Friday, April 13, 2007

The day that music died

5 aprile 1994



“Vieni come sei, come eri
Come voglio che tu sia
Come un amico, un amico, un vecchio nemico
Fai con calma, sbrigati
Sta a te, non arrivare tardi
Riposati come un amico, un vecchio ricordo”
(Come As You Are, Kurt Cobain)

Il pomeriggio del 5 aprile 1994 Kurt Cobain, leader e frontman dei Nirvana, allora il gruppo rock più popolare e di successo del mondo, si spara in bocca con un fucile da caccia modello Remington. Non era la prima volta che tentava il suicidio.
Con lui scompare l’artefice dell’ultima, fondamentale rivoluzione musicale e stilistica del rock e uno dei suoi autori più geniali di sempre. Aveva 27 anni.
Non fu la conseguenza della classica vita da rockstar, infarcita di droga (sebbene Cobain sia stato un tossicodipendente) ma qualcosa che giungeva da più lontano. “Da bambino si svegliava tutti i giorni con una tale gioia”, dirà sua madre. “Quando andavamo in giro per i negozi cantava alla gente”. Ma quando i suoi genitori divorziano “la sua vita è andata distrutta”.

Con oltre dieci milioni di copie vendute del loro disco migliore, Nevermind del 1991, che contiene l’anti inno generazionale Smells Like Teen Spirit, i Nirvana sono stati l’ultima grande storia del rock’n’roll. In un momento storico (uno dei tanti) in cui questa musica sembrava aver smarrito una strada e un centro, i Nirvana si imposero nel modo più semplice ma anche più intelligente, riunendo in sé cioè quanto di meglio la musica rock aveva prodotto in precedenza. Nel loro caso, mettendo insieme uno spiccato senso della melodia pop tipicamente alla Beatles con i riff monolitici dell’hard rock e con l’irruenza del punk. La loro era una canzone che alternava sospensioni e devastanti irruzioni sonore, come avevano appreso da un’altra band, i Pixies, rimasti però questi ultimi sconosciuti ai più. Una miscela esplosiva che avrebbe gettato un solco tra quanto era stato fatto prima e che avrebbe influenzato tutto quanto sarebbe venuto dopo almeno per i dieci anni successivi. I Nirvana facevano canzoni semplici ma furiose, canzoni che, come diceva lo stesso Cobain, erano “melodiche, aggressive, poi ancora melodiche”. Era il ritorno alla semplicità e alla irruenza stessa del miglior rock’n’roll: tre accordi, un gran senso della melodia, un impatto devastante.

Nella musica violenta dei Nirvana c’era tutto il disagio e la disperazione della Generazione X, quella “a cui hanno eliminato il concetto di Dio”, come disse lo scrittore Douglas Coupland, autore di Generation X. In una società opulenta e massificante, i Nirvana cantavano l’angoscia di chi non ha più padri né madri. Come ha detto una celebre rockstar di una generazione più vecchia di Kurt Cobain, Tom Petty, “credo che la causa di fenomeni devastanti come la droga e il suicidio sia da attribuirsi al crollo di un valore come quello della famiglia”. Nella fredda e piovosa Seattle, da dove i Nirvana giungevano, questa angoscia di una generazione smarrita si poteva toccare con mano.

Con i Nirvana da Seattle giunse il grunge, l’ultima rivoluzione del rock: capelli lunghi, cappellino di lana in testa, jeans sdruciti, sorta di figli dei fiori in ritardo di trent’anni ma che non sorridevano mai, a differenza degli hippie di cui riprendevano solo il look esteriore.
Kurt Cobain odiava essere diventato una rockstar. Odiava il successo e quello che rappresentava. Nell’Unplugged, splendido concerto acustico per Mtv pubblicato solo qualche mese dopo la sua morte, emerge, privata del muro di suono delle chitarre elettriche, tutta la disarmante e inquietante bellezza delle canzoni che componeva. Ma emerge soprattutto un urlo, di dolore, davvero raggelante, con cui conclude l’ultima esibizione. Quello di Kurt Cobain e della Generazione X è stato un urlo di dolore dalle viscere di un’America ormai cinicamente sorda che nessuno ha saputo raccogliere.

“Odio mamma odio papà, papà odia mamma, mamma odia papà, questo ti fa solo sentire triste”, aveva scritto sulla parete della sua cameretta Kurt bambino. A fianco vi aveva disegnato un enorme punto interrogativo. Il suo suicidio è un punto interrogativo ancora oggi sanguinante nella coscienza dell’America.

4 comments:

Anonymous said...

"Il pomeriggio del 5 aprile 1994 Kurt Cobain, leader e frontman dei Nirvana, allora il gruppo rock più popolare e di successo del mondo, si spara in bocca con un fucile da caccia modello Remington".

Onestamente questa storia che nel 1994 i Nirvana fossero il gruppo rock più popolare e di successo del mondo è tutta da dimostrare e più passa il tempo e più assume i connotati della leggenda (anche grazie ai media che continuano a rilanciarla). Perlomeno sui dati qualche informazione l'abbiamo: secondo la RIAA fino al 1994 i Nirvana avevano venduto 6 milioni di copie di Nevermind e 2 di In Utero. Alla stessa data i Metallica avevano venduto 8,5 milioni di copie di Metallica, a cui si aggiungono altre 13 dei loro dischi precedenti; i Guns N' Roses avevano appena superato le 10 milioni di copie dei due Use Your Illusion, a cui si sommavano le 5 di Lies e le 10 di Appetite For Destruction. Guns e Metallica erano reduci da due tour (in parte in coppia) che sarebbero stati tra i più di successo di tutto il decennio per numero di date e spettatori paganti. Ordunque, se si vuole affermare che nel 1994 i Nirvana fossero la band rock più popolare sui giornali, apice del trend del momento, non lo metto in dubbio, se invece si sostiene che fossero la band più di successo qualche dubbio io ce l'ho. Ma il rock, si sa, è fatto soprattutto di leggende. Come questa, appunto.
Andrea Galli

Paolo Vites said...

metti anonymous e poi ti firmi??? :-)))


"popolare" e "di successo" nel senso che erano la "new thing" sulla bocca di tutti, i metallica e i guns, sebbene vendessero di più, erano già considerati bolliti... Il rock, si sa, è fatto di hype...

Anonymous said...

Ecco, io per quantificare la popolarità e il successo di una band guardo anche a quanta gente effettivamente si è presa la briga di comprarlo un disco oltre che parlarne. Ho l'impressione che su 10 ragazzi/ini americani che all'epoca asserivano di adorare i Nirvana ce ne sia stata una buona percentuale che poi andava a comprare Metallica e Guns, altrimenti non si spiegano le enormi differenze di cifre. Nel '94 i Metallica, reduci dall'aver pubblicato il loro disco più venduto che li aveva resi strapopolari e aveva fatto guadagnare loro milioni di fan che prima neanche li avevano mai sentiti nominare, non erano affatto considerati bolliti (lo sarebbero stati due anni più tardi con l'uscita di Load) se non dalla frangia dei metallari duri e puri che li consideravano dei venduti. In realtà tutti gli altri avevano capito che stava nascendo una nuova forma di metal, lontana sia da quella che i Metallica avevano contribuito a creare, sia da quella poppettara degli anni 80 (di cui peraltro i Metallica hanno sempre rappresentato l'antitesi) e che in più era remunerativa a livello economico.
E' vero, purtroppo il rock è fatto di "new things" che di new il 99% delle volte non hanno nulla. Dopo le rivoluzioni conservatrici e reazionarie di glam e punk toccava al grunge, mentre altre rivoluzioni (quelle vere, quelle progressiste) come la disco in concomitanza col punk e l'acid house in concomitanza col grunge avrebbero cambiato nella sostanza la musica popular.
Masked Anonymous

Fausto Leali said...

Se dovessimo andare a fare un'analisi statistica, disco per disco, delle vendite dei tre gruppi, le differenze potrebbero non essere poi così significative, come il primo commento di Andrea Galli lascerebbe supporre.
Il punto é probabilmente un altro: non é semplice decidere quale fosse in quel momento il gruppo rock più popolare e di successo, considerando, come già espresso anche da Vites nella sua risposta, che i criteri con cui dare tale definizione possono essere molteplici.

A me piace, comunque, sottolineare un altro punto del post di Vites, che mi sembra costituisca molto di più l' "anima" dello stesso.
Il fatto, cioé, che qui si sottolinea la potenzialità di un artista come Kurt Cobain ed il fatto che circostanze di vita ben definite lo hanno portato ad estremizzare il proprio disagio, al punto che desiderio non si é tradotto più con ricerca appassionata, ma con tragico epilogo quale il suicidio.

A me un post così fa riflettere, perché riguarda il bisogno educativo che ciascuno di noi ha bisogno in quanto uomo e non mi dispiace che venga in qualche modo menzionata anche la famiglia, troppo duramente attaccata di questi tempi.

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