Wednesday, March 07, 2012

Ogni immagine racconta una storia

Oh Maggie, I wished I'd never seen your face
You made a first class fool out of me
But I'm as blind as a fool can be
You stole my heart but I love you anyway


Che botta. Mi domando come sia stato accolto questo disco quando uscì, un bel 41 anni fa. E' così… fuori dal tempo. Oggi sembra un disco vecchissimo, allora come poteva sembrare? Me lo domando così tanto che recupero una recensione originale dell'epoca che uscì su Rolling Stone. Ne stronca metà, le cover - bellissime -, come Tomorrow is a Long Time di Bob Dylan e Reason to Believe di Tim Hardin, o anche That's All Right Mama, sì quella che Elvis incise come primo 45 giri. Doveva scrivere solo brani originali, dice il recensore, ma lo perdono perché nel 1971 uscivano tonnellate di bei dischi per cui qualche critica bisognava pur muoverla.

Every Picture Telles a Story è un disco…. talmente bello che non si riesce a definirlo, oggi, 41 anni dopo la sua uscita. Sì, col senno di poi anche Rolling Stone lo ha incluso tra i 500 dischi più belli di sempre posizionandolo intorno alla centesima posizione. Eppure oggi suona come un disco misterioso: sembra antico, precedente alla sua incisione, ma è antico per noi oggi, 41 anni dopo ovviamente. E' un disco fuori dal tempo, più precisamente.

"Lo abbiamo inciso senza alcun preconcetto su cosa fare" raccontò anni dopo Rod Stewart. "Ci facevamo qualche drink e ci mettevamo a strimpellare". Mai strimpellata fu meglio riuscita. "Avevamo un gruppo di bevitori di prima categoria" dice ancora il cantante scozzese. Praticamente i Faces, la band di cui era cantante, la seconda miglior rock'n'roll band di Inghilterra dopo gli Stones in quel periodo storico. E di alcol in questo disco ne scorre parecchio. Ma a parte la straordinaria I'm Losing You, è un rock acustico quello che si sente qua dentro. E sorge la prima domanda: perché, in nome di Dio, in quel 1971 di chitarre assordanti e distorte fare un disco di rock acustico? Non si sa, ma il risultato è straordinario, come si sente dal primo brano, la tilt track, tirato ed eccitante come il miglior rock'n'roll, ma supportato da chitarre acustiche. E poi la seconda domanda. Perché alla fine di That's All Right Mama (una cover furibonda e bellissima, checché ne dicesse il recensore di Rollign Stone 41 anni fa), Ron Wood attacca con dolcissima melanconia le note al dobro di Amazing Grace, su cui poi entra la voce commovente di Rod? Non si sa, forse un collegamento freudiano con le radici pre rock'n'roll d'America. D'altro canto si sa, l'ho ripetuto alla noia rubando la frase a qualcuno, che i miglior dischi di rock furono fatti da inglesi che sognavano di essere americani. E così facendo fecero meglio di molti americani individuando un segno e un sogno da seguire.


Risposte? Come tutti i dischi migliori, questo disco nasce per caso. Un gruppo di amici che si ritrova a bere e strimpellare. Non c'è piano marketing strategico dietro. Non ha una moda da seguire, ma come sempre in questi casi la moda la crea. La voce fumosa, roca, confidenziale di Rod Stewart fa il resto: ascoltare questo disco è come essere in un pub, un cantastorie invita a sedersi vicino a lui e tra una Guinness e un Jameson partono le storie. Sì, Rod Stewart è uno storyteller, del rock certo, ma un profondissimo storyteller. Mandolin Wind introduce sugli scenari del rock il mandolino ed è una introduzione non da poco che farà storia in breve tempo. Maggie May è una storia da working class hero tipicamente inglese, che lascia aperta la solita irrisolta domanda: che altro può fare un povero ragazzo se non suonare in una rock'n'roll band? Un ragazzo che è stato turbato nel cuore e nel sesso da una donna più grande di lui che in fin dei conti voleva una cosa sola: non rimanere da sola. Non è quello che vogliamo tutti? Seems like a Long Time è uno spaccato di Londra di notte, quando i pub hanno chiuso e si resta da soli con le proprie angosce e la voglia di tornare al più presto in un pub. Straordinario il coro gospel che fa capolino, mai Londra e Harlem furono più vicine del giorno in cui vene incisa questa canzone. I'm Losing You è rock e R&B totale e devastante con parti di batteria che sconquassano. Che cazzo di band i Faces. I Sex Pistols fanno ridere al confronto.


Venticinque anni dopo circa Rod Stewart, ormai una delle massime stelle della scena musicale mondiale anche se a corto di grandi dischi da tempo, e Ron Wood approdato dai Faces ai Rolling Stones per la sua parte di gloria, si ritrovano su un palco di un unplugged di Mtv. Improvvisamente è come essere in quel pub di Londra di 41 anni fa. Le note sono le stesse, il desiderio pure, la musica anche. Maggie May, mi hai rubato il cuore. Ma ti amo lo stesso.

7 comments:

enzo curelli said...

Grandi Faces!!! Chissà quanto c'è di vero nel prossimo ritorno di Rod Stewart a queste sonorità...così dice lui...

Bartolo Federico said...

Amo questo disco.

silvano said...

Ho capito Rod solo dopo averlo visto un paio d'anni fa in concerto. Un animale da palcoscenico che dai dischi non avevo capito, l'unico che gli assomigli (ma per chi non l'ha visto dal vivo è forse inconcepibile) è Mick.

Paolo Vites said...

rod stewart è uno dei grandi che manca alla mia lista di visti dal vivo

Bartolo Federico said...

Paolo vai a vedere Tom Petty a Lucca?

DiamondDog said...

Rod se ne è sempre fregato di essere il migliore, per questo resterà sempre il più grande, anche più grande di Mick.
E' lo spirito del rock and roll in persona.

Gabriele Gatto said...

Il periodo Mercury è qualcosa di stellare, per me. E poi, Rod è il più grande covereggiatore dylaniano di sempre (con Jimmy LaFave, ovviamente!)

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