Tuesday, June 26, 2012

Ti auguro di vivere. Niente fa più male

Sono nato nell’anno in cui Bob Dylan e i Beatles pubblicavano i loro primi dischi ufficiali e nel quale i Rolling Stones tenevano il loro primo concerto come Rolling Stones. Come avrebbe detto Jeff Tweedy, sono stato battezzato nel rock’n’roll: “I was maimed by rock and roll, I was tamed by rock and roll, I got my name from rock and roll”. Sia Bob Dylan che Paul McCartney (il “Beatle”) che gli Stones sono ancora in giro e neanche loro lo avrebbero mai creduto cinquant’anni fa. Per cui mi sento meno solo, anche perché se riesco ancora a stare a galla lo devo tutt’ora a una fottuta, lurida canzone rock. Mia figlia, che due giorni dopo di me compie 18 anni, se ne è andata a Barcellona a festeggiare il suo compleanno più importante, i 18 anni, con i suoi amici. Fa bene, anche io avrei fatto lo stesso. Che senso hanno i genitori lo scopriamo solo dopo che non ci sono più. Ma così è la vita. Fra poche ore sarà mezzanotte, e voilà saranno arrivati i 50, un numero che mi fa orrore. Chi avrebbe mai pensato di diventare così vecchi? Allora, stanotte ripasso i miei primi 50 anni in decadi, così come si fa con la storia del rock.

Gli anni 60 sono stati ovviamente il periodo migliore della mia vita. Ero un bambinetto, vivevo a pochi metri dal mare e a pochi metri dal porto di cui mio padre era il direttore. Mio padre non ha mai voluto che diventassi un marinaio come lui, io che ho più acqua salata nelle vene che sangue. Ma credo abbia fatto bene: solo adesso ho capito che nella vita devi scoprire da solo quello che hai nel cuore. Io, che mi sono sempre affidato agli altri, ho sempre incassato in cambio sonore fregature. Nessuno aiuta nessuno, per il semplice fatto che nessuno è in grado di aiutare nessuno.



Gli anni 70 sono cominciati con la cocente delusione di Brasile-Italia 4-1: non ho visto Italia-Germania 4-3, ma ricordo benissimo quel pomeriggio caldo io e mio padre da soli a vedere il sogno della Coppa del Mondo, anzi Rimet come si diceva allora, andare in frantumi. Con il tempo ai fallimenti mi sarei abituato. Negli anni 70 ovviamente ho scoperto la musica rock: ma che canzone è Hotel California? Questo assolo di chitarra che non finisce mai è normale? E Bob Dylan ovviamente. E le ragazze ovviamente, anche se a dire il vero erano loro che scoprivano me, ma non ne parliamo. E le canne. Ovviamente. Ascoltando Running on Empty di Jackson Browne e If I Could only Remember my Name di David Crosby, mentre altri amici scoprivano le “pere”. Come – non ho mai saputo perché - allora dicevamo di chi si faceva di eroina. Quel giorno dell’agosto 1977 me lo ricordo ancora oggi benissimo, quando la radio disse che era morto Elvis Presley. Finiscono tutti così, quei drogati, fu il commento di mio padre. Ma vorrei che la ragazzina coi capelli rossi che seguivo ogni giorno dalla stazione a scuola sperando mi rivolgesse la parola mi telefonasse stanotte. Poi la parola glie l’ho rivolta e ci mettemmo anche insieme, ma come tutte le cose belle della mia vita, ho rotto quella storia. Ho sempre rotto tutto nella vita.



Ho finito la scuola a vent’anni, fuori tempo massimo di due. Adesso so che studiare serve e molto. Io che non ho mai studiato un cazzo. I genitori hanno sempre ragione, o quasi. Avessi almeno imparato bene l’inglese oggi non sarei a marcire a Milano, magari sarei a Dublino. Nel 1982 ho visto l’Italia vincere quella Coppa che avevo visto perdere dodici anni prima e alla fine dello stesso anno sono venuto a vivere a Milano. Ma mi ci ha portato la vita, non fu scelta mia, anche se sarei potuto tornare indietro in tempo ma prima di poterlo fare avevo visto Bruce Springsteen a San Siro e poco dopo conosciuto la ragazza che sarebbe diventata mia moglie. Mani legate, come si usa dire, dal rock’n’roll e dall’amore. Ho fatto l’operaio, per tutti quegli anni, e ne vado fiero. Avrei dovuto rimanere così: adesso sarei quasi in pensione e soprattutto avrei tenuto la testa occupata dal lavoro invece di fare un lavoro che la testa la lascia libera, ma di impazzire. Intanto si era ammalato mio fratello, che lo è ancora oggi malato, e Satana è diventato una presenza fissa nella mia vita. E’ sempre qui, a provarci. Ma gli anni 80 sono finiti al teatro Smeraldo, dove una sera di dicembre vidi Neil Young spalancare un altro mondo e quando si lanciò dal palco durante una devastante Ohio fui pronto a buttarmi addosso a lui. La vita sarebbe cambiato di nuovo.

Da una fanzine alla massima rivista musicale della nazione il passo fu breve. Che dire di questa decade se non che scoprii Kurt Cobain solo il giorno che si sarebbe suicidato, dato che scrivevo per la rivista musicale sbagliata. Ah sì: mi sono sposato ed è nata la mia prima figlia. Ah sì: Bob Dylan m ha dato una pacca sulla spalla (destra, non ho più lavato quella giacca) pochi minuti prima di salire sul palco per un concerto e mi ha anche sorriso. Be’, sorriso come può sorridere Bob Dylan.



Gli anni duemila sono stati una folle corsa nella corsia sbagliata, passando da una telefonata a Willie Nelson a una con Paul McCartney, da un party con Liam Gallagher a uno con gli Aerosmith e alcune valchirie da paura, da Neil Young nella suite di un hotel a dieci stelle alla camera da letto di Chrissie Hynde, a un after show con le più straordinarie ragazze di colore mai viste sulla terra aspettando Lauryn Hill che non sarebbe arrivata mai in un asilo trasformato in discoteca a Brixton, fumando l’impossibile, anche quello che non si poteva fumare. Pensavo che ormai ero diventato invincibile. Col cazzo: questi anni si sono chiusi nel fallimento totale, e il Diavolo si è fatto una grande risata quella volta che mi vide strisciare sul pavimento alle otto del mattino con una bottiglia di vino rosso in una mano e una di Jack Daniel nell’altra mentre vomitavo sangue. Nel giro di sei mesi ero riuscito a perdere praticamente tutto, lavoro e quasi anche la famiglia. Voglia di vivere soprattutto. Poi in un modo o nell’altro si ricomincia, sia benedetto chi ha inventato quelle pillole. Si ricomincia sempre, è più forte di noi. Se sia un bene o un male non lo so, non spetta a me dirlo. So solo che a 40 anni sono diventato padre una seconda volta, e ne sono moderatamente fiero.

Adesso mi sento più vecchio di un sacco della spazzatura lasciato a marcire da secoli. I calci nel culo di Mister Lucifero continuano ad arrivare senza sosta e imbocco sempre la porta sbagliata, è più forte di me, dietro alla quale c’è sempre la gente sbagliata. Le canzoni sono diventate le mie preghiere e la mia religione. Ho perso un sacco di amici in tutti questi anni, uno giocando a pallone una sera gelata di gennaio, uno lasciato davanti a un portone su un lurido marciapiede senza sapere perché. E tanti altri. Sarei un bugiardo se dicessi però che non sono stato voluto bene da tanti, tantissimi e se quel bene non ha dato grandi frutti è solo per colpa mia. Io rompo sempre tutto. Mentirei se dicessi che non sono consapevole che c’è sempre stata una mano sopra la mia testa ad allontanare Belzebù quando si faceva troppo insistente. Ma mentirei anche se dicessi che non avrei voluto che io e mia figlia avessimo festeggiato i nostri compleanni insieme. Lo avrei voluto eccome. Eppure sono qui, che tiro tardi aspettando mezzanotte e fra un paio di giorni di andare a vedere un gran fico di concerto rock. Non posso praticamente più bere alcolici e aspetto trangugiando chinotto e coca cola in questo caldo schifoso di Milano-Cambogia, ma un prezzo si deve pur pagare. Ho capito che solo lì, a un concerto rock, posso festeggiare degnamente i miei 50 anni. Perché, ehi, in fondo sono stato battezzato nel rock’n’roll. Per cui Tom Petty aspettamI: ho sempre voluto diventare una rock’n’roll star. Non ci sono riuscito, ma come Raymond Carver so una cosa: sono stato voluto bene. E tanto basta.

Ah, e prima che il solito mio gentilissimo lettore lasci l’usuale commento (devi scrivere un libro!) gli dico che ho imparato anche questa cosa, in 50 anni di vita: i libri in Italia li scrivono solo Fabio Volo e quelli come lui. Noi, come dice Leonard Cohen, siamo brutti. Ma abbiamo la musica. Loro no. Chi sta meglio? Boh. Per i prossimi dieci anni mi auguro di vivere, anche se non c’è nulla che fa più male. Ma ne vale la pena comunque.

17 comments:

Anonymous said...

È impossibile non volerti bene data la sincerità e la verità che porti addosso.
Non ti sei mai arreso e non ti arrenderai mai. Perché hai il cuore più grande di chiunque altro. Ed è per questo che senti le cose più degli altri. Anche il diavolo.
Ti voglio bene

Anonymous said...

You say it's your birthday
It's my birthday too--yeah
They say it's your birthday
We're gonna have a good time
I'm glad it's your birthday
Happy birthday to you.

Yes we're going to a party party
Yes we're going to a party party
Yes we're going to a party party.

I would like you to dance--Birthday
Take a cha-cha-cha-chance-Birthday
I would like you to dance--Birthday
Dance

You say it's your birthday
Well it's my birthday too--yeah
You say it's your birthday
We're gonna have a good time
I'm glad it's your birthday
Happy birthday to you.


auguri Paolo.


pierluca

silvano said...

Si può dire ti voglio bene a un sostanzialmente sconosciuto? Non lo so. Forse no, non è politicamente corretto. Ma te lo dico lo stesso che ti voglio bene anche se mi sento un po' stupido e stupito. La metà oscura e anche la metà chiara sono un bel mistero. Stay rock.
ciao, silvano.

Unknown said...

Bellissimo..auguri!

Paolo Vites said...

grazie silvano di cuore. e tutti gli altri

Unknown said...

manco sono il primo... ma caro Paolo ti volgio bene anche io.

Eppoi 50, 40, 60... tu eri archeologicamente vecchio già 10 anni fa, adesso mi sembra piuttosto che tu stia ringiovanendo. Un cuore giovane di desiderio.

Bartolo Federico said...

il post l'ho letto alle 4 del mattino tanto non dormo più.so benissimo che mi manderai affanculo ma te lo dico lo stesso che devi scrivere un libro,sulle cose del rock.sei abbastanza stagionato (va bene il termine) per farlo.eppoi come jack & neal hai bevuto quello che c'era da bere, ed hai fumato quello che era possibile da vero romantico, innamorato della vita e dei propri sogni.buon tom petty io non ci posso venire per mille motivi ma mi racconterai tu di questo grande rocker e della sua fantastica band.buon compleanno Paolo,abbi cura di te.

Anonymous said...

Buon rock-compleanno Paolino and cheer up!!!
MC

Giuseppe Gazerro said...

Buoni 50, Paolo!
:-)

Anonymous said...

Buon compleanno al mio scrittore preferito!
Ti auguro di volerti bene...altrimenti il bene degli altri è inutile.
E ti regalo uno specchio...affinchè tu possa vederti meglio.
Grazie per ciò che scrivi, per come lo scrivi.
Buona vita!Ti voglio bene.
Clà

andrea said...

I vecchi bluesmen e i Rolling Stones credo siano esempi ottimi di sopravvivenza dopo i 50.
"Il problema non è vivere in eterno ma sopravvivere a se stessi"
Keith Richards

Anche se in ritardo, buon compleanno.

mario said...

Vale sempre la pena leggerti. Adesso come ti hanno già detto, devi solo volerti bene. Ciao amico

Laura said...

sono andata avanti io, un poco, quello che basta per regalarti questo

http://scuolapasta.blogspot.it/2011/04/nellimminenza-dei-cinquantanni.html

un abbraccio

allelimo said...

Buon compleanno.

Anonymous said...

Ti ho visto al concerto di Tom Petty. Avrei voluto farti gli auguri e dirti grazie per non aver dimenticato Jackie Leven, Phil Cody, Jessie Colin Young e tanti altri. Ma non volevo romperti le scatole e allora lo faccio adesso. Auguri. Grazie. Saper scrivere, arrivare al cuore delle persone con le parole è un gran bel dono che hai ricevuto dalla vita. Continua a farne buon uso.

Paolo Vites said...

grazie per la nuova serie di auguri. quanti anonimi però...

Anonymous said...

Leggo solo adesso, auguri di cuore, ti voglio bene anch'io, sentiamoci a settembre per fare qualcosa sul rock da me, Marcello

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