distinguere quello che è bene o male: abbiamo ucciso, ma almeno per un po' ci siamo divertiti. Potrebbe dirlo qualunque tagliagole dell'esercito del califfato islamico, là in Siria e in Iraq.
Ai ragazzi di origine algerina o tunisina o afgana, per qualche curioso effetto che oltrepassa la nostra volontà, si sovrappone improvvisamente il volto di Charles Raymond "Charlie" Starkweather, autore, tra il 21 e il 29 gennaio 1958 di dieci omicidi (il 30 novembre 1957 aveva già ucciso un'altra persona) in un caso di furia omicida durato circa due mesi, mentre si spostava in fuga dal natio Nebraska al Wyoming accompagnato dalla fidanzata 14enne Caril Ann Fugate.



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