"E' la seconda volta che suoniamo in Italia in quasi quarant'anni" dice Tom Verlaine a un certo punto. E' vero, e la dice lunga delle barriere che ancora esistono tra certa musica rock e la nostra terra dei cachi. I Television sono apparsi sul palco dell'Alcatraz di Milano come una visione, come una testimonianza, come una immagine ferma nel tempo di una scena musicale tra le più effervescenti ed eccitanti, quella di New York della seconda metà degli anni 70. Ma loro erano diversi, fuori da ogni schema e da ogni tempo: i Grateful Dead del punk li definì qualcuno. Ci si può solo immaginare la faccia di chi, entrando al CBGB's per ascoltare l'ennesimo gruppo punk, si fosse imbattuto nei Television: chi diavolo sono questi e che musica fanno?
La domanda rimane attualissima ancor oggi, anche se dopo "Marquee Moon" disco di esordio datato 1977 e uno dei più straordinari album di esordio di ogni epoca, hanno fatto ben poco, complici gli sbalzi umorali del leader Tom Verlaine. Il quale, senza la sua band, in Italia c'era comunque venuto diverse volte, ma in un modo o nell'altro aveva sempre deluso. Che fosse stato sul palco insieme all'amica Patti Smith, seduto in un angolo e quasi assente, quasi dimenticandosi di suonare, o che si fosse esibito in coppia con l'altro chitarrista dei Television Jimmy Rip, perso in un irritante solipsismo.
All'Alcatraz invece Verlaine ha tirato fuori tutto il suo straordinario talento, regalando una esibizione da incorniciare. La serata era dedicata all'esecuzione integrale proprio di "Marquee Moon", un evento per noi italiani, tanto che l'Alcatraz, seppur ridotto nella sua capienza era affollatissimo di un caldo pubblico, e l'atmosfera dell'evento era ben rappresentata dalla presenza di tutti o quasi i sopravvissuti di certo giornalismo rock, gente che come il sottoscritto è cresciuta con dischi come questo e che si è mossa anche da Roma per non perdere questo concerto.
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Thursday, June 05, 2014
Friday, May 30, 2014
Crucify your mind
Cosa hanno in comune Detroit e Londra alla fine degli anni 60? Nulla, esattamente come oggi. Difficile immaginare due città più agli opposti. La Swingin' London di quel periodo era una delle capitali più effervescenti ed eccitanti, Detroit una delle metropoli più decadenti, con i suoi ghetti, la crisi dell'industria automobilistica, i suoi disoccupati e disperati. Londra è ancora oggi una delle capitali più eccitanti del mondo seppur non più swingin', Detroit è ancora una delle città più decadenti: pochi mesi fa ha addirittura dichiarato bancarotta.
Eppure, per gli strani casi del destino, in città così diverse fra loro in quell'ultimo scorcio degli anni 60 muovevano i loro passi due figure accomunate da molte cose. In primis, il male di vivere. E poi l'amore per la musica.
Se a Londra Nick Drake il male di vivere lo assumeva in sé e lo descriveva con allucinante realismo nelle sue canzoni, a Detroit Rodriguez raccontava il male di vivere che vedeva intorno a sé: "Born in the troubled city in Rock and Roll, USA", nato in una città piena di guai, negli Stati Uniti del rock'n'roll.
Ma c'era qualcosa che li avrebbe accomunati per sempre: la mancanza del successo, il riconoscimento pubblico delle loro immense capacità artistiche. Con la differenza che questo mancato riconoscimento lo avrebbero vissuto diversamente.
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Eppure, per gli strani casi del destino, in città così diverse fra loro in quell'ultimo scorcio degli anni 60 muovevano i loro passi due figure accomunate da molte cose. In primis, il male di vivere. E poi l'amore per la musica.
Se a Londra Nick Drake il male di vivere lo assumeva in sé e lo descriveva con allucinante realismo nelle sue canzoni, a Detroit Rodriguez raccontava il male di vivere che vedeva intorno a sé: "Born in the troubled city in Rock and Roll, USA", nato in una città piena di guai, negli Stati Uniti del rock'n'roll.
Ma c'era qualcosa che li avrebbe accomunati per sempre: la mancanza del successo, il riconoscimento pubblico delle loro immense capacità artistiche. Con la differenza che questo mancato riconoscimento lo avrebbero vissuto diversamente.
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Saturday, May 24, 2014
Great Expectations
Scrivere. Scrivere sempre. Anche quando ti viene da vomitare sulla tastiera anche quando le dita gettano sangue sui tasti e le lacrime bagnano gli sputi. Scrivere per non impazzire. Scrivere per non morire o per morire prima. Scrivere se non hai niente da dire perché devi farlo comunque altrimenti poi non riuscirai più a riprendere. Scrivere contro la menzogna che ti asfissia ogni giorno sempre di più l'incredibile l'universale menzogna di ogni uomo che mantiene viva l'umanità. Ecco perché tu stai morendo poco a poco. Scrivere gratis scrivere per nessuno scrivere sempre. Scrivere non per fuggire ma per auto importi quella santità che ti viene negata. Santo santo santo scrivere. Scrivere sempre anche se non c'è motivo alcuno per farlo perché sei rifiutato fregato incastrato bloccato e maledici il gesto stesso di scrivere. Scrivere per non bestemmiare la santa bestemmia. Scrivere perché non ci sarà mai una ricompensa. Scrivere perché non c'è successo come il fallimento. E il fallimento non è un successo per nulla.
Monday, May 19, 2014
Tutto quello che avreste voluto sapere
L'amico Corrado Ori Tanzi mi ha intervistato. Autore di un ottimo blog che dimostra che per essere giornalisti non bisogna necessariamente scrivere sui "giornali" (ne esistono ancora? boh) ha pensato di farmi alcune domande (e l'hh anche tradotta in inglese!). Mi sono divertito molto, sembro quasi un vero giornalista. Grazie amico, ricambierò il divertimento...
TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SU PAOLO VITES MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE
TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SU PAOLO VITES MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE
Sunday, May 18, 2014
carognamenzognavergogna
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Thursday, May 08, 2014
American family
Perché è difficile se non impossibile pensare a un disco di Ligabue o Vasco Rossi inciso con le loro madri? Non è invece difficile pensare a un disco di una rock star americana che fa una operazione del genere. Ed eccolo qua, Ben Harper in coppia con la mamma Ellen, una delle star più celebrate della scena rock degli ultimi venti anni con “Childhood home”, un disco splendido, a tratti commovente, pensato e pubblicato in occasione della festa della mamma.
Ma per capirne le profonde ragioni ed evitare accuse di mammismo che già si sentono dietro l'angolo, bisogna capire la diversità che esiste, seppur ormai in minima parte vista l'era di omologazione globale del nulla in cui viviamo, era che ha azzerato ogni sistema di valori, tra America e Italia. Capire allora cosa significa, o ha significato, la famiglia per gli americani, e quindi capire cosa significhi, o ha significato, il rock'n'roll per gli stessi.
Da Elvis Presley a Johnny Cash, da Jerry Lee Lewis a Little Richard, è impensabile pensare a questi personaggi senza le loro radici religiose. Nati e cresciuti in un sistema fortemente ancorato alla comunità di appartenenza, di cui il primo elemento era la famiglia e il secondo la locale comunità religiosa, tutti loro sono cresciuti cantando nei cori della chiesa o cantando quegli inni insieme ai propri genitori. Non esistevano televisori o internet, a malapena una radio un po' scassata: radunarsi nelle sale delle loro piccole e povere abitazioni a cantare i vecchi inni era la cosa più naturale che si potesse fare. Non è un caso che una delle ultimissime incisioni di Johnny Cash prima di morire siano proprio quegli inni che era solito cantare insieme alla madre da ragazzino. Tutto torna, e nulla si perde. E' in quel sistema di valori che si sono formate le più grandi star della music rock.
CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE LA RECENSIONE DI CHILDHOOD HOME
Ma per capirne le profonde ragioni ed evitare accuse di mammismo che già si sentono dietro l'angolo, bisogna capire la diversità che esiste, seppur ormai in minima parte vista l'era di omologazione globale del nulla in cui viviamo, era che ha azzerato ogni sistema di valori, tra America e Italia. Capire allora cosa significa, o ha significato, la famiglia per gli americani, e quindi capire cosa significhi, o ha significato, il rock'n'roll per gli stessi.
Da Elvis Presley a Johnny Cash, da Jerry Lee Lewis a Little Richard, è impensabile pensare a questi personaggi senza le loro radici religiose. Nati e cresciuti in un sistema fortemente ancorato alla comunità di appartenenza, di cui il primo elemento era la famiglia e il secondo la locale comunità religiosa, tutti loro sono cresciuti cantando nei cori della chiesa o cantando quegli inni insieme ai propri genitori. Non esistevano televisori o internet, a malapena una radio un po' scassata: radunarsi nelle sale delle loro piccole e povere abitazioni a cantare i vecchi inni era la cosa più naturale che si potesse fare. Non è un caso che una delle ultimissime incisioni di Johnny Cash prima di morire siano proprio quegli inni che era solito cantare insieme alla madre da ragazzino. Tutto torna, e nulla si perde. E' in quel sistema di valori che si sono formate le più grandi star della music rock.
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Wednesday, April 23, 2014
Goga e Magoga
"Accidenti Davide: ai tempi del vinile questo sarebbe stato un triplo ellepì". "Esatto, come Sandinista dei Clash!". Scherza e ride Davide Van De Sfroos, è decisamente di buon umore e soddisfatto del suo nuovo disco, il primo dopo tre anni, e ovviamente la prima cosa che gli viene in mente è uno dei suoi gruppi preferiti, i Clash. Chi scrive lo ricorda sul palco pochi minuti prima di una esibizione, intento ad attaccare con cura sulla sua chitarra un adesivo dei Clash. Le radici musicali di quest'artista sono profonde e diverse, ma tutte sanamente rock. Lo si sente in questo disco, "Goga e Magoga", ricchissimo di spunti, di citazioni, di una varietà sonica come non era mai successo prima. E allora ci sta un'altra citazione: "Potrebbe essere un 'freewheelin' Van De Sfroos, un Van De Sfroos a ruota libera, che ne dici?". Annuisce ridacchiando.
Anche liricamente è un disco ricco come non mai, un disco "bipolare" lo ha definito lui con una delle sue tipiche irresistibili immagini, che racconta "un'epoca che con il bipolarismo e la confusione interiore ed esteriore ha imparato a convivere con apparente rassegnazione". Un'epoca dove l'io dell'uomo è devastato, annichilito e addormentato, e lui lo dice benissimo, ma non per questo bisogna arrendersi. "Le mie canzoni cercano di comunicare comunque speranza" sottolinea. Ed è vero: immagini di luce appaiono e scompaiono qua e là nelle canzoni. Maria, la madre di Dio, per cui una preghiera vale sempre la pena, l'infermiera davanti alle atrocità della guerra che diventa un padre nostro. E alla fine quella dichiarazione bellissima, che la vita è un dono, che la vita è appartenenza, che la vita è affidarsi: "Qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo, qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato ma in molti accettano il dono, il dono di farsi cullare".
CLICCA SU QUESTO LINK PER CONTINUARE A LEGGERE L'INTERVISTA
Anche liricamente è un disco ricco come non mai, un disco "bipolare" lo ha definito lui con una delle sue tipiche irresistibili immagini, che racconta "un'epoca che con il bipolarismo e la confusione interiore ed esteriore ha imparato a convivere con apparente rassegnazione". Un'epoca dove l'io dell'uomo è devastato, annichilito e addormentato, e lui lo dice benissimo, ma non per questo bisogna arrendersi. "Le mie canzoni cercano di comunicare comunque speranza" sottolinea. Ed è vero: immagini di luce appaiono e scompaiono qua e là nelle canzoni. Maria, la madre di Dio, per cui una preghiera vale sempre la pena, l'infermiera davanti alle atrocità della guerra che diventa un padre nostro. E alla fine quella dichiarazione bellissima, che la vita è un dono, che la vita è appartenenza, che la vita è affidarsi: "Qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo, qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato ma in molti accettano il dono, il dono di farsi cullare".
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Monday, April 21, 2014
This is the story of the Hurricane
In quei mesi del 1976 era impossibile non ascoltarla: ogni qualvolta accendevi una radio, la canzone Hurricane di Bob Dylan usciva fuori. Anche nella provincia dell’impero come era ed è ancora oggi l’Italia, così lontana negli anni 70 dal mondo dello spettacolo, della musica e della politica americana, Stati Uniti, il cuore invece dell’impero. In quei giorni Internet era neppure un sogno nella testa di qualche scienziato, eppure la forza di quella canzone fu così devastante che bucò ogni barriera, diventando un singolo di successo planetario. Fu un impatto multi mediatico e multi culturale. Addirittura si ballava nelle prime discoteche, agli albori della disco music che sarebbe esplosa poco dopo con i Bee Gees, per quel suo ritmo incalzante e arrembante. Sbucò anche in televisione, dove Bob Dylan negli ultimi mesi del 1975 si era recato per partecipare a un programma in tributo al discografico che aveva scoperto anni prima lui e tanti altri, ad esempio Bruce Springsteen, John Hammond, e l’aveva cantata in anteprima.
Quella serata venne trasmessa anche alla televisione italiana nei primi mesi del 1976 e per molti fu come se la vita cambiasse nel giro di pochi minuti. Chi scrive quella sera era un ragazzino di 13 anni che cambiò canale così per caso e rimase intrappolato da quella voce mai ascoltata prima, che spalancava orizzonti infiniti, che inquietava e che malediceva, che non era simile a niente altro che avevi ascoltato prima e che ti inchiodava davanti al televisore senza possibilità di proferire un solo “eh”.
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Hurricane - Bob Dylan from LA REVOLUCION ES AHORA! on Vimeo.
Quella serata venne trasmessa anche alla televisione italiana nei primi mesi del 1976 e per molti fu come se la vita cambiasse nel giro di pochi minuti. Chi scrive quella sera era un ragazzino di 13 anni che cambiò canale così per caso e rimase intrappolato da quella voce mai ascoltata prima, che spalancava orizzonti infiniti, che inquietava e che malediceva, che non era simile a niente altro che avevi ascoltato prima e che ti inchiodava davanti al televisore senza possibilità di proferire un solo “eh”.
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Friday, April 18, 2014
Henry Poole is here
"Non vedo nulla". "Non stai guardando". La vita e il modo di affrontarla in fondo potrebbe essere tutta riassunta in queste due battute, quelle che si scambiano Henry Poole (l'attore Luke Wilson) e la sua vicina di casa, Esperanza (nome non casuale, ovviamente). Quello che non vede nulla è Henry, perché Esperanza, donna semplice, riesce anche a vedere il volto di Gesù sul muro di un fatiscente cottage alla periferia di Los Angeles che è poi la casa dove è cresciuto Henry e dove è tornato per morire, convinto di avere una malattia terminale. Ma lui, bicchiere di superalcolici sempre in mano, quel volto non lo vede.
Henry "ha smesso di credere alla speranza, ma la speranza non ha smesso di credere in lui". "Henry Poole - Lassù qualcuno ti ama" (titolo originale Henry Poole Is Here) è un bel film uscito nel 2008, poco visto e abbastanza trascurato, come sempre quando un film non è pensato per i baracconi fatti da effetti super tecnologici in 3D, ma ha invece una bella storia da raccontare. Sky Cinema lo ha trasmesso in queste serate pre pasquali: forse "lassù", nei palazzi di Sky, c'è davvero qualcuno che programma i film con un senso. Perché "Hnenry Poole" è la storia di un miracolo, di una resurrezione anche, dunque perfetto per i giorni di Pasqua. E ha una bellissima colonna sonora: memorabile la scena in cui un ormai confuso e smarrito Henry Poole mani in tasca si sofferma a guardare il panorama di Los Angeles al tramonto e sotto parte una delle più belle canzoni di Bob Dylan, Not Dark Yet, "non è ancora buio ma ci manca poco".
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Henry "ha smesso di credere alla speranza, ma la speranza non ha smesso di credere in lui". "Henry Poole - Lassù qualcuno ti ama" (titolo originale Henry Poole Is Here) è un bel film uscito nel 2008, poco visto e abbastanza trascurato, come sempre quando un film non è pensato per i baracconi fatti da effetti super tecnologici in 3D, ma ha invece una bella storia da raccontare. Sky Cinema lo ha trasmesso in queste serate pre pasquali: forse "lassù", nei palazzi di Sky, c'è davvero qualcuno che programma i film con un senso. Perché "Hnenry Poole" è la storia di un miracolo, di una resurrezione anche, dunque perfetto per i giorni di Pasqua. E ha una bellissima colonna sonora: memorabile la scena in cui un ormai confuso e smarrito Henry Poole mani in tasca si sofferma a guardare il panorama di Los Angeles al tramonto e sotto parte una delle più belle canzoni di Bob Dylan, Not Dark Yet, "non è ancora buio ma ci manca poco".
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Friday, April 11, 2014
Brother Jackson
Brother Jackson, come lo chiamano alcuni, è stata l'autentica voce dell'uomo comune, quello che John Lennon preferiva chiamare il "working class ero", l'eroe della classe operaia. Jackson Browne nel suo straordinario catalogo di canzoni composte nell'arco di una carriera quarantennale, non ha mai però ceduto ad alcuna ideologia di sorta, tanto meno quella del cosiddetto "blue collar rock", il rock - appunto - della classe operaia di cui sarebbero stati esponenti di spicco (ma lo erano davvero?) Bruce Springsteen e John Mellencamp.
Tutti loro, è vero, hanno cantato la quotidianità della vita reale, quella fatta di orari 9-5, di cartellini da timbrare, di autostrade da asfaltare, della fuga del sabato sera, i pannolini da cambiare, il lavoro da cercare, matrimoni che andavano a rotoli e allo stesso tempo domeniche pomeriggio passate al parco a giocare con i figli. Quelle persone che sono il sale della terra insomma, come dicevano i Rolling Stones nella più bella canzone dedicata appunto agli eroi della vita quotidiana, Salt of the Earth.
Jackson Browne ci ha messo però una particolare capacità di compassione, uno sguardo caritatevole e pieno di amore per quest'uomo che fatica e sputa sang per mettere insieme, come si diceva una volta, il pane con il companatico. Una canzone come For Everyman, per dirne una, ne è il manifesto più affascinante e commovente, un abbraccio al cuore dell'uomo che desidera e combatte per una vita dignitosa, condizione comune a tutti anche se molti tendono a dimenticarlo nella banalità e nella distrazione delle promesse vacue del mondo: appunto, "per ogni uomo".
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Tutti loro, è vero, hanno cantato la quotidianità della vita reale, quella fatta di orari 9-5, di cartellini da timbrare, di autostrade da asfaltare, della fuga del sabato sera, i pannolini da cambiare, il lavoro da cercare, matrimoni che andavano a rotoli e allo stesso tempo domeniche pomeriggio passate al parco a giocare con i figli. Quelle persone che sono il sale della terra insomma, come dicevano i Rolling Stones nella più bella canzone dedicata appunto agli eroi della vita quotidiana, Salt of the Earth.
Jackson Browne ci ha messo però una particolare capacità di compassione, uno sguardo caritatevole e pieno di amore per quest'uomo che fatica e sputa sang per mettere insieme, come si diceva una volta, il pane con il companatico. Una canzone come For Everyman, per dirne una, ne è il manifesto più affascinante e commovente, un abbraccio al cuore dell'uomo che desidera e combatte per una vita dignitosa, condizione comune a tutti anche se molti tendono a dimenticarlo nella banalità e nella distrazione delle promesse vacue del mondo: appunto, "per ogni uomo".
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Tuesday, April 08, 2014
Do They Know It's Christmas?
Trent'anni fa quasi, un giovane cantante, per la verità già un po' dimenticato dalle cronache rock dopo un successo istantaneo di qualche anno precedente, pensava e dava vita al più grandioso evento musicale della storia, superiore anche al festival di Woodstock del 1969 e rimasto oggi ancora inimitabile, nonostante le centinaia di tentativi di imitazioni. Il Live Aid, che Bob Geldof, musicista nord irlandese noto solo a un pubblico ristretto, rese possibile fu l'evento degli eventi, per impatto mediatico, numero di spettatori, intento benefico. Si voleva rispondere al dramma della morte per fame di milioni di africani, specie quelli dell'Etiopia, e cosa c'è più bello, di più nobile e più coinvolgente di impegnarsi per rispondere a una catastrofe del genere? In fondo la musica rock lo aveva sempre gridato: noi possiamo cambiare il mondo.
Un evento pensato in simultanea sui palcoscenici di Londra e di Philadelphia, dall'altra parte dell'oceano, e poi la diretta televisiva mondiale per miliardi di spettatori. Sui due palchi, i più grandi nomi della scena musicale di allora e di sempre, clamorosa reunion dei Led Zeppelin compresa.
Il Live Aid fu un discreto fallimento, i soldi destinati ai bambini africani per anni finirono non si sa dove, poi ne giunsero a destinazione solo una parte, considerando anche le spese ciclopiche dell'evento. Bob Geldof tornò nel suo anonimato di musicista rock incompiuto nonostante il suo nome diventasse un po' una sorta di Gandhi del rock, diventando anche baronetto per il merito benefico della sua iniziativa.
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Un evento pensato in simultanea sui palcoscenici di Londra e di Philadelphia, dall'altra parte dell'oceano, e poi la diretta televisiva mondiale per miliardi di spettatori. Sui due palchi, i più grandi nomi della scena musicale di allora e di sempre, clamorosa reunion dei Led Zeppelin compresa.
Il Live Aid fu un discreto fallimento, i soldi destinati ai bambini africani per anni finirono non si sa dove, poi ne giunsero a destinazione solo una parte, considerando anche le spese ciclopiche dell'evento. Bob Geldof tornò nel suo anonimato di musicista rock incompiuto nonostante il suo nome diventasse un po' una sorta di Gandhi del rock, diventando anche baronetto per il merito benefico della sua iniziativa.
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