
L'altra sera sono andato a vedere il concerto di Bruce Springsteen And The E Street Band. Ogni volta che viene in Italia non me lo perdo da quando lo vidi per la prima volta quel 21 giugno 1985 allo stadio di San Siro, a volte anche più di un concerto nel medesimo tour. Di quella notte, resteranno per sempre stampate nel mio cuore una Badlands così devastante nella sua epicità e una Can't Help Falling In Love With You, così commovente nella sua intimità, da avermi fatto intravedere da vicino la terra promessa, la promised land dove i sogni di rock'n'roll sembrano farsi realtà.
Negli anni ho imparato che la promised land, o è qualcosa che puoi vivere tutti i giorni e non solo nello spazio di due, tre ore che dura un concerto, o è una menzogna. Qualcosa del genere lo ha detto anche Springsteen, credo nella sua The River.
Così un concerto di Springsteen non mi impressiona oggi più di tanto. Ho amato, e tantissimo, quelli visti con la Seeger Sessions Band, credo il suo apice massimo come musicista e performer. Ero prevenuto all'idea di una reunion della E Street Band, ma Magic mi era piaciuto abbastanza. L'altra sera sono invece rimasto deluso dalla pochezza che le nuove canzoni mostrano in concerto; per di più, dopo quasi un mese di tour la E Street Band non ha ancora imparato a suonarle (la mia amatissima I'll Work For Your Love è stata imbarazzante), dimostrando una stanchezza e una svogliatezza che evidentemente a una certa età colpisce tutti.
Ma a un concerto di Sprigsteen, si sa, si va per lui, il Boss. Che se non ha esaltato nei pezzi nuovi, gli è bastato infilare una Reason to Believe strepitosa (inizio bluesy e tormentato, esplosione secca rock'n'roll e ritorno di nuovo nella terra del Delta, fra Robert Johnson e diavoletti vari) e una Incident on 57th Street da strapparti il cuore nella sua meravigliosa e suprema poesia notturna, per rendere il viaggio fino allo stramaledetto e infame Datch Forum di Assago un viaggio che ne valeva la pena.
Ma ancora una volta, quello che colpisce è il pubblico. Il pubblico italiano. Ieri mi sono prontamente scaricato il cocnerto e sono rimasto ancor più sconvolto da questo pubblico incredibile, che è come un secondo Springsteen con 12mila teste e 12mila gole che cantano a tratti anche meglio di lui - che poverino era raffreddato - e 12mila cuori che battono più forte della batteria. L'esplosione di voci durante il ritornello di The Ties That Bind è qualcosa di incredibile. Terrorizza. Ci sono americani che vengono a avedere Bruce in Italia per godersi questo spettacolo. Non vengono per Springsteen, vengono per vedere il pubblico italiano in azione. Ci sarà un motivo. Dal 1985 ad oggi dovrei essermi abituati a questo pubblico, eppure non è così.

Personalmente vado ai concerti per due motivi: "to get wasted", come dice un mio amico inglese, cioè per andare fuori di testa, o come diceva una volta Bob Dylan, "to forget about today until tomorrow", dimenticarmi per un paio d'ore della realtà. Ma anche in quei casi, succede sempre (quando il concerto è buono) quello che è l'altro motivo per cui vado a sentire musica dal vivo, o l'ascolto a casa mia: il performer mi ispira, mi comunica qualcosa, mi spaventa e mi pone delle domande. Non mi lascia tranquillo e mi suggerisce che la vita è più grande di me, va in mille direzioni ed è, alla fine, un mistero. Lui però non mi tende una mano, mi dice solo "alza il culo e fa' la tua parte, la mia l'ho fatta satsera sul palco, adesso tocca a te". Succede di raro, con la musica che gira oggigiorno, ma tantè. Qualche sera fa ho visto il formidabile Marc Ford in concerto, ex chitarrista di Black Crowes e Ben Haprer. C'erano una quarantina di sparuti spettatori, ma lui ha suonato come se fosse stata l'ultima volta della sua vita, incurante di chi ci fosse davanti a lui, gli occhi chiusi e una potenza musicale da far paura. Se n'è andato come era venuto, nella notte, senza dire una parola. E anche noi, ma toccati da qualcosa di grande.
Springsteen sfugge a queste due categorie e appunto per questo non capisco il suo pubblico. Springsteen è evidentemente il padre, il fratello, il marito, la moglie, il figlio che non hanno mai avuto. Il Dio che qualcuno ha ucciso? Celebrano un rito (Jeff Tweedy una volta mi disse che un concerto rock, per lui che non va in chiesa, è quanto di più simile all'esperienza di chi in chiesa ci va, è una liturgia che forgia una comunità, una sorta di fede laica che unisce le persone - destinata a finire quando tutti sono usciti dal locale e si sono dispersi per le loro strade private, aggiungo però io), si uniscono sudati tra di loro come a cercare il "riparo dalla tempesta" che c'è lì fuori, forgiano per due, tre ore un popolo che balla, si affidano a Sringsteen perché li consoli, dia loro la forza di andare avanti, insieme a lui irrigidiscono i muscoli perché, come ho letto su Internet, abbiamo la forza di andare avanti fino al prossimo suo concerto. Credo che Springsteen comunichi una positività e un senso dela speranza che probabilmente non hanno uguali nel panorama odierno della musica rock e pochi paragoni ha avuto in passato. Non solo le sue canzoni, ma il suo porsi sul palco. L'altra sera a un certo punto ha fatto un piccolo siparietto di carattere politico, che quasi nessuno degli spettatori si è filato ignorandolo bellamente, perché erano tutti lì per cantare e ballare, non per sentire un comizio. Be', lui si è messo a ridere mentre leggeva quelle frasi, come dire: "Scusate, il mio senso civico mi costringe a dire queste cose, ma me ne frega poco anche a me. Ricominciamo a ballare".
Stamattina ascoltavo una compilation di gruppi doo wop anni 50, e in quelle meravigliose canzoni c'è un tale senso di innocenza, un tale sentimento di speranza e di bellezza della vita, che mi sono venute in mente certe canzoni di Springsteen. Non tutte, non quelle del disco nuovo (a parte la mia amata I'll Work for your Love), ma certamente quelle che tutti aspettano a un concerto di Bruce, come l'altra sera Thunder Road o Born to Run.
Eppure, non capisco perché solo il pubblico italiano è sensibile a questi aspetti, abbia bisogno di questo uomo come nessun altro pubblico al mondo ha bisogno. Forse non ci hano ancora riempito la testa di spazzatura mediatica e di certo marketing di alto bordo come in altri Paesi, e siamo ancora sensibili a un desiderio di pienezza e di felicità che altrove non troviamo. E' un caso irrisolto, quello di Springsteen.

Oppure, come mi ha detto l'altra sera una mia amica, è solo perché "a quasi sessant'anni, Bruce ha il miglior paio di chiappe al mondo". La copertina di Born in The Usa, evidentemente, è stata un ottimo investimento promozionale a lungo termine.