Tu non lo sai, ma quando ti accarezzo, la tua bella faccetta, cosi pulita, mi pare, mi pare di essere un signore, un signore che ha la radio nuova e nell'armadio la torta per i figli, che vengono a casa da scuola, e ti tocca viziarli; per te un'altra vestina, a te ti compero le scarpe
(Ti te sé no, Enzo Janancci)
L’uomo è laggiù, in fondo al corridoio. Quando arriva, si va sempre a chiudere lì dentro. Poi magari esce fuori e se incrocia qualcuno lo saluta, gli stringe l amano. Perché è timido e riservato. Anche se ha passato quasi tutta la vita sui palcoscenici davanti a migliaia di persone.
“Sono sempre stato timido, ancora adesso faccio fatica a chiedere informazioni alla signorina del supermercato. Quello che la gente si ricorda di me sono le entrate a passettini, che non erano una trovata artistica, ma venivano dal fatto che avevo paura di disturbare”.
L’uomo è laggiù in fondo al corridoio e mi dicono che è seduto laggiù. Anche questa volta è arrivato, riservato e misterioso come le altre volte, poi sparisce allo stesso modo con cui è arrivato. Mi dicono, vai a salutarlo dai. No non ci vado. Massì vai a salutarlo, gli fa piacere. No che non ci vado.
“C’è una carica vitale che la supera da tutte le parti, da dove arriva questa carica? Da chi ho davanti, da chi incontro, da quello che guardo, da dove penso arrivi la musica”.
Ok ci vado. Attraverso il corridoio. Se è piccola sta stanzetta. L’uomo è seduto lì, incassato in un angolino di una stanzetta che è già un angolino. Si stringe forte l’impermeabile. Fuori, su Milano, la sua Milano, sta nevicando. So che è anziano, per così dire, ha 75 anni. Ma ha una bella pelle liscia, un sorriso che spacca, gli eleganti capelli bianchissimi. La stretta di mano forte ma educata. Il sorriso. Il carisma. Che allarga e di tanto la minuscola stanzetta.
“La normalità come la penso io è essere te stesso, sapendo che ci vuole una misura anche nella tua cattiveria. Essere buoni non può voler dire non essere cattivi, ma essere disponibili ai desideri, ai bisogni. La normalità è poter dire di essere a casa”.
Parliamo un po’, come si dice del più e del meno, di amici musicisti in comune. Ha una gran voglia di parlare, di raccontare. Si vede che gli piacciono le storie. Si schernisce per la bellissima intervista che ci ha concesso, come si schernisce la bravissima amica che glie l’ha fatta. Ma insomma chi l’ha fatta questa intervista, mica si sarà fatta da sola.
“Questo Armando a un certo punto dice: non ci sono più maestri, ma solo esperti di settore”.
Potrei rimanere nella stanzetta per ore, ma in qualche modo sento che l’uomo guarda già lontano, è come se fosse attraversato. Appartiene già a un altro tempo, un tempo immemorabile.
"Io amo talmente la musica e la bellezza, le amo talmente perché sento che se tu ne prendi dei pezzi, dei piccoli svolazzi, come quei foulard che nelle serate di moda si vedono svolazzare… Solo che la musica è un continuo svolazzare di foulard, va avanti da sola e uno deve essere lì pronto ad ascoltare, perché poi lei va via. Però può essere che qualche volta si ferma e anche lei ascolta, perché c’è anche la musica che ascolta. La vita per me è concepita da uno che ti mette lì - e io so chi è - … ti ha messo lì e c’è tutta una serie di avvenimenti, di affreschi, di patate sauté, di bistecca con la polenta, di uova sode… tutte cose che, tra l’altro, piacciono a me, magari agli altri no, ma a me piacciono molto".
Dopo, quando lui è già andato via, oppure è ancora là nella stanzetta che si vedeva che era felice di essere in quella stanzetta, tra amici presenti e altri che dovevano ancora arrivar, io esco. Per le strade della sua Milano nevica. Sto imparando a guardare. Perché nella vita è la cosa più bella, guardare ogni cosa. La neve. Le biciclette e i tram. Stupirsi. Guardare a persone che ti sanno essere dei maestri. Che altro c'è. Be' le patate sauté e una bistecca con polenta. Perché la vita accade. Ora.
A questo link l'intervista completa a Enzo Jannacci
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10 comments:
vedi vedi. Questa è un'altra ragione per cui il mio "top of the post" è parcheggiato. L'anno non era finito e post come questi potevano ancora arrivare. Sarà perché io adoro Jannaci, sarà perché mi piace da morire come hai dipinto un magnifico uomo in bianco e nero. Mi dispiace, ma ci sarà lui in vetta.
Jannacci, che grande uomo...
Basta sentire El me indiriss, o Soldato Nencini, o una qualsiasi delle sue canzoni per capire come la malinconia e l'allegria girino sempre a braccetto...
e pensare che quando ero studente lavoravamo nello stesso ospedale....
Un bel post che racconta di una bella persona, di un maestro anzi di un buon maestro.
Bellissimo questo articolo.
Bravo Paolo! Anche io sto imparando a guardare.
Periodo Jannacciano, questo. Ho letto da poco il libro su di lui scritto da Guido Michelone (Ci vuole orecchio - Jannacci raccontato), e ieri sera ho visto Carmine Torchia chiudere il suo concerto con una bella cover de "L'Armando". Che strano sentire una canzone simile fatta da uno di Catanzaro!
Il post e l'intervista sono belli, delicati, e con l'arte dei grandi che sembrano sempre muoversi tra il cinismo e un nuovo stupore. E mi riferisco tanto a Jannacci quanto a te, Paolo.
cinismo e stupore.. sono io! :-)
lo sguardo. perché quello che conta, sempre, è uno sguardo. un po' trasversale, come dice il mio amico zio fiesta. magari cinico, certo. disincantato, a volte. ma pur sempre ricco di stupore. e quando c'è da in_cantarsi, pronto a farlo. senza remore.
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