Le chiese di Dublino sono tutte uguali. Non che siano brutte, ma sono proprio tutte uguali. Sembra che il tempo a Dublino – ma solo per quello che riguarda le chiese – si sia fermato. No, i pub non centrano. Sì, più o meno hanno tutti lo stesso stile ma è una forzatura, lo si capisce subito. Fatto apposta per i turisti.
Le chiese di Dublino fanno specie perché in ogni parte del mondo le chiese hanno seguito l’evolversi degli stili architettonici. Anche negli Stati Uniti, dove hanno cominciato a costruire chiese da pochi secoli, più o meno quando sono arrivati i Padri Pellegrini, hanno usato negli anni diversi – finti, ovviamente – stili architettonici, ora facendo una chiesa finto gotica, ora una finto romanica, ora una finto rinascimentale. Che negli Stati Uniti è un po’ tutto finto. Ma loro sono un Paese giovane, l’Irlanda no.
Lo stile, anche per le chiese di costruzione più recente, è sempre quello dell’alto medioevo, tipico dell’Irlanda. Grossi, monumentali edifici di pietra nera, tanto che c’è anche una chiesa del tardo ‘800 che si chiama The Black Church, la chiesa nera.
È lo stile di Dublino. Sono costruzioni che incutono timore, e non importa che siano chiese cattoliche o anglicane, sono tutte uguali. Sembrano enormi sepolcri abbandonati dove nessuno entra più: “Ring them bells, ye heathen, from the city that dreams, ring them bells from the sanctuaries”.
Sono tante le chiese di Dublino, a testimonianza di una fede (un tempo?) radicata. E c’è una zona in particolare della vecchia Dublino dove te le trovi tutte addosso, una accanto all’altra.
La chiamano “la zona vichinga”, a ovvia testimonianza di come essa sia la parte più antica della città. Per arrivarci, venendo dalla periferia, bisogna attraversare il fiume. Immediatamente dopo il ponte, uno a destra e uno di fronte, a sinistra, ci sono i due più vecchi pub di Dublino, l’O’Shea’s Merchant e il Brazen Head.
Questo addirittura ha in bella mostra sui muri la scritta “il più vecchio pub di Dublino”. Ha conservato ben poco però dell’atmosfera medievale. Meglio l’O’Shea’s,
diviso in due locali separati, dove è possibile ascoltare la sera tardi ottima musica tradizionale irlandese. Le vecchie assi di legno, i ritagli di giornali sportivi sui muri (niente calcio, solo rugby: siamo irlandesi), il palchetto addossato a un muro laterale, l’aria ancora fumosa per via di decenni e decenni di sigarette pestilenziali anche se adesso è vietato fumare nei pub. L'ultima volta che sono stato a Dublino, l'anno scorso, l'Italia e l'Irlanda erano i due soli paesi in tutta Europa dove era vietato fumare nei locali. The luck of the irish come diceva Paul McCartney, ci aggiungerei la mia sfiga abituale. Questa estate si aggiungerà alla lista anche l'Inghilterra: tra una Guinness e l’altra andare a fumare sul marciapiedi, e certo che il fumo fa male, ma non è la stessa cosa.
(How to fight loneliness when in Dublin: she is the original irish rover...)
La strada dopo i due pub curva poi a sinistra e comincia a salire in modo piuttosto brusco verso una collina che domina il fiume.
Ci sono arrivato una fredda sera di inizio febbraio, all’ora del tramonto, quella tipica ora del giorno che è sempre la più disturbante, almeno per me. Non solo perché è quella sorta di terra di nessuno, che non è né giorno né notte, “the twilight zone”, come dicono gli anglosassoni, la zona di confine. Dove il tempo sembra sospeso, e così finisci per sentirti anche tu, sospeso, incapace di svolgere lo sguardo in una direzione o nell’altra. Coincide sempre, almeno nelle città, con l’ora di punta. Meglio: “the rush hour”, visto dove ci troviamo. Quando l’orario di lavoro è finito e la gente corre a casa. E a Dublino corrono davvero, altro che Milano. Se poi sei uno straniero in una città straniera, il senso di dislocamento è ancora più grande. Perché a differenza degli altri intorno a te, che corrono a casa, tu non hai nessuna casa dove correre. Alzi gli occhi ai palazzi intorno e vedi le luci dietro le tendine. Vedi le macchine sfrecciare veloci. Guardi di nuovo verso le finestre e ti immagini il padre di famiglia che è appena tornato, la moglie che lo sta aspettando. I bambini anche. Vorresti che qualcuno ti invitasse a casa sua, per provare un po’ di quel senso di accoglienza che adesso ti manca maledettamente. Tu non hai nessuno che ti aspetta a Dublino, così continui a salire la collina.
Graham Nash, in una sua canzone, l’ha detto meglio di chiunque: “Pioggia fredda sul mio volto, gli autobus corrono veloci, il lavoro è finito, ecco la corsa, la gente se ne va a casa. Pioggia fredda e nessun posto dove andare, tanta gente condivide gli stessi tristi sogni e speranze macchiate dallo zolfo nell’aria. Quella pioggia fredda, per le strade, sono tutto solo con la pioggia fredda sul volto”.
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4 comments:
la prossima volta che vai in dublin fair city (where the girls are so pretty), fammi uno squillo, che ti do un paio di indirizzi di amici. se vai a galway ti do i nomi dei pub, dove troverai la stessa accoglienza di una casa con la mamma che ti aspetta.
Erin go Brath! Ste-the Irish Rover
Ciao Paolo
Volevo scriverti in privato.
Sto leggendo il tuo blog molto bello quello relativo al 77.
A presto
Giorgio
ciao zuma (gran disco...), ti aspetto, scrivimi
grillino: ti dico solo che all'andata ero da solo con mia moglie su un aereo "full of catholic girls" di ritorno da una gita a venezia. Una aveva una t-shirt con scritto: "Kiss me, I'm an Irish"...."
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