Wednesday, April 27, 2011

Inside the museums Infinity goes up on trial


Mia figlia mi sta mandando degli sms. Sto facendo stage diving! Sono sul palco con la band! Oddio. E' all'Alcatraz, a vedere non so quale punk irish band. Io invece sono in uno dei posti più surreali in cui abbia mai visto un concerto. Una galleria d'arte ultra posh e ultra trendy, da qualche altra parte di Milano. Che famiglia, penso. Rovinati dalla musica.


Lei in mezzo a una baraonda punk, io a sentire un allampanato cantante texano che sembra un incrocio tra the man in black e il monaco Rasputin. Che si rifiuta anche di usare una amplificazione e obbliga il centinaio di persone sedute per terra davanti a lui al raccoglimento totale. Manco fossimo in un museo, dove l'infinito viene giudicato, o in una chiesa. Ma forse ci siamo. Perché lui sta cantando "Non è Natale, questa è Pasqua, honey bunny" e la Pasqua in effetti con un tempismo irreale è stata solo due giorni fa. Allora lui potrebbe essere una sorta di reincarnazione di una icona della resurrezione inviato qui stasera a consolare le anime di un centinaio di disperati per amore. Ain't your savior, Christ.




Che è così che gli dico quando a fine show si ferma in mezzo alla gente a parlottare. Sta parlando con qualcuno, io sono lì ad ascoltare,lui si gira di scatto verso di me e mi chiede: "Ci conosciamo già?". Non penso, Josh, o forse in un'altra vita. Time out of mind. "Dimmi una buona parola sull'amore" gli chiedo. Lui si massaggia la lunga barba si guarda in giro e esclama "Oh shit!", come dire, non ci sono buone parole per l'amore, Poi mormora qualcosa che non capisco ma meglio così, ognuno ha la sua croce da portare ed è inutile, proprio inutile, pensare che qualcun altro te la possa togliere di dosso anche per un po'.

In realtà, durante il suo concerto Josh T Pearson di croci ne ha spostate parecchie: è di una intensità al limite dell'imbarazzo. Non è sofferenza quella che esprime, è più una sorta di trascendenza. Come uno che all'inferno ci è stato ma ne è uscito vivo. Non reclama dolore, ma consolazione, la sua musica. I suoi arpeggi di chitarra sfiorati hanno l'eco di un coro pentecostale in una chiesa battista spazzata dal vento nelle dust bowl dell'Oklahoma. Lui, anche se è un man in black, più che a Johnny Cash assomiglia a uno dei fratelli Karamazov. E come Dostojevski, chiede una cosa sola: che la bellezza salvi il mondo. Oh shit!


12 comments:

Unknown said...

sfiga sfigatissima che la stessa sera all'Alcatraz ci fossero i Dropkick Murphys, ma bene così che Josh è stato davvero magnetico...

RagmanDrawcircles said...

cool, my friend!

Laura said...

oh, shit
questa è la sola cosa buona sull'amore che si possa dire...

Unknown said...

http://www.blogotheque.net/Josh-T-Pearson,5985

jesus's inferno said...

la foto con josh sul piedistallo è magica..

Fausto Leali said...

ero certo che avresti scritto (e vissuto) così.
thanx, peccato non esserci anch'io

barbara said...

bene cosi, Nando, bene così..abbiamo fatto la scelta giusta...e noi come due ragazzini, seduti a terra sotto Josh...ci siamo bevuti ogni respiro e ogni arpeggio. Quegli occhi e quelle mani non ce le dimenticheremo più. Bello il post e bellissime le foto :))

ciocco72 said...

serata difficile da dimenticare per profondità e raccoglimento

andrea said...

"Dimmi una buona parola sull'amore"...
una richiesta geniale ed allo stesso tempo imbarazzante, degna del miglior Kerouac.

b o s c o p a r l a n t e said...

E' pur sempre una bella domanda...fa rinascere ogni volta il silenzio di parole sull'amore...:-)

Anonymous said...

Ho letto l' intervista sul sussidiario: la scuola non c'è perchè si è fatto e si sta facendo di tutto per distruggerla. Comunque da sola non può fare fronte alla completa educazione dei ragazzi, la collaborazione con la famiglia è indispansabile. Ma l' istituzione famiglia è in forte crisi. Perchè la famiglia ha delegato tutto a una scuola che non c'è, quindi? Perchè NON E' IN GRADO di svolgere il compito educativo che le spetterebbe. Così non si va da nessuna parte, le amare parole dell' autore fanno trasparire la realtà.
Scusa il commento non attinente a questo post.

Francesca

Paolo Vites said...

pensa che proprio stamattina voleva fare un psot su quell'intervista...
siamo troppo avanti io e te:-)

mi spieghi meglio cosa intendi però che mica ti ho capito tanto (poi l'intervista la link qua al blog)
grazie!"

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

I più letti