Friday, November 08, 2013

Glory days. What a Long Strange Trip It's Been

Era una bella mattinata di ottobre, sole caldo e aria fresca, cielo blu e niente polveri sottili come Milano, rare volte, sa essere. Fuori di quel locale che apparteneva a Enzo Jannacci, in pieno centro, splendido locale purtroppo chiuso prima del previsto, fumavo una sigaretta prima di entrare a incontrare Donovan. Già, una delle prime leggende del mio piccolo mondo musicale, leggende che negli anni a seguire avrei incontrato a piè sospinto. Eccolo che arriva: "Che ci fai qui, non ti piacerà mica Donovan?" gli chiedo. "Sono scappato per respirare un po' d'aria".

Lui è Claudio Todesco, di lì a pochi mesi sarebbe diventato il mio "compagno di banco" per oltre tredici anni. Avrei capito cosa intendeva con quelle parole, molte le giornate e anche non poche serate passate in quegli uffici di Milano 2 con gli aeroplani rombanti che passavano sopra la testa direzione Linate. Mi dà un disco da recensire, "roba che può piacerti", l'esordio dei 16 Horsepower e sì che mi sarebbero piaciuti (li avrei anche intervistati, ovviamente). Me ne avrebbe passati un bel po' di dischi che mi sarebbero piaciuti, negli anni.

Questa è la storia di Jam, così come l'ho vissuta dall'ottobre 1996 mio ingresso in redazione, al luglio 2009, mia uscita dalla redazione. Adesso, tre anni circa dopo che me ne sono andato, non ci sarà mai più alcuna redazione di Jam perché non ci sarà più Jam. E mi dispiace, mi dispiace un sacco.


Se ho imparato a scrivere, lo devo a Jam. E' stata una palestra di esercizio formidabile, e non poteva essere altrimenti con le dozzine tra recensioni e articoli che scrivevamo ogni mese. E' stata anche una palestra di crescita musicale, visto che i tre moschettieri che eravamo (io, Claudio e il direttore Ezio Guaitamacchi) esprimevamo tre mondi musicali diversi. Grunge con derive pinkfloydiane Claudio, hippismo sfrenato Ezio e… un grande boh io, che passavo dai Clash a Bob Dylan e dai Ramones a Gram Parsons. In tre discutevamo e ci passavamo i dischi da scoltare, ma poi aveva sempre ragione il direttore: ho lottato strenuamente per avere i Wilco in copertina ma non ci sono mai riuscito. Va bene così.

Jam era davvero un gran bel giornale, specie negli ultimi anni che ci sono stato e immagino anche in quelli che io non c'ero (non ho più avuto il coraggio di sfogliarne neanche una copia, troppo male). Un giornale equilibrato, vintage al punto giusto, appassionato con un grande cuore. Le cover story di anche 50mila battute erano la nostra forza, come nessuno le faceva in Italia. La mia prima fu sulle connessioni tra beat generation e musica rock, la mia ultima su Astral Weeks di Van Morrison,.Avevo cominciato bene e finivo meglio, anche se non lo sapevo. Grazie a Jam ho incontrato per telefono o di persona eroi assoluti della mia vita: Paul McCartney, Joe Strummer, Patti Smith, Robbie Robertson e una valanga di altri, ad esempio la mia amata Beth Orton, con la quale nel backstage di un suo concerto quasi ci baciavamo sulle labbra e nella sua camera d'albergo con le scarpe coi tacchi sbattute in giro e il letto disfatto Chrissie Hynde. Sogni di rock'n'roll.

Jam era tutto e il contrario di tutto: pensavamo di essere grandi giornalisti, poi una volta al mese a me e a Claudio ci toccava scaricare in garage il nuovo numero. Ci chiedevamo: ma anche Jann Wenner e Greil Marcus scaricavano Rolling Stone in cantina?

Poi succedeva anche di andare in stampa (poche volte eh) con una svista madornale, come quando scrivendo una recensione di un disco di Meshell Ndegeocello, non ricordandomi come si scriveva esattamente e proponendomi di controllare in seguito, rimase nella versione andata in stampa e poi in tutte le edicole la frase: "il nuovo disco di Meshecomecazzosichiama". Vabbè, è rock'n'roll anche questo.

Yours, truly. Mark Knopfler con il suo vero fratello

Ho viaggiato in Europa grazie a Jam: concerti e interviste a Londra (Mark Knopfler, Sheryl Crow, Lauryn Hill), in Germania (John Mellencamp, Aerosmith, Kings of Leon). Dopo il concerto di Mellencamp ero così eccitato - e ubriaco - che quasi cercai di mettere in pratica una leggenda del rock'n'roll: sfasciare la camera d'albergo. Riuscii solo ad aprire una bottiglia di birra sul davanzale della finestra, non se ne deve essere accorto nessuno, meglio così. Con gli Aerosmith invece io e un collega di un altro giornale partimmo convinti che tutto, viaggio, albergo e soprattutto cibo alcolici fossero pagati dalla casa discografica come era sempre successo. Invece no: solo viaggio e albergo erano pagati e avevamo speso in alcol più del viaggio. Fu un momento di panico leggendario. Ma era anche l'inizio della fine del giornalismo musicale italiano: i soldi stavano finendo. Adesso gli artisti esteri non vengono neanche più in Italia a farsi intervistare, i viaggi te li devi pagare e invece del disco omaggio ti arriva un bel link da fare il download. Non crediate che stia facendo quello della "casta": chi ha lavorato nei mensili musicali specializzati di soldi ne ha sempre visti pochi e quelli non erano privilegi, ma un modo di arrotondare.

Claudio Todesco, con cui ho scazzato spesso (minchia, mi correggeva anche le virgole in bozza) rimane un esempio di professionalità e serietà come nel giornalismo musicale non ho mai incontrato. Infatti mi sono sempre chiesto come mai facesse il giornalista musicale. E un grande scrittore: spero che il giornalismo non perda la sua firma, adesso che non c'è più Jam.

Con Ezio ci siamo lasciati male, era un periodo di merda della mia vita (toh, lo è ancora adesso), ma è stato un amico, sempre.

In questi ultimi anni che non ero più a Jam quasi una volta al mese sognavo di tornare a lavorarci: Ezio non ne era molto contento, ma me ne dava la possibilità. Questo per dire quanto mi mancava quel giornale.

Adesso se n'è andata anche la Liliana, sorella di Ezio, che era un po' la nostra mamma adottiva. Mi dispiace un casino. Mi dispiace di tutto. Ma ho anche incontrato un sacco di bella gente: i nostri collaboratori, troppi per ricordarli tutti. Loro sanno chi sono. Che cazzo di lungo strano viaggio è stato.

10 comments:

Andrea said...

Tue Claudio siete grandi scrittori. Gli unici in Italia che sanno dare un senso a un mestiere che altrimenti rischia di diventare come nelle celebri parole di Zappa. Sono tremendamente dispiaciuto per Jam, giornale magnifico che compro in edicola da più di 10 anni...mi mancherà davvero tanto. L'unica sua pecca è che era un po' passatista, i Wilco in copertina ci sarebbero stati eccome!

Anonymous said...

Bellissimo ricordo Paolo. Ho sempre ammirato il tuo modo di scrivere, soprattutto quello a briglia sciolta. Sei il John Belushi del giornalismo musicale italiano.
Carmelo

Anonymous said...

Prima volta che scrivo su un blog. Non sapevo manco cosa fosse fino a poco tempo fa.
Scrivo in quest’occasione che per me un po’ da magone e scrivo su questo di blog perché per me è figlio diretto di Jam.
Comprai il mio primo numero nel settembre 1999. All’epoca ero completamente intossicato di Pearl Jam e comprai di getto il giornale perché era un numero dedicato al grunge con Cobain in copertina.
Non ho mai perso un numero da allora fino a boh, un paio di anni fa circa. Poi a singhiozzo un numero sì e due no. Motivo principale le cover story a zero rischi. Per il sottoscritto, è sempre stato l’unico difetto di questo grande giornale. L’unico in mezzo a tantissimi pregi.
Quante scoperte (Wilco su tutti, grazie Paolo), quante riscoperte, quanti concerti, quanti dischi…
Grazie di cuore davvero.
Marco.

RagmanDrawcircles said...

Compravo Jam per leggere i tuoi articoli, Paolo, ma ne ho goduto anche molti altri interessanti approfondimenti.
E' incredibile come tu sappia scrivere in modo aperto e cosi' interessante di una vicenda pur cosi' personale e decisiva per te. Nel tuo miglior stile da "blood-on-the-tracks".
I migliori auguri all'ottimo Claudio.
Giorgio

andrea said...

Ho avuto il privilegio e l'orgoglio di collaborare con Jam molti anni fa. Lo ricordo come un bel periodo, purtroppo soldi e prospettive lavorative non ci sono mai state.

Zambo said...

devo essere sincero non ho mai comprato Jam salvo rare volte, lo trovavo, lo intercettavo, lo rubavo in qualche ufficio, leggevo alcuni pezzi, lo capivo, lo apprezzavo, lo trovavo interessante, complementare alla rivista su cui scrivo, in competizione da parte dei direttori, non da me, che ho sempre accettato la socialdemocrazia di Jam pur non condividendola fino in fondo e magari invidiando i soldi che gli arrivavano dallo Stato. Ma non per questo li reputavo nemici. Avevo una latente simpatia per Claudio Todesco e prima seppure in modo diverso per Vites, forse perché interista come me ma distante dalla mia più laica visione del mondo, lavoratore serio il Todesco, preciso, artigianale, riservato, capitò che mi diede delle informazioni utili allorché ci trovammo insieme in uno di quegli indegni ascolti in anteprima allestiti dalle agonizzanti case discografiche. Era il tempo di Benaroya Hall dei Pearl Jam, lui li conosceva meglio di me, mi passò alcune dritte, feci la recensione più ricca grazie a lui. Non capita spesso, nemmeno tra colleghi della stessa rivista. Alla faccia dei nostri direttori, proletari di tutto il mondo unitevi diceva uno slogan del 68 che va bene anche nei piani bassi del rock dove noi recensori mese dopo mese abitiamo. Mi spiace che Jam abbia chiuso, è un segno dei tempi caduchi che stiamo vivendo, tempi che non conoscono la passione e la storia, tempi stolti. Mi spiace per coloro che ci lavoravano, e che importa se Eddie Vedder era meglio di Van Morrison, chissenefrega, quando puoi acquistarti tutte e due i CD ma diventa tristezza quando uno non ha più il lavoro e magari tiene famiglia. Mi spiace che la rivista su cui scrivo non scriva una riga su dei cugini che chiudono i battenti. Qualcuno lo vorrebbe, altri sono sordi o non si accorgono che il nemico non è quello che ti sta di fianco e mangia la tua stessa minestra. D'altra parte anche tra Inter e Milan una sorta di amicizia sotterranea esiste, non è mica la Juve ma valli a capire. Auguro agli ex jammisti di jammare ancora, con più fortuna comunque, il mondo è di tutti, non spingete per favore.

Paolo Vites said...

@andrea: cosa avevi scritto su jam? mi dici il tuo cognome?

@carmelo: no il lester bangs :-)

@zambo, grazie. ho comunque sempre pensato che in italia esistessero ed esistano troppi giornali musicali, per un pubblico poi così ridotto

andrea said...

Ciao Paolo, il mio cognome e' Bernardi. La mia collaborazione con Jam e' stata breve e risale a diversi anni fa ma confermo che ne ho un bel ricordo. Avevo fatto qualche intervista: Maria McKee, Superfurry Animals, Malfunk, diverse recensioni e un capitolo sugli eredi dei Beatles per una pubblicazione Editori Riuniti. Ti continuo a seguire attraverso il blog. Lascia che ti dica, senza alcuna esagerazione, che sei uno scrittore formidabile!

Paolo Vites said...

ciao andrea! mi ricordo, se non sbaglio ti avevo imposto io quell'intervista a maria mckee, era ottima...

Sean said...

Looved reading this thanks

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